T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, Sent., 11-01-2011, n. 16 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A. Dopo che la d.g.r. 8 aprile 2008, n. 822, approvò definitivamente il piano d’assetto territoriale intercomunale (P.A.T.I.) di Camponogara e Fossò, quest’ultimo Ente dapprima adottò (provvedimento 30 dicembre 2008, n. 74), e quindi approvò, con deliberazione consiliare 8 aprile 2009, n. 19, il conseguente Piano degli Interventi (P.I.), il quale entrò in vigore il seguente 16 maggio.

B. E.C. S.r.l. è proprietaria a Fossò di due separate aree, la prima censita a foglio 5, mappale n. 6697, e inclusa nell’A.T.R. 05 del Piano degli Interventi, la seconda, ricompresa nell’A.T.R. 06, e composta dai mappali nn. 51,53, 6681, 544, 6501 e 6500, sempre al foglio 5.

C. Per ciascuna delle due proprietà E. S.r.l. aveva presentato già il 9 aprile 2009 una proposta di piano di lottizzazione per edificazione residenziale, rispettivamente denominate A.T.R. 05 ed A.T.R. 06, conformi alle previsioni della strumentazione urbanistica, ma sulle quali l’Ente non si è pronunciato.

D. Era avvenuto che, nel mese di giugno, si erano svolte a Fossò le elezioni amministrative e ciò aveva condotto alla modifica della maggioranza di governo dell’Ente.

E. Il rinnovato consiglio comunale assunse così la deliberazione 30 settembre 2009, n. 67, e questa stabilì, per un periodo di mesi otto decorrenti dall’entrata in vigore dello stesso provvedimento, la sospensione dell’efficacia del Piano degli Interventi per le opere "che presentano incongruenze tra volume edificabile e superficie destinata a standard", ovvero, di tutte "le disposizioni e/o le previsioni del Piano degli Interventi… desumibili dalle N.T.O. e/o dagli elaborati di Piano, che prevedano in relazione alle aree di trasformazione, nel dispositivo elencate, nuove edificazioni, ampliamenti e/o comunque interventi edilizi comportanti la realizzazione di standard".

Nell’elenco, contenuto nel dispositivo, sono state incluse le aree di proprietà E., che ha pertanto impugnato in parte qua con il ricorso principale tale deliberazione.

F. L’esplicita ragione per cui la nuova maggioranza consiliare aveva deliberato la sospensione parziale del P.I. era stata quella di procurarsi così un intervallo, durante il quale approvare una variante al piano, destinata a rimuoverne i contenuti ritenuti inappropriati, senza dover nel frattempo applicare le previsioni contenute nello strumento vigente, ed accogliere così i piani attuativi conformi allo strumento vigente.

G. Con la deliberazione 26 febbraio 2010, n. 5, fu adottata tale variante: quanto ad E., per l’A.T.R. 05 la volumetria passò dai m³ 2250, stabiliti nell’originario P.I. a m³ 900, mentre per l’A.T.R. 06 la stessa venne ridotta da m³ 18.500 a m³ 9.000, così come la superficie territoriale, passata da m² 15.449 a m² 14.833; per questa seconda lottizzazione, inoltre, è stata richiesta la costruzione di un parcheggio aggiuntivo.

Il provvedimento è stato anch’esso impugnato con motivi aggiunti; con gli stessi è stata altresì gravata le deliberazioni di giunta 16 marzo 2010, nn. 52 e 53, mediante le quali la giunta aveva disposto in salvaguardia, ex art. 29 l.r. 11/2004, la sospensione d’ogni determinazione sui due progetti di lottizzazione E., in quanto gli stessi per volumetria, standard e sistemazione idraulica contrastavano con quanto previsto dalla variante al Piano degli Interventi in itinere.

H. Infine, con deliberazione 21 maggio 2010, n. 33, il consiglio comunale ha definitivamente approvato la variante al P.I., oggetto anch’essa di ulteriori motivi aggiunti.

I. Si è costituito in giudizio il Comune di Fossò, il quale ha concluso per la reiezione del ricorso principale e dei successivi motivi aggiunti.

Motivi della decisione

1.1. Come già esposto nella precedente narrativa, il primo provvedimento impugnato, nella parte d’interesse di E., è la deliberazione consiliare 67/09, la quale ha parzialmente sospeso il Piano degli Interventi.

1.2. Il primo motivo è compendiato nella violazione degli artt. 18 e 29 della l. 23 aprile 2004, n. 11 e dell’art. 21 – quater, della l. 7 agosto 1990, n. 241, nell’incompetenza relativa e nell’inesistenza del provvedimento.

1.2.1. La ricorrente osserva, anzitutto, come il provvedimento di sospensione faccia espresso riferimento all’art. 21 – quater della l. 241/90, il quale regola la sospensione degli atti amministrativi, ad opera della stessa autorità che li ha emanati: così facendo l’Amministrazione avrebbe incluso la sospensione stessa tra gli atti, i quali costituiscono espressione del potere d’autotutela.

1.2.2. Peraltro, il potere di sospendere un atto amministrativo costituirebbe esercizio dello stesso potere esercitato a mezzo dell’atto di primo grado, da esercitare replicando anche l’iter procedimentale seguito per la formazione di quest’ultimo.

Così, per sospendere il proprio Piano degli Interventi, il Comune avrebbe dovuto ripetere l’intero procedimento di cui all’art. 18 della l.r. 11/2004, dalla predisposizione di un documento programmatico, alla consultazione dei soggetti interessati, all’adozione, fino all’approvazione, una volta trascorso il termine per la presentazione delle osservazioni.

1.2.3. Tale procedimento non è stato invece qui seguito, visto che il consiglio comunale si è limitato ad assumere un atto soprassessorio immediatamente efficace.

Così operando, tuttavia, lo stesso organo avrebbe agito senza competenza: mancando la preliminare fase di adozione, non poteva ancora dirsi in concreto costituita in esso la competenza ad incidere direttamente, sospendendoli, sugli effetti del Piano approvato, con un provvedimento il quale presenta comunque anch’esso un contenuto complesso, che imporrebbe per ciò stesso una duplice deliberazione.

1.2.4. Oltre a ciò, poi, sarebbe illegittimo che, in presenza di un P.I. approvato – l’equivalente, in parte qua, del precedente piano regolatore generale, e risultato di un procedimento complesso ed elaborato – il Comune possa, con una mera determinazione consiliare, farne venir meno gli effetti, senza alcuna partecipazione della collettività locale, che pure nel piano fa affidamento e trae aspettative di stabilità.

1.3.1. Il secondo motivo di ricorso è rubricato nella violazione del ripetuto art. 21 – quater, in quanto tale disposizione, richiamata nel provvedimento impugnato, non sarebbe conferente, poiché disciplina la sospensione dei provvedimenti amministrativi, mentre il Piano degli Interventi non potrebbe essere così qualificato.

Il suo articolato contenuto, elencato nell’art. 17 della l.r. 11/04, imporrebbe di qualificarlo come atto amministrativo di natura generale come il precedente P.R.G.: sicché le regole sulla sospensione del P.I. non sarebbero quelle desumibili dall’art. 21 – quater, ma andrebbero tratte dai principi generali del sistema amministrativo.

1.3.2. Troverebbe così applicazione, in particolare, il principio del contrariusactus, e, così, la necessità che per l’approvazione della sospensione venga seguito lo stesso procedimento impiegato per l’approvazione, che non è stato invece utilizzato.

1.4.1. Il terzo motivo censura la sospensione per eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento.

L’adozione di una variante allo strumento urbanistico generale di per sé instaura, ex art. 29 l.r. 11/2004, il regime di salvaguardia, per cui le previsioni originarie dello strumento urbanistico vengono sospese fino al momento della approvazione della variante o, se questa non sopravviene, entro un termine predeterminato.

1.4.2. In altri termini, l’adozione produce l’effetto che il consiglio comunale ha inteso raggiungere con la sospensione.

Se, peraltro, l’organo collegiale avesse adottato una variante, non avrebbe potuto limitarsi a sospendere gli effetti del P.I., senza sostituirli con nuove previsioni, e sarebbe stato così osservato il principio per cui non possono esistere parti del territorio comunale sfornite di pianificazione urbanistica.

Al contrario, secondo E., la sospensione di per sé non farebbe rivivere la disciplina contenuta nel P.R.G., abrogato con l’approvazione del P.A.T.I., né stabilirebbe la futura disciplina urbanistica dell’area, come invece farebbe una comune variante del vigente strumento urbanistico.

1.4.3. Ne consegue, secondo la ricorrente, che l’odierna sospensione del piano assume la mera funzione – come, peraltro, dichiarato nella delibera stessa – di anticipare una futura variante, il cui contenuto è però incerto.

Ora, il potere di sospensione, secondo la ricorrente, discende da emergenze e contingenze "che generano gravi motivi ostativi al permanere degli effetti dell’atto", per un intervallo limitato, decorso il quale l’atto amministrativo sospeso deve riprendere a produrre i propri effetti.

Al contrario la sospensione degli effetti del P.I., la quale preluda ad una variante, non assolvere "alla funzione di impedire per un periodo di tempo delimitato l’efficacia del primo atto, ma ha lo scopo di anticipare una definitiva cessazione degli effetti che l’atto di primo grado produce": e da ciò l’ipotizzato sviamento.

1.5. Il motivo seguente è compendiato nell’eccesso di potere sotto il profilo della motivazione insufficiente e del difetto di istruttoria, dello sviamento, e della violazione dell’art. 21 -quater della l. 241/90.

1.5.1. La censura procede esaminando le motivazioni addotte dal Comune per sospendere il piano, quali espresse nel provvedimento gravato.

1.5.2. Anzitutto, secondo tale motivazione, il piano degli investimenti vigente "contiene una serie di previsioni che impongono ad aree edificabili con indici volumetrici relativamente bassi di destinare a standard quote di superficie rilevanti, addirittura superiori, in misura percentuale, rispetto a quelle richieste in relazione ad altre aree, situate nella medesima zona del territorio comunale ed aventi analoga destinazione, ma dotate di potenzialità edificatorie notevolmente più alte".

1.5.3. Pertanto, seguita il provvedimento, le scelte così operate "appaiono, ad un primo esame, illogiche e intrinsecamente contraddittorie, oltre che irrispettose del… principio di perequazione, nella misura in cui vanno ad imporre a proprietà inserite in uno stesso ambito di intervento, ovvero in ambiti analoghi, standard urbanistici non omogenei, e comunque non proporzionali né coerenti rispetto alla effettiva capacità edificatoria di ciascuna area".

1.5.4. Né si può dimenticare che il precedente 16 settembre 2009 "larga parte del territorio comunale è rimasta allagata per eventi meteorici… ed è probabile il ripetersi di simili eventi in futuro, rendendo urgente la necessità che interventi di trasformazione del territorio, pur ammessi dal Piano degli Interventi, vengano riesaminati alla luce di quanto contenuto nel Piano delle acque e che comunque l’amministrazione comunale non venga chiamata a rispondere per i possibili danni a future edificazioni".

1.6.1. Ora, osserva la ricorrente, la prima parte della motivazione censura – per altro del tutto genericamente – le scelte originariamente effettuate con l’approvazione del piano, esprimendo un diverso orientamento.

Ora, ciò è bensì legittimo, ma non basterebbe a realizzare le "gravi ragioni" che, ex art. 21 -quater, possono giustificare la sospensione: al più sarebbe stata giustificata l’adozione di una variante, ma non l’anticipazione dei suoi effetti attraverso uno strumento giuridico con finalità affatto diverse.

1.6.2. Per quanto poi concerne il Piano delle acque, la circostanza che lo stesso sia sopravvenuto al P.I, non basterebbe a dimostrare che quest’ultimo sia illegittimo o comunque incompatibile con i contenuti del primo.

Lo stesso avvenimento del 16 settembre di per sé non dimostrerebbe affatto che le previsioni del piano determinino uno sviluppo urbanistico a rischio idraulico.

1.6.3. In realtà, prosegue la ricorrente, il provvedimento di sospensione va considerato nel contesto in cui esso è stato emanato, ed al quale già si è accennato.

Il vero intendimento perseguito dai nuovi amministratori comunali sarebbe quello di elidere gli strumenti urbanistici assunti dalla vecchia amministrazione: e da ciò l’evidente sviamento di potere.

2.1. Orbene, ad avviso del Collegio, è anzitutto da escludere, che, con l’approvazione della variante, l’interesse all’annullamento del provvedimento di sospensione sia venuto meno, almeno in rapporto alla domanda risarcitoria presentata, poiché l’illegittimità della sospensione costituirebbe un presupposto essenziale per accertare la legittima aspettativa all’approvazione dei due piani di lottizzazione.

2.1.1. Ciò posto, una parte delle censure è fondata e merita accoglimento.

In effetti, i rilievi espressi in ciascuno dei motivi proposti individuano singoli profili del vizio principale, riconoscibile nel provvedimento impugnato, e cioè che l’istituto della sospensione del provvedimento amministrativo, di cui al citato art. 21 – quater, II comma ("L’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze"), è stata qui invalidamente utilizzata per anticipare gli effetti propri di una variante generale allo strumento urbanistico.

2.1.2. Invero, la disposizione testé citata non introduce specifiche limitazioni, e dunque di per sé non esclude che sia applicabile anche agli atti urbanistici generali, come il Piano degli Interventi.

È però vero, come osserva parte ricorrente, che il territorio comunale, fatte salve limitate eccezioni, deve essere costantemente retto da una disciplina urbanistica generale compiuta e coerente.

Per giustificare tale affermazione basterà fare riferimento alle norme, di cui alla stessa l.r. 11/04, che disciplinano la formazione degli strumenti urbanistici, la doverosità della loro approvazione e la funzione che questi svolgono nell’organizzazione e nello sviluppo del territorio.

2.1.3. È dunque compatibile con l’oggetto e la funzione del piano soltanto la sospensione di singole previsioni, relative ad ambiti affatto circoscritti e giustificata da contingenze del tutto peculiari. Dunque, qualcosa di affatto differente da ciò che è avvenuto a Fossò, dove è stata grandemente limitata la disciplina urbanistica generale per una parte significativa del territorio – quella destinata alle nuove edificazioni: è infatti certamente da escludere una reviviscenza del previgente piano regolatore generale, sia perché questo può conservare effetti solo nei casi e nei limiti stabiliti dalle norme transitorie della l.r. 11/04 (e quello in esame non vi è certamente incluso), sia perché, comunque, il Piano degli Interventi per tale non è stato integralmente ritirato con le deliberazioni gravate.

2.1.4. Inoltre, la motivazione addotta dal Comune a fondamento di una scelta così delicata ed impegnativa come quella della sospensione, è certamente generica, se non elusiva, parificando in poche righe situazioni ambientali che andavano invece necessariamente distinte ed invocando inappropriatamente, quanto ai rischi di allagamento, il principio di precauzione, laddove gli eventuali rischi avrebbero potuto trovare conveniente soluzione nell’approfondito esame dei singoli piani attuativi e della loro compatibilità con il piano delle acque, ammesso che questo dovesse ritenersi vincolante.

Sul punto vi è invero assai poco da aggiungere alle serrate critiche di E.: non si può parlare di "gravi ragioni" quando tutto si riduce ad imprecisate incongruenze nella determinazione degli standard ovvero a ipotetici futuri rischi idraulici dedotti da avvenimenti contingenti.

2.2.1. Non sono invece condivisibili le censure relative al procedimento, in quanto il provvedimento di sospensione, ad avviso del Collegio, non costituisce in generale un contrarius actus rispetto a quello costitutivo, sul quale esercita i suoi effetti, giacché non ne fa simmetricamente cessare definitivamente l’esistenza, ma soltanto ne limita temporaneamente l’efficacia.

2.2.2. La sospensione, insomma, pur apparentabile tanto al potere che ha generato il provvedimento come a quello che ne determina la caducazione, ha tuttavia finalità sue proprie, che ne consentono l’esercizio secondo una sequenza procedimentale semplificata, in modo da realizzarne lo scopo nei brevi tempi richiesti da un provvedimento cautelativo.

Dunque, nei ristretti limiti in cui una sospensione di singole previsioni del p.i. è ammissibile, un’unica determinazione del consiglio comunale è sufficiente: del resto, richiedendo il piano due distinte e successive manifestazioni di volontà, per poter divenire operativo, è sufficiente che una di queste venga sospesa, perché lo strumento non possa più continuare a svolgere i suoi effetti.

3.1. Accolto così il ricorso principale e conseguentemente annullato il provvedimento di sospensione del piano, non ne consegue senz’altro l’annullamento degli ulteriori provvedimenti gravati, con cui il Comune di Fossò ha prima adottato e poi approvato la variante al Piano degli Interventi: atti impugnati con le stesse censure, contenute nei successivi motivi aggiunti, proposti avverso l’adozione e ribaditi nei confronti della successiva approvazione.

Insieme all’adozione della variante al P.I. sono state impugnate anche le deliberazioni di giunta 52 e 53/10, con le quali – come si è già detto – è stata sospesa ogni determinazione sull’approvazione dei piani di lottizzazione E.: di tali atti la sentenza si occuperà successivamente.

3.1.1. Il primo motivo è invero compendiato nell’eccesso di potere sotto il profilo dell’insufficienza della motivazione, della sua perplessità, della sua pretestuosità e della contraddittorietà tra atti del procedimento; nell’eccesso di potere per sviamento nonché nella violazione del principio di tutela dell’affidamento.

3.1.2. La ricorrente enuncia preliminarmente la sua tesi, per cui la variante al P.I. costituirebbe "il culmine di una più generale operazione volta a vanificare la pianificazione dettata dalla precedente compagine che ha guidato l’amministrazione comunale", e ciò con effetto retroattivo, volto ad incidere su chi, come E. S.r.l., aveva già riposto il proprio affidamento sulla pianificazione medesima: insomma, l’obiettivo finale non sarebbe "quello di provvedere ad una migliore disciplina urbanistica delle aree, quanto quello di rimuovere, del tutto arbitrariamente, gli effetti che la disciplina previgente stabiliva".

3.2.1. Per dare fondamento alla sua tesi la ricorrente osserva anzitutto come le motivazioni fondanti la variante al P.I., quali espresse nei relativi provvedimenti, siano essenzialmente due.

Da una parte, invero, l’Amministrazione rileva che il Piano degli Interventi era stato approvato in difetto del preliminare Piano comunale delle acque; inoltre, nella variante sono stati parzialmente rideterminati "i contenuti e le carature urbanistiche del primo P.I. per riequilibrarne densità e consistenza", e ciò, secondo la ricorrente, avrebbe condotto ad una radicale decurtazione delle volumetrie in precedenza concesse, incluse quelle già riconosciute ad E. S.r.l.

3.2.2. Peraltro, tali giustificazioni non sarebbero plausibili, anzitutto per quanto concerne il Piano comunale delle Acque.

Questo, invero, non è previsto da alcuna disposizione di legge, ma soltanto dal piano provinciale di coordinamento, come viene del resto riconosciuto dalla deliberazione 27 ottobre 2009, n. 74, del consiglio comunale di Fossò, che tale Piano delle Acque ha adottato, ed è stata poi seguita dalla deliberazione 26 febbraio 2010, n. 4, che lo ha approvato.

Del resto, la Provincia di Venezia, nel dicembre 2008, con la deliberazione consiliare 104, si era limitata ad adottare il proprio piano di coordinamento, senza poi approvarlo: e se è vero che l’art. 29, comma II, della L.R. 11/2004 estende anche ai Piani provinciali di coordinamento il regime delle misure di salvaguardia, ciò non potrebbe riferirsi "alle prescrizioni procedimentali, che non sono in grado di incidere, in alcun modo, sulla destinazione urbanistica delle aree".

3.2.3. D’altro canto, il piano provinciale di coordinamento non obbligherebbe i Comuni a dotarsi del Piano delle Acque, prima di emanare il P.I..

L’art. 15 delle sue norme tecniche d’attuazione afferma invece che il Piano delle Acque prelude al P.A.T.I. e non al Piano degli Interventi, sicché sarebbe incongruo "invocare una variante del Piano degli Interventi sulla scorta della pretesa mancanza di un documento necessario alla formazione del P.A.T.I.".

Inoltre, altre susseguenti previsioni contenute nello stesso art. 15 confermerebbero che il P.I. poteva essere emanato, anche in assenza del Piano delle Acque, salvo il dovere di rispettare, nelle concrete trasformazioni del territorio che si andavano ad attuare, le linee guida contenute in appendice alle stesse N.T.A. provinciali e salva la necessità di procedere alle dovute impermeabilizzazioni, secondo le misure tecniche suggerite dai Consorzi di Bonifica: del resto, nulla conferma che effetto del Piano delle Acque dovesse essere una diminuzione delle volumetrie edificabili.

3.3.1. Per quanto poi concerne l’altro profilo con cui trova giustificazione la variante al P.I., questo si fonda su generiche considerazioni di merito, volte a dare una attuazione solo parziale al P.A.T.I., nonché a ridurre l’espansione urbanistica del Comune.

Ora, secondo la ricorrente, la scelta di modificare il Piano degli Interventi, con lo scopo dichiarato di dare applicazione solo parziale al P.A.T.I. equivarrebbe a disattendere o violare il PA.T.I. stesso, mediante una sua riforma in senso riduttivo, che, tuttavia, non potrebbe essere operata attraverso il Piano degli Interventi, che del primo costituisce uno strumento attuativo, ma modificando il P.A.T.I. stesso.

3.3.2. D’altro canto, seguita la ricorrente, le misure introdotte nella variante al P.I., riduttive della volumetria ed accrescitive degli standard urbanistici sarebbero contraddittorie con le ragioni addotte nei provvedimenti che avevano sospeso il precedente P.I..

Si era infatti allora parlato dell’intento di ridurre il divario tra le aree più avvantaggiate e quelle meno favorite, mentre la variante ha ridotto le volumetrie fabbricabili ed incrementato gli standard, senza così realizzare alcun riequilibrio, che si sarebbe potuto determinare solo riducendo i volumi, a standard immutati, ovvero aumentando gli standard, senza modificare i volumi.

La scelta compiuta con la variante, insomma, evidenzierebbe che gli scopi perequativi dichiarati non hanno avuto poi attuazione.

3.4.1. Emergerebbe così la questione fondamentale, e cioè la lesione dell’affidamento qualificato della parte privata circa la vocazione edificatoria dell’area, nella misura desumibile dal progetto di lottizzazione, che non è stato approvato, secondo la ricorrente, solo perché il Comune di Fosso ha assunto le deliberazioni di sospensione del P.I.: se, invece, i termini per la conclusione del procedimento fossero stati rispettati, la società ricorrente avrebbe potuto realizzare la lottizzazione, del tutto conforme all’originario Piano degli Interventi.

3.4.2. Accertata così in capo a E. una posizione di qualificato affidamento alla realizzazione del piano di lottizzazione secondo la previsione dell’originario P.I., il Comune, approvando la variante avrebbe dovuto prenderla in considerazione e giustificare la decisione di conculcare tale aspettativa del privato, comparando i diversi interessi coinvolti, mentre nulla di ciò ricorrerebbe negli atti che hanno condotto alla variante del P.I..

4.1. Le censure per come proposte non possono trovare accoglimento.

4.1.1. Anzitutto, va riconosciuto al Comune, quale ente esponenziale degli interessi collettivi in materia urbanistica, il potere di rivedere costantemente le proprie scelte sull’organizzazione del territorio, anche a breve intervallo di tempo dalle precedenti determinazioni in materia.

La circostanza che ciò trovi la propria giustificazione in un mutamento di maggioranza politica non vizia di per sé le relative determinazioni, giacché tale mutamento, invero, discende, a sua volta, da una variazione dell’elettorato, e dunque della popolazione residente, che ha così delegato ai nuovi amministratori anche il compito di modificare la disciplina urbanistica vigente.

4.1.2. Tale mutamento deve peraltro intervenire nel rispetto del principio di ragionevolezza: e questo non sarebbe osservato, qualora la variazione degli strumenti urbanistici fosse attuata da un’Amministrazione comunale al mero scopo di contrastare lo strumento vigente ed approvato, riconducibile ad una precedente e diversa maggioranza politica: questo Collegio non può che riconoscere il principio dell’unicità e della coerenza dell’azione amministrativa per gli enti pubblici rappresentativi ed elettivi, cui la ricorrente fa riferimento.

4.1.3. Inoltre, se la modificazione opera attraverso una variante di piano e questa introduce significative modificazioni di destinazione per aree già urbanisticamente classificate, l’intervento necessita di apposita motivazione, se le classificazioni preesistenti erano assistite da un affidamento qualificato, in capo ai rispettivi titolari, fondato su specifiche aspettative, "come quelle derivanti da un piano di lottizzazione approvato, da un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia o dalla reiterazione di un vincolo scaduto" (così, ex multis, C.d.S., IV, 4 maggio 2010, n. 2545; conf. id., V, 2 marzo 2009, n. 1149).

4.2.1. Stabilito questo, non trova adeguato riscontro nella situazione di fatto l’affermazione della ricorrente, secondo la quale le scelte compiute dalla nuova Amministrazione comunale sarebbero state determinate da un intento puramente demolitorio, e non anche da quello di fornire, in positivo, una disciplina urbanistica, certo parzialmente diversa da quella precedente, ma nondimeno congrua e frutto di scelte razionali.

4.2.2. Invero, la decisione di ridurre le volumetrie e di accrescere gli standard è opinabile, ma logicamente sostenibile, sicché la variante non può per questo essere ritenuta illegittima: le scelte del Comune di Fossò, sia quelle contenute nell’originario Piano degli interventi, come quelle espresse nell’impugnata variante, appartengono tutte all’ambito della discrezionalità, appartengono tutte all’ambito della discrezionalità, e non si può affermare che le prime siano preferibili a tal punto sulle altre da condurre ad una pronuncia d’illegittimità.

4.2.3. Egualmente, la decisione di adeguare il Piano degli Interventi al Piano delle Acque non è di per sé illegittima: il fatto che l’Amministrazione non vi fosse obbligata non significa, ancora un volta, che la relativa decisione sia per questo viziata.

4.2.4. Ancora, la rimarcata scelta di non dare totale attuazione al P.A.T.I. non significa senz’altro disattenderlo, come accadrebbe se il Piano degli Interventi presentasse dei contenuti in contrasto con il primo, e questi incidessero sull’ambito oggetto dell’intervento proposto dalla ricorrente.

In effetti, la censura de qua, prima ancora che infondata, è inammissibile per carenza d’interesse, poiché della decisione di dare solo parziale applicazione al P.A.T.I. potrebbe dolersi chi, per questo, vedesse disattese disposizioni di quest’ultimo a sé favorevoli: e non è quello che accade nella fattispecie.

4.2.5. Per quanto poi concerne l’affidamento della E., impregiudicata la domanda risarcitoria, su cui più oltre si tornerà, si sarebbe potuto parlare di un affidamento qualificato, in conformità alla giurisprudenza sopra citata, soltanto qualora i piani di lottizzazione fossero già stati effettivamente approvati – e non solo virtualmente, come invece propone la ricorrente – e la susseguente variante del piano ne avesse precluso l’attuazione: e solo in tale ipotesi si sarebbe potuto richiedere una specifica e puntuale motivazione.

Viceversa, a tale risultato non si è qui obiettivamente pervenuti, e dunque il predetto obbligo di motivazione non sussisteva: senza dire che, comunque, la variante contiene, sia pure in termine generali, un’articolata giustificazione delle scelte in essa contenute, come si è già prima veduto.

5.1.1. Infine, come segnalato, l’ultimo motivo (violazione dell’articolo unico della l. 1902/1952, dell’art. 12 del T.U. edilizia e per violazione dell’art. 29, della l.r. 11/2004) concerne i provvedimenti 52 e 53/2010, con i quali la giunta comunale ha sospeso i procedimenti sui piani di lottizzazione E., dichiarando di voler disporre una misura di salvaguardia, in conformità all’adozione della variante al P.I..

5.1.2. Invero, oltre ai vizi d’invalidità derivata, la ricorrente assume che la l. 1902/1952, l’art. 12 del t.u. edilizia, e l’art. 29 della l.r. 11/04 prevedono l’applicazione di una misura di salvaguardia, conseguente all’adozione di una variante allo strumento urbanistico generale, con riferimento soltanto ai titoli edilizi e non agli strumenti di pianificazione.

5.2.1. Orbene, esclusa la fondatezza della censura d’invalidità derivata, resta da valutare il motivo specifico.

Invero, secondo il ripetuto art. 29, dall’adozione degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale nonché delle relative varianti e fino alla loro entrata in vigore, nel limite di cinque anni, si applicano le misure di salvaguardia, ex l. 3 novembre 1952, n. 1902, e questa si riferisce testualmente ad "ogni determinazione sulle domande di licenza di costruzione, di cui all’art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150".

A sua volta, il citato art. 12, III comma, del d.P.R. 380/01, pure prevede che, in caso di contrasto dell’intervento, oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, "è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda", per un periodo fino a cinque anni.

5.2.2. Il dato testuale escluderebbe dunque dalla sospensione in salvaguardia gli strumenti attuativi, nella misura e nella parte in cui essi non comportano direttamente una trasformazione del territorio, non essendo revocabile in dubbio che, pur se venisse approvato lo strumento attuativo, la misura di salvaguardia si dovrebbe comunque poi applicare ai permessi di costruire, richiesti per realizzare gli interventi previste nello strumento attuativo, rendendolo comunque inoperante.

Sarebbe infatti elusivo della disciplina sulla salvaguardia che potessero essere rilasciati i necessari permessi di costruzione contrastanti con le previsioni generali adottate, solo perché conformi allo strumento attuativo approvato.

5.2.3. Così, pare infine al Collegio più appropriata un’interpretazione estensiva delle rammentate disposizioni di legge, la quale risponde ad un principio di economia dell’azione amministrativa.

Si deve cioè evitare che venga approvato un piano attuativo secondo una disciplina che, con elevato grado di probabilità, non sarà più vigente quando lo strumento potrebbe finalmente trovare attuazione, vanificando così il cospicuo impegno, anche economico, profuso da parte dei soggetti interessati per la sua formazione.

5.2.4. In ogni caso, la censura manca di reale interesse.

Invero, la variante è stata approvata e questo giudice la ritiene legittima, sicché l’annullamento della sospensione non attribuirebbe alcun vantaggio all’interessato, neppure in una prospettiva risarcitoria, poiché appunto il piano di lottizzazione a suo tempo presentato non potrebbe essere comunque realizzato in quanto incompatibile con la normativa urbanistica ora in vigore sul territorio del Comune di Fossò.

6.1. Resta così da esaminare la domanda risarcitoria proposta da E., naturalmente in relazione ai provvedimenti che sono stati riconosciuti illegittimi ed annullati, e dunque alla fase di sospensione del piano degli interventi.

6.1.1. I termini della questione possono essere sostanzialmente così compendiati: va stabilito se a E. spetti il risarcimento del lucro cessante conseguente al fatto che, ove l’Amministrazione non avesse – illegittimamente, come si è visto – sospeso il Piano degli Interventi, la sua lottizzazione, nel rispetto dei termini di cui all’art. 20 della l.r. 11/04, avrebbe dovuto essere approvata prima che la variante fosse adottata, rendendo in tal modo il piano attuativo insensibile alle previsioni contenute nella variante, tali da imporre quanto meno una parziale riprogettazione dell’intervento.

6.1.2. In sintesi, dunque, quello che viene lamentato è precipuamente un danno da ritardo, riconducibile all’art. 2 bis della l. 241/90, secondo cui le pubbliche amministrazioni sono tenute "al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento".

6.2. Orbene, il Collegio non può omettere di rilevare che su di una questione assai simile – in quel caso, prima che il Comune pervenisse ad una decisione sulla proposta di piano di lottizzazione, il piano regolatore era stato modificato rendendo inedificabile l’area interessata – si è pronunciato il giudice d’appello con la sentenza 29 gennaio 2008, n. 248, della IV Sezione.

6.2.1. Premesso che l’accoglimento della domanda risarcitoria presuppone "la valutazione circa la spettanza dell’utilità finale cui aspirano" i ricorrenti – il che peraltro non sarebbe consentito "allorché l’attività dell’amministrazione sia caratterizzata da consistenti margini di discrezionalità amministrativa" – la sentenza rileva che "l’approvazione del piano di lottizzazione, pur se conforme al piano regolatore generale o al programma di fabbricazione, non è atto dovuto, ma costituisce sempre espressione di potere discrezionale dell’Autorità (a livello comunale o regionale), chiamata a valutare l’opportunità di dare attuazione – in un certo momento ed in certe condizioni – alle previsioni dello strumento urbanistico generale, essendovi fra quest’ultimo e gli strumenti attuativi un rapporto di necessaria compatibilità, ma non di formale coincidenza; pertanto, per evidenti motivi di opportunità, l’attuazione dello strumento generale può essere articolata per tempi, o per modalità, in relazione alle esigenze dinamiche che si manifestano nel periodo di vigenza dello strumento generale (Sez. IV, 2 marzo 2004, n. 957)": sicché, conclude la decisione, va escluso che parte ricorrente abbia maturato "una concreta aspettativa alla sua approvazione".

Inoltre, l’impossibilità di procedere al predetto giudizio prognostico troverebbe qui "ulteriore conferma nella circostanza che le potenzialità edificatorie dei terreni oggetto di lottizzazione sono state azzerate" dai successivi strumenti urbanistici.

6.2.2. Orbene, al Collegio non sembra intanto condivisibile la tesi che al giudice amministrativo sia precluso, a fini risarcitori, un giudizio prognostico in riferimento all’attività discrezionale dell’Amministrazione, trattandosi comunque di conoscere e valutare non eventi casuali ed imprevedibili, o condotte libere ed arbitrarie, quanto invece comportamenti comunque retti da regole giuridiche e tecniche, nonché da criteri di logicità, ragionevolezza e congruenza, da applicare a situazioni note e concrete, spesso reiterate e segnate da prassi consolidate.

Non si tratta dunque di sostituirsi all’Amministrazione, ciò che è consentito al giudice amministrativo soltanto dell’ambito della giurisdizione di merito, ma di conoscere, esercitando il proprio prudente apprezzamento, di tutte le questioni presupposte alla pronuncia sulla domanda risarcitoria principale, per tale certamente appartenente alla sua giurisdizione

6.3.1. In materia, poi, l’art. 20 della l.r. 11/04 stabilisce anzitutto che il piano urbanistico attuativo "è adottato dalla giunta comunale e approvato dal consiglio comunale. Qualora il piano sia di iniziativa privata la giunta comunale, entro il termine di novanta giorni dal ricevimento della proposta corredata dagli elaborati previsti, adotta il piano oppure lo restituisce qualora non conforme alle norme e agli strumenti urbanistici vigenti" (I comma).

In seguito, entro cinque giorni dall’adozione "il piano è depositato presso la segreteria del comune per la durata di dieci giorni; dell’avvenuto deposito è data notizia mediante avviso pubblicato nell’albo pretorio del comune e mediante l’affissione di manifesti. Nei successivi venti giorni i proprietari degli immobili possono presentare opposizioni mentre chiunque può presentare osservazioni" (III comma).

Infine, entro trenta giorni "dal decorso del termine di cui al comma 3, il consiglio comunale approva il piano decidendo sulle osservazioni e sulle opposizioni presentate" (IV comma).

6.3.2. Si tratta dunque di una procedura puntualmente scandita, il cui rispetto, nella fattispecie in esame, avrebbe imposto alla giunta comunale di deliberare sulla proposta di lottizzazione E. entro il 7 luglio 2009 (la presentazione è del precedente 9 aprile 2009) ed al consiglio entro il 10 settembre successivo, ove la giunta non l’avesse respinta, e dunque prima che fosse deliberata la sospensione del Piano degli Interventi, peraltro illegittima, come si è visto.

6.3.3. È poi vero che né la giunta né il consiglio comunale erano obbligati ad approvare il p.u.a. secondo la proposta formata da E., ma lo potevano tuttavia respingere solo perché difforme dalle norme di legge e di piano vigenti.

Va tuttavia osservato che, se le proposte fossero state viziate, la nuova giunta avrebbe potuto senz’altro rilevarlo, anziché subordinarne l’esame alla conclusione del procedimento per l’approvazione della variante, il che conduce a supporre che le proposte rispettassero la disciplina dell’epoca.

6.3.4. Nemmeno le difese del Comune, d’altro canto, a parte generiche affermazioni di principio, hanno saputo fornire elementi specifici e circostanziati, idonei ad affermare che la giunta ed il consiglio comunale avrebbero trovato nelle norme e negli strumenti – e solo in quelli – ragioni adeguate per respingere le proposte E.: la stessa affermazione per cui l’ATR 5 costituirebbe un lotto intercluso in sé non è significativa, giacché questo avrebbe potuto condizionare l’esecuzione degli interventi alla costituzione delle prescritte servitù, ma non impedire in sé l’approvazione dello strumento attuativo.

6.4.1. In conclusione, si deve ritenere che, secondo una ragionevole valutazione prognostica, i piani di lottizzazione E. sarebbero stati approvati dall’Amministrazione comunale di Fossò prima che fosse adottata la variante al Piano degli Interventi, ove il Comune non avesse illegittimamente sospeso la relativa variante.

Pertanto, una volta giudicata la sospensione volontariamente formata dall’Amministrazione, in parte qua illegittima, ne segue che il termine per la conclusione dei procedimenti per l’approvazione dei piani di lottizzazione è stato ingiustificatamente inosservato e il Comune è tenuto a risarcire il danno ingiusto cagionato a E. in conseguenza di ciò.

6.5.1. Orbene, è intanto da sottolineare come la variante non vieti la realizzazione del piano, e delle relative costruzioni, ma riduca la volumetria ammessa.

In concreto la variante approvata ha comportato una decurtazione, rispetto al previgente regime urbanistico, di m³ 1.350 realizzandi, corrispondenti a circa 550 m² di superficie residenziale per ATR05 e una diminuzione di m³ 8.500 realizzandi, corrispondenti a circa 2837 m² di superficie residenziale per ATR06.

6.5.2. È questo, ad avviso del Collegio, il dato da cui deve muovere la decisione, considerato che la ricorrente ha chiesto trovi qui applicazione il combinato disposto dell’art. 34, I e IV comma, c.p.a.: il primo prevede, alla lett. c), tra l’altro, che la sentenza di merito può disporre la condanna al pagamento di una somma di denaro, anche a titolo di risarcimento del danno; il secondo che, in caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine; se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall’accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero l’adempimento degli obblighi ineseguiti.

6.5.3. Poiché, invero, non si può affermare con adeguato grado di certezza né che la volumetria originaria sarebbe stata effettivamente realizzata, e, tanto meno, che le abitazioni sarebbero state integralmente vendute, l’unico parametro di riferimento può essere rappresentato dal maggior valore che, secondo i parametri commerciali della zona, le due aree di proprietà E. possedevano a cagione di quella maggior superficie residenziale, successivamente venuta meno con la variante.

6.5.4. Il Comune dovrà dunque offrire una somma di denaro determinata sulla base di tale criterio, nel termine ritenuto congruo di trenta giorni dalla comunicazione della presente decisione; nel calcolo dello stesso importo andrà altresì considerato che per l’ATR06 è stato altresì incrementato lo standard a parcheggio di m³ 124.

7. Le spese di lite, compensate per metà in ragione della parziale reciproca soccombenza, vanno poste per il resto a carico dell’Amministrazione resistente e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie parzialmente e, per l’effetto:

a) annulla, nei limiti dell’interesse, la deliberazione 30 settembre 2009, n. 6, del consiglio comunale di Fossò.

b) condanna il Comune resistente a risarcire alla ricorrente il danno sofferto, secondo i criteri e nei limiti stabiliti in motivazione.

Compensa le spese di lite tra le parti in ragione della metà e condanna il Comune resistente alla rifusione del residuo, che liquida in Euro 6.000,00 per diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a. ed al contributo unico, come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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