Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-02-2012, n. 1640 Licenziamento per giusta causa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 17.11.2005/6.3.2007 la Corte di appello di Roma confermava la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda proposta da V.I. per fare accertare l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatole dalla Alma 93 srl, alle cui dipendenze aveva lavorato.

Osservava in sintesi la corte territoriale che i fatti contestati per una parte nemmeno costituivano illecito disciplinare, per altra non assumevano all’evidenza gravità tale da giustificare il licenziamento, non evidenziando un comportamento oltraggioso o una rilevante negligenza.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Alma 93 srl con cinque motivi.

Non ha svolto attività difensiva l’intimata.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 2119 c.c., nonchè vizio di motivazione assumendo che, nella decisione impugnata, mancava una valutazione globale dei comportamenti addebitati, nonchè della lesione della fiducia discendente dalla reiterazione di tali comportamenti.

Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, n. 5, la società ricorrente denuncia la contraddittorietà della decisione, per avere la corte di merito ritenuto che i fatti contestati evidenziassero, nonostante la loro reiterazione, una "mera negligenza" nello svolgimento dei compiti affidati.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 115 e 2119 c.c.) e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) con riferimento all’eccezione di aliunde perceptum, che la corte aveva ritenuto tardivamente proposta, sebbene, già in sede di ricorso, avesse avanzato ai giudici di appello conformi richieste istruttorie, chiedendo in particolare l’esibizione del libretto di lavoro.

Con il quarto motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia, invece, violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere i giudici di appello esaminato le difese svolte in punto di inapplicabilità della tutela reale, avuto riguardo al numero medio dei dipendenti nel periodo dal 2001 al 2005.

Con l’ultimo motivo, infine, la società ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 1175, 1375 e 1227 c.c., che i giudici di merito avevano mancato di riconoscere il pregiudizio derivato al datore di lavoro dalla omessa comunicazione della nuova residenza anagrafica della lavoratrice, e ciò ai fini della comunicazione dell’invito a riprendere servizio e della conseguente adozione del provvedimento di reintegrazione.

2. Il primo ed il secondo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e sono infondati.

La Corte territoriale, con adeguati accertamenti e corretta motivazione, ha ritenuto che la massima parte degli addebiti (ed, in particolare, i "ritardi" negli orari di uscita) neppure costituivano illecito disciplinare (non essendo l’orario di fine lavoro predeterminato in modo rigido) e che i restanti, anche alla luce delle previsioni contrattuali collettive, costituivano inadempimenti di scarsa importanza, non essendo stata accertata alcuna situazione di insubordinazione (contestazione n. 8), o una rilevante lesione dell’interesse organizzativo del datore di lavoro (contestazioni sub 3 e 6).

La Corte, lungi dal non valutare globalmente i fatti contestati, ha ritenuto, quindi, che gli stessi, tanto nel loro complesso, quanto nella loro individualità, non fossero idonei a determinare un notevole inadempimento degli obblighi connessi allo svolgimento della prestazione di lavoro e una irrimediabile lesione del vincolo fiduciario. Tale motivazione offre adeguata giustificazione alla decisione ed appare conforme ai limiti legali e giurisprudenziali della fattispecie, sicchè non risulta suscettibile di riesame in sede di legittimità. 3. Anche il terzo motivo è infondato.

I giudici di appello hanno, infatti, rilevato che l’eccezione relativa all’aliunde perceptum non era stata formulata in primo grado e tale affermazione non trova affatto smentita nel motivo, il quale, peraltro, nemmeno risulta conforme al principio di autosufficienza del ricorso, non avendo la società ricorrente provveduto a trascrivere le difese al riguardo svolte nei precedenti gradi del giudizio.

4. Va rigettato pure il quarto motivo stante l’inammissibilità anche per tal parte delle relative censure.

L’eccezione relativa ai criteri di determinazione della base occupazionale dell’azienda risulta, infatti, priva di riscontro nella decisione impugnata ed, in difetto di una puntuale specificazione dei termini e del luogo in cui la stessa è stata formulata nelle precedenti fasi del processo, deve apprezzarsi come nuova, e, quindi, in questa sede inammissibile.

5. Inammissibile è, infine, anche l’ultimo motivo.

A fronte, infatti, di quanto sul punto accertato dalla Corte romana, e precisamente che il cambio della residenza della V. risulta, fra l’altro, anche dalla relativa certificazione anagrafica esistente agli atti, era onere della società ricorrente documentare, in coerenza col canone di autosufficienza del ricorso, l’opposta allegazione in fatto svolta in seno allo stesso, dovendosi ribadire, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, che la parte che denuncia, in sede di legittimità, il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istnittorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie e processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla relativa trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse, dato che questo controllo deve poter essere compiuto dalla Corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative.

6. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Nulla in ordine alle spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, nulla in ordine alle spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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