Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 09-12-2010) 12-01-2011, n. 562

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 03.11.2009 la Corte d’assise d’appello di Cagliari integralmente confermava la pronuncia di primo grado che aveva condannato P.A. alla pena principale di anni 22 di reclusione, in concorso di attenuanti generiche equivalenti all’aggravante dei motivi futili, per il reato di omicidio volontario in persona di A.M. ed a quella di mesi uno di arresto ed Euro 200,00 di ammenda per il reato di porto ingiustificato di un coltello. Con la stessa sentenza il P. era altresì condannato al risarcimento generico dei danni in favore della costituita parte civile, con assegnazione di provvisionale come in atti.- In fatto entrambe le sentenze di merito ritenevano provato che in (OMISSIS), circa alle ore 22,50, il P. avesse accoltellato a morte A.M. vibrando al suo indirizzo numerosi fendenti con un’arma bianca peraltro poi non rinvenuta, ma – come da accertamenti autoptici – avente lama di circa dieci centimetri. La ferita risultata mortale è stata individuata in quella che si localizzava sulla superficie anteriore della coscia destra, lunga dieci centimetri ed approfondita per cinque, che aveva reciso arteria e vena femorale, causa di imponente e rapida emorragia. L’episodio era avvenuto all’esterno di un circolo privato nel quale alcune persone erano intente a seguire una partita di calcio alla televisione; verso la fine della partita, iniziata alle 21, e dunque circa alle 22,40, erano sopragiunti l’ A. e tale S.P., non soci del circolo, entrambi ubriachi, essendo il S. già dichiarato non gradito in tale sede per i suoi comportamenti scorretti; era seguito un diverbio tra il P. – che il presidente del circolo, tale At.Ug., aveva incaricato di tenere l’ordine- ed il S., discussione continuata fuori il locale dove l’ A. aveva seguito l’amico S.. Era stato a quel punto che il P. si era scagliato contro la vittima che se ne stava con le mani alzate ed aveva pronunciato la frase "così non va bene", colpendolo con numerose coltellate in vari distretti del corpo.- Tale essendo la ricostruzione del fatto, ritenevano entrambi i collegi di merito, per quanto ancora ha rilievo in questa sede: A) che vi fosse piena volontà omicida con dolo diretto d’impeto (così respingendo la tesi difensiva dell’omicidio preterintenzionale) in considerazione: 1) del tipo di arma che, in relazione ai risultati medico-legali, doveva necessariamente essere un coltello a punta con lama di circa dieci centimetri; 2) della reiterazione dei colpi, in numero di circa 14, di cui cinque raggiungevano il corpo (gli altri laceravano gli indumenti); 3) della violenza dei colpi, uno dei quali penetrato; 4) delle zone vitali prese di mira (tra cui il viso, l’emitorace sinistro e l’inguine); 5) delle stesse modalità della condotta, posto che l’imputato prima aveva dato uno schiaffone al S. e poi si era scagliato sull’ A. superando tale B. F. che aveva tentato di fermare il P. tanto da riportare una ferita alla mano. – B) che sussistesse piena capacità d’intendere e di volere in capo all’imputato (così respingendo la tesi difensiva della seminfermità di mente): vagliando l’ampio materiale raccolto sul punto (perizia d’ufficio, consulenze di parte pubblica e privata, deposizioni di medici che l’ebbero in cura, nonchè le pregresse documentazioni) si doveva dedurre che il P. era affetto da disturbo di personalità non altrimenti specificato (caratterizzato da tratti misti di vari disturbi) in soggetto dedito ad abusi alcolici, ma di entità complessivamente non così rilevante – anche alla luce della giurisprudenza di legittimità- da incidere sulle capacità di intendere e di volere;

tale giudizio era confermato anche dalla complessiva coerenza di comportamento tenuto dall’imputato sia prima che dopo il fatto di reato.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto imputato che motivava l’impugnazione deducendo: a) mancata derubricazione ad omicidio preterintenzionale: -la dinamica della vicenda rendeva evidente che esso P. voleva solo ferire l’ A. che stava per intervenire in difesa del S.; -non era credibile che, nella circostanza, la vittima, più prestante, non avesse atteggiamento ostile; -il coltello era di tipo pattadese, con lama lunga solo sei centimetri; -non erano stati attinti gli organi vitali più tipici; b) non era dunque sostenibile il dolo intenzionale, anche considerando le condizioni psicofisiche di esso imputato, nonchè la sua menomazione visiva; C) errata valutazione dell’elemento soggettivo; d) mancato riconoscimento del vizio parziale di mente: il P. era affetto da disturbo di personalità aggravato datìormai cronica dedizione all’alcol; aveva subito numerosi ricoveri presso il servizio psichiatrico; era stato già dichiarato seminfermo di mente per altra, pur minore, vicenda;

l’impulsività del reato era dunque ricollegabile a tale quadro patologico.

Motivi della decisione

3. Il ricorso, infondato in ogni su deduzione, deve essere rigettato con tutte le dovute conseguenze di legge.- Va invero dapprima rilevato come l’odierno ricorrente riproponga in questa sede, sub specie vizi di legittimità, questioni già avanzate nei precedenti gradi di giudizio e già correttamente risolte dai giudici di merito.

3.1 E’ infondato il primo motivo di ricorso nelle sue varie articolazioni (v. sopra sub 2.a – 2.b -2.c) con il quale si censura la confermata qualificazione giuridica di omicidio volontario, anzichè preterintenzionale. In proposito va riaffermato che, il discrimine tra le due figure essendo dato dall’elemento psicologico, è pacifica e consolidata giurisprudenza che insegna sussistere il reato di cui all’art. 575 c.p. quando l’azione sia sorretta da dolo omicidiario quanto meno nella sua forma minima del dolo eventuale (cfr. Cass. Pen. Sez. 1, n. 35369 in data 04.07.2007, Rv. 237685, Zheng; ecc). Ciò posto, la sussistenza di un animus necandi sia pur eventuale va tratto dagli elementi esterni della condotta che facciano, per la loro consistenza e significatività, escludere un’intenzionalità non eccedente il dolo di mere percosse o lesioni.

In tal senso si rivela del tutto corretta la motivazione dell’impugnata sentenza (ma anche di quella di prime cure) che tale animus volto all’evento maggiore ha tratto sulla base di consolidati parametri di valutazione, quali già riconosciuti validi, in materia, dalla giurisprudenza di questa Corte: -il tipo di arma usata ed in particolare la lunghezza della lama; -la reiterazione dei colpi; -la violenza degli stessi; -le zone vitali prese di mira; -le modalità della complessiva condotta (su tutto ciò v. amplius sopra sub 1.A), Tanto ribadito, è del tutto evidente l’infondatezza delle varie articolazioni del proposto motivo: a) il fatto che la vittima stesse per intervenire a favore del S. e la dedotta circostanza circa la maggiore prestanza fisica dello stesso A. non possono indurre la conclusione, in sè illogica e non necessaria, secondo cui per ciò solo non vi poteva essere dolo omicidiario: a tal proposito già basta la considerazione dell’eccesso dei colpi vibrati (in numero di almeno 14) rispetto al minimo necessario per allontanare quello che – in tale prospettazione difensiva- sarebbe stato solo un intruso; b) gli esiti delle ferite inferte, sia per la loro lunghezza che per la profondità raggiunta, devono fare escludere -secondo le ben affidabili risultanze della consulenza medicolegale- che sia stato usato un coltello avente lama di soli sei centimetri, anzichè maggiore; c) sono state attinte zone vitali del corpo, quanto meno l’inguine, da cui è derivata la mortale lacerazione di importanti vasi e la successiva emorragia letale; peraltro anche le altre zone mirate (tutto il corpo, tra cui anche il capo ed il tronco) sono significative dell’intenzionalità maggiore; c1) le condizioni psicofisiche di esso imputato non possono avere interferito sul piano dell’elemento psicologico, stante anche la comune comprensibilità – sul piano più naturale- di una così forsennata aggressione in vari distretti del corpo della vittima.

3.2 Parimenti infondato è anche il motivo del ricorso che intende censurare il mancato riconoscimento del vizio parziale di mente. Su tale specifico punto entrambe le Corti di merito hanno esplicato ampia e corretta motivazione, esaminando tutte le varie risultanze versate in atti; in particolare sono state vagliate e discusse anche le documentazioni e la consulenza di parte, con risultati logici e coerenti che qui devono essere convalidati. La conclusione dei giudici di merito, secondo cui il disturbo di personalità di cui soffre il P. non è di tale intensità e pervasività da comportare una grave compromissione della capacità di intendere o di volere, risulta conforme ai parametri valutativi insegnati dalla giurisprudenza di legittimità in materia (cfr. Cass. Pen. SS.UU. n. 9163 in data 25.01.2005, Rv. 230317, Raso; Cass. Pen. Sez. 6, n. 43285 in data 27.10.2009, Rv. 245253, Bolognani; ecc). E’ dirimente, poi, la considerazione secondo cui la concrete modalità della vicenda debbono fare escludere un rapporto eziologico tra tale disturbo e la condotta di reato, come sviluppatasi nella varie fasi della vicenda. Risulta logica e coerente, dunque, la motivazione della Corte territoriale che rileva, da un lato, una linea di condotta dell’imputato del tutto lucida e adeguata, la sera del fatto e, dall’altro, come più che discontrollo reattivo via sia stata aggressività pura. Nè la dipendenza da alcol, peraltro non giunta allo stadio di alcolismo cronico, poteva avere rapporto con i fatti, essendo essa responsabile di umore depresso, non di iperreattività.

Tali motivazioni sono contrastate nel ricorso qui prodotto con la mera ripetizione dei temi e degli argomenti già ben valutati dai giudici del merito e non possono quindi essere accolti. In particolare, proprio per la ritenuta mancanza concreta di un rapporto causale tra disturbo e condotta, risulta in definitiva irrilevante proporre -come fa il ricorrente- il riconoscimento del vizio di mente in occasione di altro episodio di reato, nonchè i precedenti ricoveri, elementi tutti -peraltro- già oggetto di disamina critica in sede di merito.

3.3 In definitiva il ricorso, infondato in ogni sua deduzione, deve essere rigettato. Alla completa reiezione dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente P.A. al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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