Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-02-2012, n. 1670 Riparazioni, miglioramenti, addizioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.C. citò, con atto notificato il 20 giugno 1984, innanzi al Tribunale di Cosenza, M.L.; G.; A., V. e R.M.T. nonchè N.A. ed C.U., chiedendo che dette parti fossero condannate al risarcimento dei danni – che quantificò in lire 30 milioni, salva diversa determinazione giudiziale – per tutti i lavori, addizioni e miglioramenti che aveva eseguito sul fondo nonchè a titolo di risarcimento del danno da rottura ingiustificata delle trattative, dirette appunto all’acquisto di un podere denominato " R.", di proprietà delle parti convenute, sito in agro di (OMISSIS); le parti convenute si costituirono eccependo l’infondatezza e la prescrizione del diritto precisando che negli anni 1968-1969 erano iniziate trattative per la vendita del terreno con il G.; in prosieguo uno solo dei comproprietari, R.F., aveva autorizzato l’attore a prender possesso del predio; nel 1972 e successivamente nel 1977, sfumata la possibilità di un accordo, il fatto era stato diffidato a lasciare il terreno, e dalla sua resistenza era sorta controversia che, dopo due gradi di giudizio, aveva visto vincitori gli esponenti; in particolare la Corte di Appello di Catanzaro aveva giudicato inammissibile, siccome nuova, la domanda dello stesso G. di ottenere un indennizzo à sensi dell’art. 936 cod. civ – e comunque infondata in ragione della posizione di comodatario che il G. aveva assunto in relazione al predio – ed aveva dichiarato la prescrizione dell’azione per responsabilità precontrattuale, in considerazione della sua natura extracontrattuale, e comunque la sua infondatezza, perchè non vi sarebbe stata alcuna responsabilità colposa per la rottura delle trattative in questione, non essendosi raggiunto un accordo sul prezzo.

Con autonomo atto di citazione notificato nell’agosto 1986 R. M.L., M.C., A., G., V., T. nonchè A. (o A.M.) N. (o N., tale qualificatasi nel controricorso), agendo per sè e per il figlio R.M. proposero altro giudizio – al primo poi riunito – al fine di far condannare il G. al risarcimento dei danni che avrebbero sofferto per il mancato reddito conseguibile dal fondo occupato dal medesimo e rilasciato solo nell’aprile 1985.

(Costituitisi in prosecuzione gli eredi di R.T. e R.G., il Tribunale cosentino, con sentenza del luglio 2001, respinse entrambe le domande del G. ed accolse in parte quelle avversarie, condannando il predetto a pagare lire 30 milioni a titolo di risarcimento del danno; tale decisione fu confermata dalla Corte di Appello di Catanzaro con sentenza n. 731/2005 che, per quello che ancora interessa in sede di legittimità, rilevò che, contrariamente all’assunto dell’appellante, il G. non poteva qualificarsi come possessore del fondo bensì solo come detentore per effetto di una concessione precaria da parte di R.F.:

ciò in base sia alle dichiarazioni difensive contenute nell’atto di citazione del 1984 sia alle statuizioni contenute nella pregressa sentenza 340/1982 del Tribunale di Cosenza; ne sarebbe conseguito che il medesimo, non potendo esser qualificato come terzo nè potendo vantare un titolo di possesso, non avrebbe avuto diritto nè all’indennità per i miglioramenti asseritamente apportati al fondo ex art. 1150 cod. civ. nè a quella per le addizioni ex art. 936 cod. civ.; quanto alla misura del risarcimento del danno riconosciuto agli attori in revindica – che l’appellante aveva ritenuto eccessivo – osservò la Corte territoriale che la liquidazione aveva correttamente tenuto conto di vari parametri di giudizio, e che quindi motivatamente il primo giudice era pervenuto ad una valutazione equitativa del pregiudizio subito dagli eredi R., prendendo solo spunto – ma non riproducendo in toto – i risultati di una consulenza tecnica all’uopo disposta.

Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso il G., affidandolo a due motivi illustrati da memorie; le altre parti hanno resistito con controricorso e memorie ex art. 378 c.p.c., ad eccezione di R.M.C. che non ha svolto difese;

nelle more dell’udienza di trattazione sono state presentate istanze L. n. 183 del 2011, ex art. 26 in cui si è dato atto del decesso:

della N. e del figlio R.M. – con la indicazione di successione nei confronti di R.M.L. e R. M.C., che hanno sottoscritto l’istanza – nonchè di Carlo D.B. – con indicazione degli eredi: D.L.C.M., M. e D.B.L., che, del pari, hanno sottoscritto la richiesta di trattazione -.

Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo la parte ricorrente ha censurato la motivazione della Corte distrettuale – ritenuta illogica, insufficiente e perplessa – con la quale era stato escluso che esso deducente fosse possessore del fondo: assume in proposito che a tale risultato interpretativo il giudice dell’appello sarebbe pervenuto non valutando il contenuto della missiva del 10 marzo 1970 – con la quale R.F. lo aveva immesso nel possesso del fondo in previsione del positivo esito delle trattative, allora in corso, dirette all’alienazione del fondo – e non delibando correttamente la sentenza n. 340/1982 del Tribunale di Cosenza dalla quale sarebbe emerso che, quanto meno a partire dal 14 marzo 1972, data della diffida al rilascio, non eseguito se non dopo 13 anni, la posizione di esso esponente avrebbe dovuto esser qualificata come quella del possessore e non già quella del comodatario; aggiunge inoltre che, nella previsione della futura compravendita, sarebbe stato più agevole ritenere instaurata una situazione possessoria piuttosto che una avente le caratteristiche della detenzione; a medesime conclusioni si sarebbe poi dovuto pervenire, da un lato considerando che gli eredi R. lo avevano convenuto in revindica e non già esercitando un’azione personale di rilascio e dall’altro valutando le numerose attività materiali poste in essere sul terreno al fine di conseguire il mutuo agevolato e per mettere il fondo a coltura.

20 – Con il secondo motivo viene denunciata la violazione dei principi attinenti al giudicato – art. 2909 cod. civ. – sia "l’illogica, insufficiente e perplessa" motivazione sul punto a cui la Corte distrettuale sarebbe pervenuta, attribuendo valore di statuizione facente stato extra processum ad un passaggio argomentativo espresso incidenter tantum nella sentenza n. 340/1982 del Tribunale di Cosenza – in cui si qualificava l’esponente come detentore – non esaminando al contrario l’eccezione di giudicato esterno – in senso diametralmente opposto a quello indicato dalla Corte territoriale – sollevata nell’atto di appello.

3 – Entrambi i motivi vanno esaminati congiuntamente, stante la loro stretta connessione logica, atteso che, sotto due diversi profili, si sindaca l’interpretazione, da parte della Corte di appello, sia delle emergenze istruttorie, sia del giudicato formatosi, sostanzialmente tra le medesime parti, in merito alla qualificazione di possessore da attribuire ad esso ricorrente.

4 – La censura attinente al vizio di motivazione è posta in modo non conforme al modello legale delineato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso, da un lato, che non viene specificato quale parte dell’ iter argomentativo sia stata insufficientemente articolata o sia stata in radicale contrasto con le proprie premesse logiche;

dall’altro che la valutazione delle emergenze di causa è rimessa alla discrezionalità del giudice del merito e può essere sindacata solo se il procedimento logico seguito dal decidente non sia ricostruibile o sia viziato nel suo iter ma non quando, rispettando tali canoni espositivi e logici, sia pervenuto a conclusioni divergenti da quelle del ricorrente. Va anche osservato che detto vizio viene anche dedotto in relazione alla non esaminata eccezione di giudicato esterno che il ricorrente assume di aver svolto nell’atto di appello: anche in questo caso la deduzione difensiva non è ammissibile: sia perchè si sarebbe trattato di un error in procedendo da sindacare à mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, attesa la sostanziale denunzia di omessa pronunzia su un’eccezione della parte, sia soprattutto perchè, in violazione del principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, parte ricorrente non indica in quale parte del proprio atto difensivo abbia proposto siffatta eccezione.

5 – In realtà le censure che qui si esaminano sono dirette non tanto a far valere un’omessa pronunzia sul giudicato formatosi sulla qualità di possessore del fondo, quanto piuttosto l’erroneità della pronunzia della Corte di Appello di aver ritenuto inesistente tale qualità in esso ricorrente, a seguito di una non corretta valutazione sia del dictum del Tribunale di Cosenza contenuto nella decisione n. 340/1982 sia delle pur riproposte emergenze di causa.

Il motivo, in questi termini, non è fondato.

5/a – Va evidenziato infatti che l’enunciazione di una situazione di interversione nel possesso, contenuta nella sentenza n. 340/1982 del Tribunale di Cosenza, non poteva dirsi coperta da giudicato in quanto detta statuizione non costituiva l’oggetto primario dell’accertamento giudiziale nè un passaggio logico ineliminabile per il riconoscimento del diritto dei R. di riottenere la disponibilità del fondo, una volta accertata l’infondatezza delle pretese del G. all’emissione di una sentenza ai sensi dell’art. 2932 cod. civ.; quel che era determinante in quella decisione era invece la circostanza che il G. fosse ingiustificatamente oppositivo al rientro degli attori nella disponibilità del tondo, al fine di giustificare una pretesa risarcitoria – poi accolta – da parte dei medesimi.

6 – Dato per accertato quanto precede non sono fondate le doglianze del G. neppure quando il predetto censura l’interpretazione della Corte distrettuale di alcuni documenti al fine di farsi riconoscere la posizione di possessore dopo l’immissione nella disponibilità del fondo: ciò sia perchè in questa sede è precluso l’accesso diretto agli atti – oggetto di scrutinio in sede di merito e del cui esatto contenuto nulla e dato di sapere – sia anche perchè la disponibilità del fondo in sede di trattative era meramente funzionale alla conclusione delle stesse e quindi, determinandosi in una fase precontrattuale, era inidonea all’investitura possessoria in capo al G., così che la sua posizione non poteva che considerarsi quella di un detentore qualificato, come correttamente statuito dalla Corte di merito, conclusione questa che viene confermata da quell’interpretazione di legittimità in merito alla ben più significativa situazione derivante dall’esecuzione anticipata di un preliminare di vendita, che qualifica come mera detenzione – discendente da un sostanziale contratto di comodato – il rapporto del promissario acquirente immesso nella disponibilità dell’immobile, salva la possibilità di valutare una sopravvenuta interversione nel possesso (cfr. Cass. S.U. n. 7930/2008; Cass. n. 1296/2010; Cass. 9896/2010; Cass. n. 6489/2011).

6/b – Escluso, per quanto sopra argomentato, che potesse esservi una preclusione di giudicato in merito all’effettiva interversione nel possesso, deve escludersi che la Corte abbia errato nel non trarre materia di contrario convincimento circa l’effettiva esistenza di tale mutamento della relazione del G. con il fondo dalla mancata ottemperanza alle diffide al rilascio notificategli a cura dei proprietari: invero la qualificazione del rapporto del G. con il terreno in termini di detenzione non poteva dirsi mutata, atteso che il mero atteggiamento oppositivo del ricorrente al rilascio non poteva di per sè ed univocamente, interpretarsi in termini di interversione, costituendo solo un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene, essendo indicativo, al più, della persistente volontà del G. di pervenire comunque ad un trasferimento giudiziale della proprietà del predio – nell’atto di citazione del 1977, che sfocerà nella sentenza n. 382/1984, il G. appunto richiese remissione della pronunzia costitutiva ex art. 2932 cod. civ.; del pari nelle conclusioni dell’atto di appello contro tale pronunzia insistette in tale domanda e solo in via subordinata chiese i danni e gli indennizzi ex artt. 1337 e 936 cod. civ. – e dunque logicamente presupponendo la poziore posizione dei pretesi promittenti venditori;

va altresì raggiunto, a riprova dell’assunto appena espresso, che nulla è dato di sapere in merito al corpus possessionis successivo alle due diffide, se cioè a seguito di esse il G. abbia anche intrapreso opere migliorative ed immutative del terreno rimasto nella sua disponibilità. 7 – le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 3.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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