Corte Costituzionale, Sentenza n. 68 del 2012, In tema di attenuanti speciali nel caso di reato di sequestro di persona a scopo di estorisione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 12 del 21-3-2012

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 630 del
codice penale, promosso dal Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Venezia, nel procedimento penale a carico di C.P. ed
altri, con ordinanza del 3 maggio 2011, iscritta al n. 186 del
registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visti gli atti di costituzione di C.P. ed altro e di H.J.,
nonche’ l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 marzo 2012 il Giudice relatore
Giuseppe Frigo;
uditi gli avvocati Riccardo Benvegnu’ per H.J., Emanuele Fragasso
Jr. per C.P. ed altro e l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia per
il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza del 3 maggio 2011, il Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Venezia ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma, della
Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo
630 del codice penale, nella parte in cui non prevede, in relazione
al delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, una
circostanza attenuante speciale per i fatti di «lieve entita’»,
analoga, «nella struttura e negli effetti», a quella applicabile, in
forza dell’art. 311 cod. pen., al delitto di sequestro di persona a
scopo di terrorismo o di eversione, previsto dall’art. 289-bis del
medesimo codice.
Il giudice a quo premette di essere chiamato a trattare un
processo penale – nelle forme del giudizio abbreviato richiesto a
seguito dell’emissione di decreto di giudizio immediato – nei
confronti di tre persone imputate del delitto di sequestro di persona
a scopo di estorsione, per avere privato della liberta’ personale
l’offeso, trattenendolo con la forza presso l’abitazione di una di
esse – ove era stato indotto a recarsi con un pretesto – dalle ore
15,30 del 17 giugno 2010 alle ore 19,50 del medesimo giorno,
allorche’ il sequestrato era stato liberato grazie all’intervento
delle forze dell’ordine. L’iniziativa sarebbe stata presa al fine di
ottenere la restituzione della somma di denaro corrisposta a uno
spacciatore di sostanze stupefacenti, dileguatosi senza aver
consegnato la partita di hashish convenuta, nell’ambito di una
transazione illecita che aveva visto la persona offesa svolgere il
ruolo di mediatore per l’acquisto. In particolare, costui, dopo
essere stato percosso, era stato costretto a contattare – mediante
una linea telefonica che risultava, peraltro, sottoposta a
intercettazione – alcuni suoi parenti, chiedendo loro di reperire la
somma pretesa dagli imputati, con la minaccia di essere ulteriormente
segregato e percosso ove la pretesa creditoria non fosse stata
soddisfatta.
Osserva il rimettente che il fatto configurerebbe il contestato
delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione. In base
all’interpretazione accolta dalle Sezioni unite della Corte di
cassazione (sentenza 17 dicembre 2003-20 gennaio 2004, n. 962) –
qualificabile come «diritto vivente», in quanto unanimemente recepita
dalla giurisprudenza di legittimita’ successiva – l’ipotesi criminosa
descritta dall’art. 630 cod. pen. e’ integrata anche dalla privazione
della liberta’ di una persona volta a conseguire, quale prezzo per la
liberazione – come nel caso di specie – il pagamento di un debito
derivante da un pregresso rapporto illecito. Il requisito di
fattispecie costituito dalla «ingiustizia» del profitto – oggetto di
dolo specifico – andrebbe, infatti, apprezzato sulla base di canoni
legali e non gia’ nella particolare prospettiva dell’agente. Di
conseguenza, esso sarebbe ravvisabile anche nella situazione
considerata, nella quale la pretesa dell’agente risulta sfornita di
tutela legale, avendo titolo in un negozio con causa illecita.
Alla luce di tale interpretazione, la norma censurata si
presterebbe, peraltro, a colpire anche fenomeni criminosi
radicalmente dissimili da quelli avuti di mira dal legislatore,
all’epoca in cui ha drasticamente innalzato – fino a portarla a
venticinque anni di reclusione – la pena edittale minima del delitto
in questione (originariamente pari a otto anni). Tale eccezionale
inasprimento della risposta punitiva – attuato con una serie di
novelle legislative e, da ultimo, con la legge 30 dicembre 1980, n.
894 (Modifiche all’articolo 630 del codice penale) – costituiva,
infatti, la risposta, in termini di prevenzione generale, allo
straordinario incremento, registratosi negli anni 1970-1980, dei
sequestri estorsivi perpetrati da pericolose organizzazioni
criminali, caratterizzati da privazioni della liberta’ protratte
talora per anni, con episodi di efferata crudelta’ ai danni delle
vittime e richieste di ingenti riscatti.
La vicenda oggetto nel giudizio a quo sarebbe ben lontana da tale
paradigma. Si sarebbe, infatti, al cospetto di una iniziativa
«estemporanea», attuata senza una particolare predisposizione di
mezzi e senza uso di armi, quale reazione a una patita «frode […]
in re illicita», che ha determinato la privazione della liberta’
personale dell’offeso per un tempo limitatissimo (poco piu’ di
quattro ore).
Su tali premesse, il rimettente dubita, quindi, della
legittimita’ costituzionale dell’art. 630 cod. pen., rilevando come
la norma censurata punisca con una pena di inusitata severita’ –
«tutta compressa verso l’alto», essendo il minimo edittale di
venticinque anni di reclusione prossimo al massimo di trenta («quasi
una pena "fissa"») – condotte delittuose che possono risultare assai
meno gravi di altre per durata, modalita’ dell’azione e entita’
dell’offesa recata alla vittima, e rispetto alle quali detto minimo
edittale si rivelerebbe manifestamente sproporzionato per eccesso.
Risulterebbero conseguentemente violati i principi di ragionevolezza,
di personalita’ della responsabilita’ penale e della funzione
rieducativa della pena (artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo
comma, Cost.), i quali esigono che venga assicurata, nella concreta
applicazione giudiziale, la possibilita’ di adeguare il trattamento
sanzionatorio al reale grado di colpevolezza dell’agente e al suo
personale bisogno di rieducazione.
Consapevole che alla Corte costituzionale e’ inibito un sindacato
di merito sulle scelte sanzionatorie del legislatore, il rimettente
non chiede, tuttavia, un intervento «diretto» sul (sopra ricordato)
minimo edittale. Censura, invece, la norma denunciata nella parte in
cui non prevede una circostanza attenuante speciale analoga, per
struttura ed effetti, a quella applicabile, in forza dell’art. 311
cod. pen., ai delitti contro la personalita’ dello Stato e, dunque,
anche al delitto di sequestro di persona a scopo di terrorismo o di
eversione, di cui all’art. 289-bis cod. pen.: attenuante che viene in
rilievo segnatamente «quando per la natura, la specie, i mezzi, le
modalita’ o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare
tenuita’ del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve
entita’».
Per questo verso, sarebbe riscontrabile una irragionevole
disparita’ di trattamento di situazioni analoghe, essendo la figura
criminosa ora indicata pienamente assimilabile al sequestro estorsivo
per struttura, requisiti di fattispecie, risposta sanzionatoria e
rango degli interessi tutelati. La condotta costitutiva del delitto
previsto dall’art. 289-bis cod. pen. e’, infatti, identica a quella
descritta dall’art. 630 cod. pen., essendo diverso solo il fine che
la sorregge (di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico,
nel primo caso, di estorsione, nel secondo). Identico e’ anche il
trattamento sanzionatorio stabilito tanto per l’ipotesi semplice che
per le ipotesi aggravate dalla morte dell’ostaggio; mentre analoghe,
per ratio e struttura, risultano le attenuanti relative ai casi di
dissociazione.
La censurata difformita’ di disciplina, riguardo ai fatti di
«lieve entita’», non potrebbe essere, d’altra parte, giustificata
neppure sulla base di valutazioni concernenti la diversa pregnanza
del bene giuridico protetto. L’art. 630 cod. pen. mirerebbe, infatti,
a evitare «forme di iniqua mercificazione della persona», unitamente
al «pericolo di trasferimento di risorse verso plessi criminali»;
l’art. 289-bis cod. pen. avrebbe, a sua volta, riguardo «a forme di
prevaricazione della persona altrettanto inique e alla rottura delle
condizioni di sicurezza indispensabili alla primaria esplicitazione
della convivenza civile e dell’ordine democratico».
L’auspicato intervento di questa Corte, nel garantire una
migliore capacita’ di adeguamento della risposta sanzionatoria
all’intera gamma dei comportamenti conformi al tipo, sarebbe,
altresi’, pienamente ammissibile, non scontrandosi con la riserva di
legge in materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.), la quale non
e’ di ostacolo alle sentenze manipolative «in bonam partem».
2. – E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Ad avviso della difesa dello Stato, le censure svolte dal giudice
rimettente non atterrebbero, in realta’, alla legittimita’
costituzionale della norma, ma porrebbero in discussione scelte di
politica criminale volte a far fronte a precise esigenze di difesa
sociale. Segue l’asserzione secondo la quale particolarmente
significativa, al riguardo, sarebbe la circostanza che l’inasprimento
della pena del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione
abbia prodotto, in breve tempo, apprezzabili effetti in termini di
riduzione di un fenomeno criminale allarmante e odioso.
A fronte di cio’, la possibile sproporzione tra gravita’ del
fatto e sanzione andrebbe superata precipuamente sul piano della
valutazione della effettiva corrispondenza della fattispecie concreta
al paradigma punitivo astratto. Se il fatto presenta tutti i
requisiti richiesti dal legislatore ai fini dell’integrazione del
delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, la pena
applicabile non sarebbe affatto irragionevole; se, diversamente, e’
il fatto a non presentare tutti gli elementi del gravissimo delitto,
esso dovra’ essere diversamente qualificato (come esercizio
arbitrario delle proprie ragioni, violenza privata, sequestro di
persona semplice e via dicendo), con applicazione del conseguente
regime sanzionatorio.
Il giudice a quo avrebbe omesso, inoltre, di verificare se
l’adeguamento al fatto concreto della pena comminata dall’art. 630
cod. pen. possa essere comunque assicurato dall’applicazione delle
circostanze attenuanti comuni, e segnatamente di quelle previste
dagli artt. 62, numeri 4, 5 e 6, e 114, primo comma, cod. pen.:
profilo sotto il quale la motivazione dell’ordinanza di rimessione si
presenterebbe oggettivamente inadeguata.
3. – Si sono costituiti C.P. e I.A.S.M.A., imputati nel giudizio
a quo, chiedendo, sulla base di identiche considerazioni, che la
questione sia accolta.
Le parti private assumono che l’art. 630 cod. pen. – comminando
per il sequestro di persona a scopo estorsivo una pena minima di
venticinque anni di reclusione, senza prevedere una circostanza
attenuante che consenta l’applicazione di una pena minore di fronte a
fattispecie concrete di ridotta offensivita’ – violerebbe il
principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), che impone al legislatore
di differenziare il trattamento punitivo a seconda della gravita’ dei
diversi fatti criminosi, non solo tramite la previsione di plurimi
tipi di reato, caratterizzati da differenti risposte sanzionatorie,
ma anche all’interno della singola figura criminosa, permettendo al
giudice di graduare opportunamente la pena in rapporto alla
specificita’ del singolo fatto.
L’irragionevolezza dell’assetto normativo censurato risulterebbe
tanto piu’ evidente nel raffronto con la fattispecie simmetrica di
sequestro di persona prevista dall’art. 289-bis cod. pen.
In aggiunta agli elementi gia’ posti in evidenza dall’ordinanza
di rimessione – identita’ del «fatto base», equiparabilita’ degli
interessi protetti, identita’ della risposta sanzionatoria per
l’ipotesi semplice e per quelle aggravate dalla morte del sequestrato
– anche la genesi storica delle due previsioni punitive confermerebbe
che si tratta di figure criminose rispondenti a un medesimo schema.
Il sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione fu,
infatti, introdotto nell’ordinamento, come reazione ai sequestri di
tipo politico, dal decreto-legge 21 marzo 1978, n. 59 (Norme penali e
processuali per la prevenzione e la repressione di gravi reati),
inserendolo nell’ambito dello stesso art. 630 cod. pen. In sede di
conversione del decreto, la legge 18 maggio 1978, n. 191 scorporo’,
peraltro, la figura del sequestro "politico" dall’art. 630 cod. pen.,
introducendo l’autonomo delitto di cui all’art. 289-bis cod. pen.,
punito con identica pena. L’art. 9-ter del citato decreto-legge n. 59
del 1978, aggiunto dalla legge di conversione, prevede, d’altra
parte, che «le disposizioni del codice penale che richiamano l’art.
630 dello stesso codice si applicano anche in relazione al delitto di
sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione»: cio’, a
conferma dell’intento legislativo di stabilire un pieno parallelismo
tra le due figure delittuose.
A fronte delle analogie evidenziate, del tutto stridente
risulterebbe la differenza di trattamento censurata dal giudice
rimettente: vale a dire, l’applicabilita’ al solo sequestro a
carattere terroristico o eversivo dell’attenuante prevista dall’art.
311 cod. pen. Si tratta, infatti, di una circostanza di tipo
oggettivo, la cui applicazione e’ sostanzialmente legata a due ordini
di valutazioni: le caratteristiche dell’azione e l’entita’ del danno
o del pericolo da essa cagionato.
Proprio la natura esclusivamente oggettiva dell’attenuante in
discorso – la quale prescinde da qualsiasi considerazione concernente
l’elemento soggettivo del reato – renderebbe palese
l’irragionevolezza della mancata previsione di una attenuante analoga
per la fattispecie, oggettivamente identica, del sequestro a scopo
estorsivo.
Alla conseguente lesione dei principi di ragionevolezza e di
eguaglianza si aggiungerebbe quella dei principi di personalita’
della responsabilita’ penale e della finalita’ rieducativa della pena
(art. 27, primo e terzo comma, Cost.): principi funzionalmente
connessi, giacche’ l’applicazione della pena puo’ risultare
finalizzata alla rieducazione solo ove essa si adegui al caso
concreto e al grado di responsabilita’ del condannato. Nel caso in
esame, per contro, la rigidita’ «verso "l’alto"» della risposta
sanzionatoria – in termini non dissimili dalle pene fisse,
tendenzialmente contrarie al «volto costituzionale» dell’illecito
penale, secondo quanto chiarito da questa Corte – priverebbe il
giudice della possibilita’ di «individualizzare» il trattamento
punitivo.
4. – Si e’ costituito anche H.J., altro imputato nel giudizio a
quo, chiedendo, del pari, l’accoglimento della questione.
La parte privata rileva come, nell’inasprire progressivamente il
trattamento sanzionatorio del sequestro di persona a scopo di
estorsione, tramite un insieme di novelle legislative risalenti agli
anni 1974-1980, il legislatore sia stato ispirato da finalita’ di
prevenzione generale, in un periodo di recrudescenza della
criminalita’ e di conseguente allarme sociale, durante il quale il
sequestro di persona costituiva una modalita’ operativa tipica della
criminalita’ organizzata.
Il delitto in questione potrebbe configurarsi, tuttavia, in una
serie di situazioni concrete caratterizzate da livelli di
offensivita’ sensibilmente piu’ tenui rispetto a quelle considerate
dal legislatore dell’epoca. E’ quanto avverrebbe nel caso oggetto del
giudizio a quo: il delitto sarebbe stato, infatti, commesso, secondo
l’ipotesi accusatoria, per soddisfare una pretesa inerente a un
pregresso rapporto con il sequestrato, sia pure non giuridicamente
tutelabile; il sequestro e’ stato operato in ore diurne; la vittima
non e’ stata trattenuta in una localita’ isolata e angusta, ma in un
luogo di privata dimora sito nel centro di un comune; la limitazione
della liberta’ personale del sequestrato si e’ protratta per poche
ore; gli imputati hanno agito a volto scoperto; al sequestrato e’
stato, inoltre, permesso di contattare telefonicamente i propri
parenti, seppure allo scopo di risolvere la questione economica che
aveva dato origine al suo rapimento.
La fattispecie criminosa dell’art. 630 cod. pen. risulterebbe,
per altro verso, strettamente affine a quella del sequestro di
persona a scopo terroristico o eversivo – evocata come tertium
comparationis – per origine storica, identita’ dell’elemento
materiale, identita’ del trattamento sanzionatorio per la fattispecie
semplice e per le ipotesi aggravate dalla morte dell’ostaggio,
analogia delle attenuanti previste a favore del concorrente che si
dissocia e della disciplina speciale relativa al concorso di
circostanze.
A fronte di tale complesso di elementi di convergenza, le due
fattispecie si diversificherebbero, in punto di regime sanzionatorio,
sotto due profili.
In primo luogo, la pena riservata al concorrente che si dissocia
risulta piu’ mite in rapporto al delitto di cui all’art. 630 cod.
pen., che non a quello di cui all’art. 289-bis cod. pen. Tale tratto
differenziale, se da un lato non sarebbe cosi’ significativo da
impedire un confronto tra le due fattispecie, dall’altro lato
rivelerebbe come il legislatore abbia preso atto della minore
offensivita’ che il sequestro di persona a scopo estorsivo puo’
talora presentare rispetto ad analoghe condotte realizzate per
finalita’ terroristiche o eversive.
Cio’ renderebbe palese l’irragionevolezza della seconda e piu’
rilevante differenza, consistente nel fatto che solo in rapporto al
delitto previsto dall’art. 289-bis cod. pen. e’ configurata una
circostanza attenuante che consente di modulare il trattamento
sanzionatorio in presenza di elementi oggettivi che – come nel caso
di specie – risultino indicativi di una ridotta valenza offensiva del
fatto contestato.
Sotto tale profilo, la norma sottoposta a scrutinio sarebbe,
quindi, costituzionalmente illegittima per contrasto, anzitutto, con
l’art. 3, primo comma, Cost. Dal confronto con l’art. 289-bis cod.
pen. emergerebbe, infatti, come condotte illecite del tutto simili
ricevano un trattamento differenziato e che, anzi, sono quelle piu’
gravi a venire sanzionate in modo meno rigoroso, considerata la
preminenza della lotta contro il terrorismo e l’eversione rispetto
alla tutela del patrimonio.
Risulterebbe, altresi’, violato l’art. 27, terzo comma, Cost., in
quanto – come in piu’ occasioni affermato dalla giurisprudenza
costituzionale – la palese sproporzione del sacrificio della liberta’
personale provocata da una sanzione manifestamente eccessiva rispetto
al disvalore dell’illecito produce una vanificazione del fine
rieducativo della pena.
Sussisterebbe, infine, anche la violazione dell’art. 27, primo
comma, Cost., che sancisce il principio di personalita’ della
responsabilita’ penale, in quanto la norma censurata non
consentirebbe di modellare adeguatamente la risposta punitiva alle
caratteristiche del caso concreto e, pertanto, di irrogare una pena
«equamente personalizzata».

Considerato in diritto

1. – Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Venezia dubita della legittimita’ costituzionale dell’articolo 630
del codice penale, nella parte in cui non prevede, in relazione al
delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, una
circostanza attenuante speciale per i fatti di «lieve entita’»,
analoga a quella applicabile, in forza dell’art. 311 cod. pen., al
delitto di sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione,
di cui all’art. 289-bis del medesimo codice.
Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe i
principi di ragionevolezza, di personalita’ della responsabilita’
penale e della funzione rieducativa della pena (art. 3, primo comma,
e 27, primo e terzo comma, della Costituzione), prevedendo, per il
sequestro a scopo estorsivo, una risposta sanzionatoria di
eccezionale asprezza e tutta compressa «verso l’alto» – la reclusione
da venticinque a trenta anni – non ragionevolmente proporzionata
all’intera gamma dei fatti riconducibili al modello legale.
Censurabile, per questo verso, sarebbe segnatamente la mancata
previsione di una circostanza attenuante che consenta al giudice di
mitigare la risposta punitiva, in presenza di elementi oggettivi
rivelatori di una limitata gravita’ del fatto, sulla falsariga di
quanto e’ consentito dall’art. 311 cod. pen. in rapporto al sequestro
di persona a scopo terroristico o eversivo. Al riguardo, emergerebbe,
in effetti, una irrazionale disparita’ di trattamento di situazioni
omologhe, per la piena assimilabilita’ della figura criminosa ora
indicata al sequestro estorsivo, quanto a struttura, requisiti di
fattispecie, risposta sanzionatoria e rango degli interessi tutelati.
2. – La questione e’ fondata, nei termini di seguito specificati.
3. – L’attuale assetto sanzionatorio del sequestro di persona a
scopo di estorsione, delineato dall’art. 630 cod. pen., e’ l’epilogo
di una serie di interventi normativi, ormai alquanto risalenti nel
tempo e con i tratti tipici della legislazione "emergenziale" (artt.
5 e 6 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, recante «Nuove norme
contro la criminalita’»; art. 2 del decreto-legge 21 marzo 1978, n.
59, recante «Norme penali e processuali per la prevenzione e la
repressione di gravi reati», convertito, con modificazioni, dalla
legge 18 maggio 1978, n. 191; art. 1 della legge 30 dicembre 1980, n.
894, recante «Modifiche all’articolo 630 del codice penale»). Furono
interventi sollecitati dallo straordinario, inquietante incremento,
in quel periodo, dei sequestri di persona a scopo estorsivo, operati
da pericolose organizzazioni criminali, con efferate modalita’
esecutive (privazione pressoche’ totale della liberta’ di movimento
della vittima, sequestri protratti per lunghissimi tempi, invio di
parti anatomiche del sequestrato ai familiari come mezzo di
pressione) e richieste di riscatti elevatissimi, al cui pagamento
spesso non seguiva la liberazione del sequestrato, che trovava invece
la morte in conseguenza del fatto.
All’acuto allarme sociale generato da tali episodi il legislatore
intese dare risposta tramite una "strategia differenziata". Da un
lato, si procedette a un progressivo, cospicuo innalzamento della
misura della pena edittale comminata dalla norma censurata: pena che,
originariamente stabilita nella reclusione da otto a quindici anni
(oltre la multa), venne fissata, da ultimo – quanto all’ipotesi
semplice del reato – nella reclusione da venticinque a trenta anni.
Si tratta di una risposta sanzionatoria di eccezionale asprezza, ove
riguardata in una cornice di sistema: basti considerare che il minimo
edittale e’ superiore sia al massimo della pena comminata per
l’omicidio volontario (art. 575 cod. pen.), sia al limite massimo di
durata della reclusione stabilito in via generale dall’art. 23, primo
comma, cod. pen. (ventiquattro anni). Dall’altro lato, e
parallelamente, furono introdotte circostanze attenuanti volte a
stimolare forme di ravvedimento dell’agente – qualificate in termini
di «dissociazione» – in funzione della liberazione del sequestrato,
dell’impedimento delle conseguenze ulteriori del reato o della
collaborazione del reo con la giustizia.
Come attesta l’esperienza giudiziaria, la descrizione del fatto
incriminato dall’art. 630 cod. pen. – rimasta invariata rispetto alle
origini («chiunque sequestra una persona allo scopo di conseguire,
per se’ o per altri, un ingiusto profitto come prezzo della
liberazione») – si presta, peraltro, a qualificare penalmente anche
episodi marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso
di disvalore, rispetto a quelli avuti di mira dal legislatore
dell’emergenza. Si tratta di fattispecie che – a fronte della marcata
flessione dei sequestri di persona a scopo estorsivo perpetrati
"professionalmente" dalla criminalita’ organizzata, registratasi a
partire dalla seconda meta’ degli anni ’80 dello scorso secolo –
hanno finito, di fatto, per assumere un peso di tutto rilievo, se non
pure preponderante, nella piu’ recente casistica dei sequestri
estorsivi.
Rientrano in tale ambito, tra le altre, le fattispecie del genere
che viene in discussione nel giudizio a quo: ossia i sequestri di
persona attuati al fine di ottenere una prestazione patrimoniale,
pretesa sulla base di un pregresso rapporto di natura illecita con la
vittima. Come ricorda il giudice rimettente, la giurisprudenza di
legittimita’ appare ormai unanime, dopo un intervento chiarificatore
delle Sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza 17 dicembre
2003-20 gennaio 2004, n. 962), nel ritenere che simili fattispecie
integrino il delitto in questione, ricorrendo il requisito
dell’«ingiustizia» del profitto perseguito all’agente, dato che la
pretesa che egli mira a soddisfare e’ sfornita di tutela legale, in
quanto avente titolo in un negozio con causa illecita.
In queste e consimili evenienze, il fatto criminoso puo’
assumere, tuttavia – e non di rado assume – connotati ben diversi da
quelli delle manifestazioni criminose che il legislatore degli anni
dal 1974 al 1980 intendeva contrastare: cio’, sia per la piu’ o meno
marcata "occasionalita’" dell’iniziativa delittuosa (la quale spesso
prescinde da una significativa organizzazione di uomini e di mezzi);
sia per l’entita’ dell’offesa recata alla vittima, quanto a tempi,
luoghi e modalita’ della privazione della liberta’ personale; sia,
infine, per l’ammontare delle somme pretese quale prezzo della
liberazione.
4. – Cio’ premesso, questa Corte deve ribadire la propria
costante giurisprudenza in ordine al sindacato di legittimita’
costituzionale sulla misura delle pene.
Al pari della configurazione delle fattispecie astratte di reato,
anche la commisurazione delle sanzioni per ciascuna di esse e’
materia affidata alla discrezionalita’ del legislatore, in quanto
involge apprezzamenti tipicamente politici. La scelte legislative
sono, pertanto, sindacabili soltanto ove trasmodino nella manifesta
irragionevolezza o nell’arbitrio, come avviene a fronte di
sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee non sorrette da
alcuna ragionevole giustificazione (ex plurimis, sentenze n. 161 del
2009, n. 324 del 2008, n. 22 del 2007 e n. 394 del 2006).
In questa prospettiva, la Corte ha dichiarato manifestamente
infondata una precedente questione di legittimita’ costituzionale,
intesa del pari ad estendere al sequestro a scopo estorsivo una
attenuante speciale per i fatti di «lieve entita’» (ordinanza n. 240
del 2011). Nell’occasione, si discuteva, peraltro, dell’attenuante
delineata dall’art. 3, terzo comma, della legge 26 novembre 1985, n.
718 (Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale contro
la cattura degli ostaggi, aperta alla firma a New York il 18 dicembre
1979), in rapporto al delitto – previsto dal medesimo art. 3 – di
cosiddetto sequestro di ostaggi: attenuante in forza della quale «se
il fatto e’ di lieve entita’ si applicano le pene previste
dall’articolo 605 del codice penale aumentate dalla meta’ a due
terzi».
Al riguardo, questa Corte ha rilevato come la figura del
sequestro di ostaggi risultasse inidonea a fungere da tertium
comparationis ai fini considerati. Al di la’ di talune affinita’
strutturali, detta ipotesi criminosa e’, infatti, piu’ ampia e
generica del sequestro estorsivo in relazione all’obiettivo della
condotta, normativamente identificato nel fine di costringere un
terzo a compiere o ad omettere un qualsiasi atto: circostanza
dimostrata anche dall’espressa clausola di salvezza delle ipotesi
previste dall’art. 630 cod. pen. (oltre che dall’art. 289-bis cod.
pen.), con cui il citato art. 3 della legge n. 718 del 1985 esordisce
e che imprime al delitto in parola un carattere "residuale".
Il reato previsto dalla legge speciale si presta, pertanto, a
ricomprendere anche fatti assai meno negativamente connotati di
quelli sorretti da una finalita’ estorsiva. Il che puo’ spiegare la
previsione di una attenuante a effetto speciale, grazie alla cui
applicazione la pena minima per il delitto in questione – parificata,
quanto all’ipotesi semplice, a quella del sequestro estorsivo – puo’
scendere a soli nove mesi di reclusione (ordinanza n. 240 del 2011).
A tale ultimo proposito, la Corte ha anche rilevato come
l’accoglimento del petitum allora formulato dal giudice rimettente
avrebbe provocato una sperequazione di segno contrario a quella
denunciata. Ove la questione fosse stata accolta, infatti, la pena
minima applicabile per il sequestro di persona a scopo di estorsione
sarebbe risultata sensibilmente inferiore a quella irrogabile, ai
sensi degli artt. 56, terzo comma, e 629 cod. pen., per l’estorsione,
anche solo tentata, attuata con modalita’ diverse e meno espressive
di disvalore rispetto alla privazione dell’altrui liberta’ personale.
5. – E’ di tutta evidenza, peraltro, come le considerazioni ora
ricordate non valgano in rapporto alla questione oggi in esame,
concernente l’attenuante ad effetto comune applicabile, in virtu’
dell’art. 311 cod. pen., al delitto di sequestro di persona a scopo
terroristico o eversivo: questione che la citata ordinanza n. 240 del
2011 ha, del resto, precisato essere rimasta impregiudicata
(nell’occasione, essa era stata prospettata dalla sola parte privata
costituita, risultando percio’ non scrutinabile). L’art. 311 cod.
pen. stabilisce, in specie, che le pene comminate per i delitti
previsti dal Titolo I del Libro II – vale a dire, i delitti contro la
personalita’ dello Stato, tra i quali rientra il sequestro
terroristico o eversivo – «sono diminuite quando per la natura, la
specie, i mezzi, le modalita’ o circostanze dell’azione, ovvero per
la particolare tenuita’ del danno o del pericolo, il fatto risulti di
lieve entita’».
Diversamente dal sequestro di ostaggi, il sequestro a scopo di
terrorismo o di eversione si rivela, in effetti, pienamente idoneo a
fungere da tertium comparationis, ai fini che qui interessano. Si
tratta, infatti, di una figura non gia’ "residuale", ma strettamente
affine e sostanzialmente omogenea rispetto a quella del sequestro
estorsivo, sotto tutta una serie di profili.
Sequestro terroristico o eversivo e sequestro estorsivo (nella
sua attuale configurazione) hanno, anzitutto, una comune matrice
storica. La figura delittuosa del sequestro di persona a scopo
terroristico o eversivo e’ stata, infatti, introdotta
nell’ordinamento – in risposta all’allarmante ingravescenza del
fenomeno dei sequestri con finalita’ politiche, registratasi in quel
torno d’anni e sfociata in tragici episodi – dal decreto-legge n. 59
del 1978, accorpandola originariamente al sequestro estorsivo
all’interno dello stesso art. 630 cod. pen. Fu la legge di
conversione del decreto (legge n. 191 del 1978) a scindere le due
figure, estrapolando il sequestro terroristico o eversivo dall’ambito
dei delitti contro il patrimonio (Titolo XIII del Libro II) –
collocazione palesemente incongrua sul piano sistematico – per
trasferirlo nel nuovo art. 289-bis cod. pen., nella piu’ corretta
sede dei delitti contro la personalita’ interna dello Stato. Anche
dopo tale separazione, peraltro, l’opzione iniziale ha avuto comunque
un peso determinante nella riformulazione della figura del sequestro
estorsivo, che e’ rimasta condizionata dall’intento di mantenere il
parallelismo di disciplina con il sequestro terroristico o eversivo,
secondo i ricordati canoni della "strategia differenziata" (al
riguardo, sentenza n. 143 del 1984).
Sul piano, poi, della struttura della fattispecie, la condotta
integrativa dei due delitti e’ identica, consistendo nel privare
taluno della liberta’ personale. Le figure criminose si distinguono
solo in rapporto alla finalita’ che sorregge la condotta (dolo
specifico): di estorsione, in un caso, di terrorismo o di eversione
dell’ordine democratico, nell’altro.
Con riguardo al trattamento sanzionatorio, identica e’ anche la
pena prevista per la fattispecie-base: la reclusione da venticinque a
trenta anni.
Le due norme incriminatrici stabiliscono, poi, identici
aggravamenti di pena collegati alla morte del sequestrato, di
intensita’ crescente a seconda che si tratti di conseguenza non
voluta dal reo (reclusione per anni trenta) o di evento
volontariamente causato (ergastolo: artt. 289-bis, secondo e terzo
comma, e 630, secondo e terzo comma, cod. pen.).
In rapporto ad entrambe le fattispecie sono previste, inoltre,
analoghe circostanze attenuanti correlate alla «dissociazione»
dell’agente dagli altri concorrenti nel reato, funzionali a favorire
il recupero della liberta’ personale da parte del sequestrato (artt.
289-bis, quarto comma, e 630, quarto comma, cod. pen.); a evitare che
l’attivita’ delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, o a
stimolare il reo a prestare aiuto alla giustizia nella raccolta di
prove decisive per l’individuazione o la cattura dei concorrenti
(art. 630, quinto comma, cod. pen., che trova riscontro, quanto al
sequestro terroristico o eversivo, nell’art. 4, primo comma, del
decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, recante «Misure urgenti per
la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica»,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15).
Ancora: una ulteriore diminuzione di pena – per entrambi i delitti –
e’ prevista a favore del «dissociato» che fornisca un contributo di
eccezionale rilevanza, «anche con riguardo alla durata del sequestro
e alla incolumita’ della persona sequestrata» (art. 6 del
decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, recante «Nuove norme in materia
di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei
testimoni di giustizia, nonche’ per la protezione e il trattamento
sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia»,
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82).
Riguardo a tale insieme di attenuanti si registrano soltanto delle
marginali differenze nelle diminuzioni di pena, peraltro tutte a
sfavore del sequestro terroristico o eversivo.
Identica e’ pure la speciale disciplina del concorso eterogeneo
di circostanze, dettata dall’art. 289-bis, quinto comma, cod. pen. e
dall’art. 630, sesto comma, cod. pen. in rapporto alle fattispecie
aggravate dalla morte del sequestrato.
A ulteriore dimostrazione del parallelismo, il legislatore ha,
infine, introdotto due clausole generali di equiparazione, stabilendo
che le norme del codice penale che richiamano l’art. 630 e tutte le
norme processuali valevoli in rapporto al sequestro estorsivo si
applichino anche al sequestro terroristico o eversivo (artt. 9-ter e
10 del decreto-legge n. 59 del 1978).
A fronte di quanto precede, il fondamentale elemento di
differenziazione tra le due figure criminose – vale a dire la
diversita’ del bene giuridico protetto, riflessa nei contenuti del
dolo specifico – non solo non impedisce la comparazione, ma rafforza,
anzi, il giudizio di violazione dei principi di eguaglianza e di
ragionevolezza.
A fianco della comune lesione della liberta’ personale del
sequestrato, il sequestro terroristico o eversivo offende, infatti,
secondo una corrente lettura, l’ordine costituzionale (usualmente
identificato nell’insieme dei principi fondamentali che nella Carta
costituzionale servono a definire la struttura e la natura dello
Stato); il sequestro estorsivo attenta, invece, al patrimonio. Anche
a voler considerare le proiezioni sovraindividuali che, secondo un
diffuso indirizzo interpretativo, detta offesa patrimoniale
presenterebbe, sul piano dello spostamento di ricchezze verso
organizzazioni criminali e del loro conseguente potenziamento
(proiezioni, peraltro, non indefettibili, quante volte il sequestro
estorsivo risulti concretamente avulso da un contesto di criminalita’
organizzata), non puo’ esservi comunque alcun dubbio in ordine alla
preminenza del primo dei beni sopra indicati rispetto al secondo,
nella gerarchia costituzionale dei valori.
Tale rilievo, se giustifica la sottoposizione del sequestro
terroristico o eversivo a uno "statuto" in generale piu’ severo di
quello proprio del sequestro estorsivo, quale quello delineato dalle
restanti disposizioni comuni ai delitti contro la personalita’ dello
Stato, di cui agli artt. 301 e seguenti del codice penale
(punibilita’ dell’istigazione non accolta, del semplice accordo per
commettere il reato, della formazione di bande armate per realizzarlo
eccetera), rende, di contro, manifestamente irrazionale – e dunque
lesiva dell’art. 3 Cost. – la mancata previsione, in rapporto al
sequestro di persona a scopo di estorsione, di una attenuante per i
fatti di lieve entita’, analoga a quella applicabile alla fattispecie
"gemella" che, coeteris paribus, aggredisce l’interesse di rango piu’
elevato.
Cio’, tanto piu’ ove si consideri la particolare funzione assolta
da detta attenuante, rientrante nel novero delle circostanze
cosiddette indefinite o discrezionali (non avendo il legislatore
meglio precisato il concetto di «lievita’» del fatto): funzione che
consiste propriamente nel mitigare – in rapporto ai soli profili
oggettivi del fatto (caratteristiche dell’azione criminosa, entita’
del danno o del pericolo) – una risposta punitiva improntata a
eccezionale asprezza e che, proprio per questo, rischia di rivelarsi
incapace di adattamento alla varieta’ delle situazioni concrete
riconducibili al modello legale.
Di qui anche una concorrente violazione dell’art. 27, terzo
comma, Cost., nel suo valore fondante, in combinazione con l’art. 3
Cost., del principio di proporzionalita’ della pena al fatto
concretamente commesso, sul rilievo che una pena palesemente
sproporzionata – e, dunque, inevitabilmente avvertita come ingiusta
dal condannato – vanifica, gia’ a livello di comminatoria legislativa
astratta, la finalita’ rieducativa (sentenze n. 341 del 1994 e n. 343
del 1993).
Al riguardo, non giova obiettare – come fa l’Avvocatura dello
Stato – che la pena del sequestro estorsivo potrebbe essere comunque
mitigata tramite l’applicazione delle circostanze attenuanti comuni
e, in particolare, di quelle previste dagli artt. 62, numeri 4, 5 e
6, e 114, primo comma, cod. pen. Ai fini del rispetto del principio
di eguaglianza, il rilievo e’ inconferente, giacche’ la disciplina
generale relativa alle attenuanti comuni si applica anche al
sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione: con la
conseguenza che la censurata disparita’ di trattamento, connessa
all’inapplicabilita’ al sequestro estorsivo dell’attenuante speciale,
resta inalterata. Per altro verso, poi, l’attenuante del fatto di
lieve entita’, prevista dall’art. 311 cod. pen., non "assorbe", in
linea di principio, le attenuanti comuni evocate dalla difesa dello
Stato, che hanno propri e distinti presupposti di applicabilita’.
Considerazioni, queste, estensibili, mutatis mutandis, anche alle
attenuanti speciali connesse alla dissociazione, applicabili a
entrambe le figure criminose, e alle attenuanti generiche (art.
62-bis cod. pen.).
6. – Al tempo stesso, l’accoglimento dell’odierno petitum non
determina le incongruenze di segno opposto, evidenziate da questa
Corte con riguardo alla questione concernente l’attenuante speciale
per i fatti di lieve entita’ prevista in rapporto al sequestro di
ostaggi (ordinanza n. 240 del 2011).
Discutendosi di una attenuante ad effetto comune – che determina,
cioe’, una riduzione della pena edittale nella misura ordinaria
stabilita dall’art. 65, numero 3, cod. pen. (non eccedente un terzo)
– la pena minima irrogabile per il sequestro di persona a scopo di
estorsione, anche nel caso di riconoscimento dell’attenuante in
questione, resta comunque largamente superiore a quella della tentata
estorsione.
7. – Va dichiarata, pertanto, l’illegittimita’ costituzionale
dell’art. 630 cod. pen., nella parte in cui non prevede che la pena
da esso comminata e’ diminuita quando per la natura, la specie, i
mezzi, le modalita’ o circostanze dell’azione, ovvero per la
particolare tenuita’ del danno o del pericolo, il fatto risulti di
lieve entita’.
Le censure formulate dal rimettente in relazione al principio di
personalita’ della responsabilita’ penale (art. 27, primo comma,
Cost.) restano assorbite.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 630 del
codice penale, nella parte in cui non prevede che la pena da esso
comminata e’ diminuita quando per la natura, la specie, i mezzi, le
modalita’ o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare
tenuita’ del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entita’.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 marzo 2012.

Il Presidente: Gallo

Il Redattore: Frigo

Il Cancelliere: Melatti

Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2012.

Il Direttore della Cancelleria: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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