Corte Costituzionale, Sentenza n. 66 del 2012, VENETO In tema di deroga al regime della autorizzazione paesaggistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 12 del 21-3-2012

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 12 della
legge della Regione Veneto 26 maggio 2011, n. 10 (Modifiche alla
legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del
territorio" in materia di paesaggio), promosso dal Presidente del
Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 20 luglio 2011,
depositato in cancelleria il 20 luglio 2011, ed iscritto al n. 72 del
registro ricorsi 2011.
Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;
udito nell’udienza pubblica del 22 febbraio 2012 il Giudice
relatore Paolo Grossi;
uditi l’avvocato dello Stato Angelo Venturini per il Presidente
del Consiglio dei ministri e gli avvocati Bruno Barel e Luigi Manzi
per la Regione Veneto.

Ritenuto in fatto

1. – Con atto depositato il 20 luglio 2011, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, ha proposto ricorso in via principale per la
declaratoria di illegittimita’ costituzionale – in riferimento
all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione –
dell’articolo 12 della legge della Regione Veneto 26 maggio 2011, n.
10, recante «Modifiche alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11
"Norme per il governo del territorio" in materia di paesaggio», nella
parte in cui aggiunge l’art. 45-decies alla legge regionale 23 aprile
2004, n. 11 (Norme per il governo del territorio).
Il ricorrente sottolinea come, nella giurisprudenza di questa
Corte, le nozioni di tutela dell’ambiente e di tutela del paesaggio
hanno finito per subire una sostanziale assimilazione semantica, che
avrebbe dato vita ad una sorta di «osmosi giuridica». La "materia"
della tutela dell’"ambiente/paesaggio" investirebbe, cosi’, beni di
carattere primario, la cui cura sarebbe affidata in via esclusiva
alla potesta’ legislativa dello Stato, senza che questa possa essere
scalfita dal legislatore regionale nell’esercizio di proprie
competenze in materie quali il governo del territorio. Detta
disciplina risulterebbe prevista, anzitutto, nel decreto legislativo
22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai
sensi dell’articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137), del quale
vengono rammentate le principali disposizioni in tema di beni
paesaggistici.
In questo contesto si collocherebbe la norma oggetto di
impugnativa, la quale – nell’introdurre, come descritto, l’art.
45-decies nella legge regionale n. 11 del 2004 – prevede, in sintesi,
che nei Comuni della Regione Veneto che, alla data del 6 settembre
1985, risultano dotati di strumenti urbanistici generali contenenti
denominazioni di zone territoriali omogenee non coincidenti con
quelle indicate nel decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444
(Limiti inderogabili di densita’ edilizia, di altezza, di distanza
fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli
insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati
alle attivita’ collettive, al verde pubblico o a parcheggi da
osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o
della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della L. 6
agosto 1967, n. 765), sono assimilate alle aree escluse dalla tutela
ai sensi dell’art. 142, comma 2, del codice dei beni culturali quelle
aree che, alla data suddetta, presentano determinate caratteristiche.
Piu’ in particolare, il punto di frizione tra le normative viene
individuato nel fatto che, mentre la lettera a) del comma 2 dell’art.
142 del codice dei beni culturali escluderebbe, con eccezione «di
stretta interpretazione», dal regime dei vincoli, di cui al comma 1,
quelle aree «delimitate negli strumenti urbanistici, ai sensi del
decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come zone territoriali
omogenee A e B», la disposizione regionale impugnata escluderebbe,
invece, (al comma 1, lettera a), previa verifica, anche quelle aree
«comprese in zone urbanizzate con le caratteristiche insediative e
funzionali delle zone A e B».
Altrettanto sarebbe a dirsi anche della ipotesi di cui alla
lettera b) del medesimo comma 1 della disposizione censurata, che,
con riferimento alle «aree a destinazione pubblica, quali strade,
piazze ed aree a verde», introdurrebbe ipotesi derogatorie non
contemplate dall’art. 142 del codice dei beni culturali, solo
tralaticiamente richiamato.
Ne deriverebbe, secondo il ricorrente, il contrasto dell’intero
art. 12 denunciato – ivi compresi i commi 2 e 3, per intima
connessione con le precedenti norme – con l’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., perche’ invaderebbe la competenza esclusiva dello
Stato in materia di tutela ambientale e del paesaggio, come
puntualizzato dalla giurisprudenza costituzionale evocata.
La norma impugnata consentirebbe, infatti, che, «in aree
sottoposte a tutela paesaggistica, siano indiscriminatamente
realizzati o mantenuti interventi che prescindono dalla necessaria
autorizzazione paesistica ex art. 142 del codice dei beni culturali,
in tal modo incidendo su materia riservata alla competenza esclusiva
statale ex art. 117 secondo comma lettera s)». Introducendo, in
particolare, una deroga alla normativa statale, la disposizione
censurata consentirebbe «una urbanizzazione non consona alla
disciplina statale paesaggistica»: nel permettere, infatti, «la
costruzione o il mantenimento di opere nelle aree interessate», non
si osserverebbe la disciplina statale che richiede «in via
obbligatoria, sussistendo il vincolo paesaggistico, la necessaria
autorizzazione da rilasciarsi entro i limiti prefissati dal
legislatore nazionale». Autorizzazione che – conclude il ricorrente –
costituisce momento indefettibile per la effettiva tutela delle aree
sottoposte a vincolo, con la conseguenza che «non puo’ competere alla
Regione adottare norme che, in buona sostanza, eliminando il vincolo
paesaggistico, vanifichino lo strumento autorizzatorio e consentano
una urbanizzazione in violazione degli uniformi standards di
protezione validi su tutto il territorio nazionale».
2. – Costituendosi in giudizio, la Regione Veneto ha concluso per
una declaratoria di infondatezza della questione sollevata.
Dopo aver sottolineato come la legislazione regionale sia stata
sempre attenta a tutelare i valori dell’ambiente e del paesaggio,
nello spirito delineato dall’art. 9 Cost., la Regione ha osservato
come la legge regionale n. 10 del 2011 sia stata emanata proprio per
dare attuazione all’art. 117, terzo comma, Cost. ed al codice dei
beni culturali e del paesaggio; in tale cornice dovrebbe, dunque,
essere interpretata la disposizione oggetto di censura.
La normativa statale avrebbe esteso, fin dal decreto-legge 27
giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di
particolare interesse ambientale), convertito, con modificazioni,
nella legge 8 agosto 1985, n. 431, il controllo dello Stato sui beni
paesaggistici procedendo alla individuazione di quelli rientranti
nelle categorie generali meritevoli di tutela; al tempo stesso,
avrebbe escluso determinate aree, da sottrarre a quelle categorie
astratte, secondo una linea chiara nei suoi intendimenti:
«generalizzare la tutela a tutte le aree non ancora urbanizzate
aventi le particolari localizzazioni indicate». Non vi sarebbe dunque
– come lamentato dal Governo – una regola generale alla quale si
giustappone una eccezione di stretta interpretazione, ma soltanto una
regola generale che «individua il proprio oggetto in parte con una
definizione in positivo (localizzazione delle aree), in parte con una
definizione in negativo (purche’ non ancora urbanizzate)».
Per identificare le aree gia’ urbanizzate, la normativa statale
distinguerebbe a seconda che il Comune disponga o meno di uno
strumento urbanistico: ove ne fosse privo, si farebbe «riferimento
alla nozione di centro abitato perimetrato, che sostanzialmente
circoscrive il tessuto edilizio esistente e continuo»; ove, invece,
ne fosse dotato, si escluderebbero dal vincolo le zone A e B
(rispettivamente corrispondenti, secondo la disciplina dettata dal
ricordato decreto ministeriale n. 1444 del 1968, al "centro storico"
ed al "tessuto edilizio consolidato"). Nella Regione Veneto,
peraltro, nel 1985 molti Comuni dotati di PRG non identificavano
centri storici e tessuto edilizio consolidato come zone formalmente
denominate "A" e "B", ma attraverso locuzioni variegate.
A differenza di quanto accaduto in passato (quando nessuno aveva
espresso dubbi sulla identificazione delle aree soggette a vincolo
paesaggistico), solo di recente organi statali avrebbero espresso
l’orientamento secondo cui si potrebbe tenere conto delle indicazioni
dei PRG solo se questi, alla data di riferimento (1985), abbiano
utilizzato formalmente l’espressione "zona A" o "zona B": in mancanza
di tale indicazione, anche le aree urbanizzate del centro e della
citta’ consolidata dovrebbero ritenersi assoggettate a vincolo
paesaggistico generalizzato. Cosicche’, «paradossalmente, se il
Comune fosse stato privo di PRG, l’intero centro abitato sarebbe
stato escluso dal vincolo; col PRG, tutto il centro abitato sarebbe
soggetto a vincolo, nel caso di omesso uso della terminologia formale
"zona A" e "zona B"».
Ne deriverebbe un’«estensione amplissima del territorio
vincolato, fino a comprendere qualunque tipo di intervento edilizio
anche minore su edifici del tessuto urbano consolidato» e, «dal punto
di vista del cittadino», un «trattamento diseguale di situazioni
uguali (zone urbanizzate oggettivamente omogenee, non sottoposte a
vincolo solo se descritte nel PRG con le parole "zona A" e "zona B")
e [un] trattamento uguale di situazioni diseguali (vincolo imposto
sia su aree libere che su aree urbanizzate ed edificate totalmente
solo perche’ non etichettate dai PRG come zona "A" o "B")».
In presenza, dunque, di «una situazione lesiva dell’affidamento
riposto dai cittadini su un assetto normativo consolidatosi per 25
anni», la Regione avrebbe introdotto la previsione censurata, che si
limiterebbe a istituire un procedimento attraverso il quale
verificare se le zone non formalmente denominate, nei PRG in essere
nel 1985, come "zona A" e "zona B" «soddisfacessero comunque tutti i
criteri indicati dal d.m. n. 1444 del 1968 come atti a caratterizzare
le zone classificabili come A e B»: la disposizione avrebbe, dunque,
«natura ricognitiva e tecnica», destinata soltanto «a supplire alla
omessa indicazione delle lettere A e B da parte dei pianificatori del
tempo» o a «colmare un gap meramente terminologico». L’assimilazione
verrebbe «estesa alle aree pubbliche che costituiscono parte
integrante delle zone meritevoli di essere anche formalmente definite
A e B», giacche’ «se il vincolo paesaggistico generalizzato non ha
ragion d’essere sulla citta’ consolidata», «non l’ha neppure sulle
strade e piazze e parcheggi che si trovano entro le ridette zone a
formarne parte integrante e inscindibile», a prescindere dal simbolo
letterale con cui tali zone sono state indicate nei PRG.
3. – In prossimita’ dell’udienza, il ricorrente ha depositato una
memoria con la quale, nell’insistere nella propria richiesta, ha
contrastato l’argomento secondo cui, con la disposizione impugnata,
«la Regione si sarebbe limitata ad una interpretazione sostanziale e
non formale dell’art. 142 del Codice dei beni culturali»: una
«interpretazione autentica» di quest’ultima disposizione dovrebbe,
infatti, essere «rimessa allo Stato», risultando eccedente «una norma
regionale che interpreta una norma statale individuandone l’ambito di
applicazione sulla base di un’auto-affermata ipotesi ermeneutica».
D’altra parte, la prevista «equiparazione tra aree omogenee» –
con «ulteriore indebita estensione del giudizio di equiparazione
anche agli spazi pubblici ricompresi» nel territorio urbanizzato, e
«cio’ malgrado le aree siano state denominate correttamente con
riferimento al d.m. 2 aprile 1968 (aree F)» – escluderebbe
«radicalmente a livello amministrativo la partecipazione delle
amministrazioni statali competenti in materia», «relegando la tutela
statale ad una tutela meramente giudiziaria» e mirando
«sostanzialmente a restringere l’ambito applicativo delle misure di
tutela introdotte dalla legge "Galasso"».

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto ricorso
in via principale, con il quale ha chiesto dichiararsi, in
riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione, l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 12 della
legge della Regione Veneto 26 maggio 2011, n. 10 (Modifiche alla
legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del
territorio" in materia di paesaggio), nella parte in cui aggiunge
l’art. 45-decies alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 (Norme
per il governo del territorio).
Osserva, al riguardo, il ricorrente che la norma oggetto di
impugnativa, in violazione del parametro costituzionale che assegna
alla legislazione esclusiva dello Stato la tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali, introduce deroghe al regime
vincolistico previsto dalla legislazione dello Stato in materia di
aree qualificate di interesse paesaggistico. In particolare, la
disposizione censurata prevede che nei Comuni della Regione Veneto
che, alla data del 6 settembre 1985, risultassero dotati di strumenti
urbanistici generali contenenti denominazioni di zone territoriali
omogenee non coincidenti con quelle indicate nel decreto ministeriale
2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densita’ edilizia, di
altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi
destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi
pubblici o riservati alle attivita’ collettive, al verde pubblico o a
parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti
urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art.
17 della L. 6 agosto 1967, n. 765), sono assimilate alle aree escluse
dalla tutela, ai sensi dell’art. 142, comma 2, del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del
paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137),
quelle aree che, alla data suddetta del 6 settembre 1985, sono «a)
comprese in zone urbanizzate con le caratteristiche insediative e
funzionali delle zone A e B, previa verifica della loro
corrispondenza ai parametri quantitativi di cui all’art. 2 del
decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444; b) a destinazione
pubblica, quali strade, piazze, ed aree a verde, purche’ incluse nel
territorio urbanizzato individuato ai sensi dell’art. 142, comma 2,
del Codice [dei beni culturali e del paesaggio] e ai sensi della
lettera a)». La disciplina statale, dettata dall’art. 142, comma 2,
del citato d.lgs. n. 42 del 2004, stabilisce, invece – per quanto qui
rileva -, che i vincoli di cui al comma 1 dello stesso articolo non
si applicano alle aree che, alla data del 6 settembre 1985, «erano
delimitate negli strumenti urbanistici, ai sensi del decreto
ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come zone territoriali omogenee
A e B». Da cio’ deriverebbe, secondo il ricorrente, un illegittimo
ampliamento dell’ambito di applicazione della deroga al regime
vincolistico, risultando escluse dal vincolo paesaggistico ex lege
anche aree identificabili con «denominazioni di zone territoriali
omogenee non coincidenti con quelle indicate nel decreto ministeriale
2 aprile 1968, n. 1444», purche’ comprese, come gia’ precisato, in
zone urbanizzate con le caratteristiche insediative e funzionali
delle zone A e B.
2. – La questione e’ fondata.
3. – Questa Corte ha avuto modo di affermare come la stessa
qualificazione di «norma di grande riforma economico-sociale» – che
gia’ designava il sistema vincolistico in materia di paesaggio
introdotto dalla cosiddetta "legge Galasso" – dovesse essere
mantenuta in riferimento, proprio, all’art. 142 del d.lgs. n. 42 del
2004, la cui elencazione delle aree vincolate per legge rappresentava
nella sostanza un continuum rispetto alla precedente disciplina
(sentenza n. 164 del 2009). Per altro verso, a sottolineare
l’assoluta centralita’ di tale disciplina – ed il risalto che, sul
piano costituzionale, ad essa deve essere effettivamente riconosciuto
-, sta anche l’osservazione per la quale, attraverso le disposizioni
dettate dal codice dei beni culturali e del paesaggio, proprio
laddove hanno reintrodotto la tipologia dei beni paesaggistici e ne
hanno operato la relativa ricognizione, si e’ inteso dare «attuazione
al disposto del (citato) articolo 9 della Costituzione, poiche’ la
prima disciplina che esige il principio fondamentale della tutela del
paesaggio e’ quella che concerne la conservazione della morfologia
del territorio e dei suoi essenziali contenuti ambientali» (sentenza
n. 367 del 2007). Ci si muove, dunque, nell’ambito di una rigorosa
tipizzazione di tassative ipotesi vincolistiche, alla quale
corrisponde una altrettanto dettagliata previsione di casi,
ugualmente nominati e tassativi, di deroga.
Ebbene, nel caso di specie, la normativa regionale impugnata
opera una modifica sostanziale del regime delle esclusioni dalla
tutela prevista dal codice dei beni culturali e del paesaggio,
attraverso una "assimilazione" fra aree individuate dalla
legislazione statale come sottratte al regime vincolistico e aree
che, pur con denominazioni diverse rispetto a quelle indicate nel
decreto ministeriale n. 1444 del 1968, presenterebbero, rispetto alle
prime, caratteristiche similari, sia pure per relationem. Si tratta,
dunque, di una operazione normativa da ritenersi in se’ non
consentita, in quanto direttamente incidente su materia riservata
alla legislazione statale, rispetto alla quale la legislazione
regionale puo’ solo fungere da strumento di ampliamento del livello
della tutela del bene protetto e non – all’inverso, come nel caso qui
in esame – quale espediente dichiaratamente volto ad introdurre una
restrizione dell’ambito della tutela, attraverso l’incremento della
tipologia delle aree cui il regime vincolistico non si applica.
Non e’, infatti, senza significato rammentare, sul punto, come
questa Corte, chiamata a pronunciarsi sulla legittimita’
costituzionale proprio dell’art. 40 della legge urbanistica della
Regione Veneto (legge n. 11 del 2004) – ora, tra l’altro, modificato
dalla disposizione oggetto di impugnativa – ne abbia escluso il
contrasto con la normativa statale in tema di tutela dei beni
culturali in quanto, appunto, funzionale alla tutela non gia’
sostitutiva di quella statale, bensi’ aggiuntiva, nella disciplina
del governo del territorio (sentenza n. 232 del 2005).
D’altra parte, anche ove si ritenesse di annettere, come la
difesa della Regione sembra prospettare, una portata restrittiva al
concetto di "assimilazione" utilizzato dalla disposizione denunciata,
resterebbe il fatto che un simile procedimento, ancorche’
apparentemente ricognitivo, e tuttavia ampliativo, della deroga
(trattandosi di identificare "ora per allora" le caratteristiche di
omogeneita’ fra le aree), potrebbe essere previsto e disciplinato
soltanto da una legge statale, avuto riguardo, fra l’altro, alla
esigenza di attribuire ad una siffatta previsione una portata
generale e uniforme, valida, cioe’, per tutto il territorio
nazionale.
Ne’ puo’ tacersi come, attraverso la previsione normativa oggetto
di censura, la Regione Veneto sia giunta a prevedere una sostanziale
"delegificazione" della materia, risultando in concreto demandata
all’autorita’ amministrativa l’individuazione dei territori che
presentavano, alla data del 6 settembre 1985, caratteristiche
analoghe a quelle inserite nelle zone "A" e "B" degli strumenti
urbanistici generali. Sicche’, mentre in riferimento ad alcune aree
la deroga al vincolo risulta "cristallizzata" dalla legislazione
statale, con efficacia erga omnes e con un vincolo di intangibilita’
che scaturisce dalla legge, in riferimento ad altre aree, secondo la
norma censurata, la deroga finirebbe per essere direttamente
determinata dall’amministrazione locale, senza che – per di piu’ – lo
Stato risulti in alcun modo chiamato a partecipare al relativo
procedimento.
La disposizione impugnata deve pertanto essere dichiarata
costituzionalmente illegittima, in quanto contrastante con l’art.
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 12 della
legge della Regione Veneto 26 maggio 2011, n. 10 (Modifiche alla
legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del
territorio" in materia di paesaggio).
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 marzo 2012.

Il Presidente: Quaranta

Il Redattore: Grossi

Il Cancelliere: Melatti

Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2012.

Il Direttore della Cancelleria: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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