Cass. civ. Sez. II, Sent., 02-02-2011, n. 2422 Parti comuni dell’edificio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 30 maggio 2001 il Tribunale di Campobasso – adito dal curatore del fallimento di D.C.L. nei confronti del condominio dell’edificio sito in via (OMISSIS) in quella città – respinse l’impugnazione, proposta dall’attore, avverso la deliberazione assembleare del 10 novembre 1997, con la quale era stata negata l’autorizzazione in sanatoria della trasformazione di una finestra in porta e della costruzione di una scala esterna, eseguite per adeguare alle prescrizioni sull’edilizia scolastica l’unità immobiliare appartenente al fallito, data in locazione al comune e adibita a sede di una scuola; in accoglimento della riconvenzionale, condannò l’attore alla riduzione in pristino.

Adita dal soccombente, la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Campobasso, che con sentenza del 4 marzo 2004 ha rigettato il gravame, essenzialmente osservando: che il regolamento condominiale, di natura contrattuale, vietava sia ogni alterazione della facciata del fabbricato, sia l’occupazione degli spazi comuni, come quelle poste in essere dal curatore del fallimento di D. C.L.; che la necessità di adeguamento dell’unità immobiliare in questione alle sopravvenute prescrizioni in materia di edilizia scolastica non consentiva la violazione dei diritti degli altri condomini, derivanti dalle previsioni del regolamento; che erano ininfluenti le questioni relative alle dimensioni del nuovo manufatto, comunque "tutt’altro che di ingombro significante" ma si deve evidentemente leggere: "insignificante", in quanto esteso per un’area di oltre 3 mq.

Il curatore del fallimento di D.C.L. ha proposto ricorso per cassazione, in base a quattro motivi. Il condominio dell’edificio sito in via (OMISSIS) si è costituito con controricorso e ha presentato una memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso il curatore del fallimento di D. C.L. lamenta che la Corte d’appello ha erroneamente negato l’applicabilità, nella specie, delle disposizioni dell’art. 1102 c.c., le quali erano state pienamente rispettate (non avendo le nuove opere comportato alterazioni di destinazione delle parti comuni, nè impedimenti al pari uso degli altri comproprietari) e non potevano essere validamente derogate dalle "generiche e vessatorie" clausole del regolamento condominiale, che finivano per "inibire l’ordinario uso delle parti comuni e di quelle individuali".

L’assunto non è fondato.

Un regolamento condominiale di natura contrattuale può legittimamente apportare esclusioni o restrizioni alle facoltà che ordinariamente, secondo le previsioni della norma richiamata dal ricorrente, competono ai singoli partecipanti relativamente alle parti comuni, anche se ciò comporta limitazioni anche nell’uso dei beni di proprietà individuale. E’ quindi ininfluente che la modificazione della facciata dell’edificio e l’occupazione di parte della rampa di accesso alle autorimesse, come sostiene il curatore del fallimento di D.C.L., non avessero dato luogo a mutamenti di destinazione o a impedimenti di un altrui pari uso, nè che fossero necessarie affinchè l’appartamento acquisito alla procedura concorsuale potesse continuare ad essere adibito a scuola, come lo era stato per quasi quaranta anni senza contestazioni di sorta da parte del condominio.

Ne consegue che va disatteso anche il terzo motivo di ricorso, con il quale si deduce che il giudice di secondo grado avrebbe dovuto accogliere la richiesta di consulenza tecnica di ufficio o di ispezione dei luoghi, per verificare se le opere in questione rientrassero tra quelle consentite dall’art. 1102 c.c. o fossero comunque di trascurabile entità e tali da non arrecare alcun pregiudizio all’uso dei beni comuni, per la loro consistenza e ubicazione. L’assolutezza dei precisi divieti sanciti dal regolamento condominiale ("l’intero fabbricato non potrà subire alcuna sopraelevazione, le facciate non potranno subire alcuna variazione senza favorevole deliberazione dei condomini" – non possono essere occupati "gli spazi comuni in qualunque modo, permanente o temporaneo, con costruzioni e con qualunque oggetto") rende del tutto irrilevanti le suddette asserite caratteristiche del manufatto in questione. D’altra parte, che esso fosse di dimensioni esigue, è stato argomentatamente escluso dalla Corte d’appello, in base a dati oggettivi attinenti alla sua natura ed estensione.

Con il secondo e il quarto motivo di ricorso il curatore del fallimento di D.C.L. si duole, rispettivamente sotto i profili della violazione di norme di diritto e di vizi della motivazione, del disconoscimento della legittimità del proprio operato, che era stato imposto dalla necessità del rispetto delle sopravvenute prescrizioni in materia di edilizia scolastica: rispetto cui il comune aveva condizionato il rinnovo del contratto di locazione dell’appartamento acquisito alla procedura concorsuale.

Neppure questa censura può essere accolta.

Il giudice di secondo grado ha dato adeguatamente conto, in maniera esauriente e logicamente coerente, delle ragioni della decisione, rilevando, in fatto, che la collocazione della scala di sicurezza esterna effettivamente contravveniva alle clausole del regolamento condominiale contrattuale, nonchè ritenendo, in diritto, che non poteva ritenersi giustificata dall’impossibilità di continuare ad adibire a scuola quella porzione immobiliare, se la nuova opera non fosse stata realizzata. Su quest’ultima affermazione della Corte d’appello si deve senz’altro concordare, poichè la liceità dello svolgimento di una data attività è condizionato all’osservanza sia della disciplina pubblicistica che la regola, sia degli obblighi civilistici contrattualmente assunti dall’interessato verso terzi:

l’ima non fa venire meno gli altri, sicchè il contratto di locazione, seppure non fosse scaduto, si sarebbe risolto per impossibilità sopravvenuta derivante da factum principis.

Il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente a rimborsare al resistente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 2.500,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 2.500,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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