Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 01-12-2010) 12-01-2011, n. 610

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Brescia, con sentenza del 6/12/99, dichiarava S. A. e C.L. colpevoli del delitto di cui agli artt. 81 e 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 80, e li condannava alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione ed Euro 80.000,00 di multa, con interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni tre.

La Corte di Appello di Brescia, con sentenza dell’8/11/07, chiamata a pronunciarsi sull’appello avanzato dai prevenuti, in parziale riforma della impugnata decisione, ha ridotto la pena ad essi inflitta ad anni 2 e mesi 8 di reclusione ed Euro 24.000.00 di multa ciascuno, con conferma nel resto.

Propone ricorso per cassazione la difesa degli imputati con i seguenti motivi:

– erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, e all’art. 62 c.p., n. 6;

– erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, all’art. 379 c.p. e all’art. 114 c.p.;

– inadeguata motivazione in punto di rigetto della richiesta di prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante;

– omesso riscontro al motivo di appello inerente alla istanza di patteggiamento a cui il p.m. aveva manifestato il dissenso.

Motivi della decisione

Preliminarmente si rileva che la C. ha inoltrato in atti dichiarazione di rinuncia alla impugnazione, per cui il ricorso da costei avanzato va dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge.

Per quanto attiene alla posizione del S., i motivi dallo stesso libellati si palesano privi di fondamento e vanno, pertanto, rigettati.

Osservasi che la argomentazione motivazionale adottata dal decidente a sostegno della affermazione di responsabilità del prevenuto, in ordine al reato allo stesso ascritto, è del tutto logica, con richiami puntuali alle emergenze istruttorie, comprovanti la condotta illecita contestatagli (dichiarazioni rese dallo stesso S. e dalla C.; intercettazioni telefoniche;

servizi di osservazione svolti dagli agenti; esito degli accertamenti bancari).

In considerazione della valutazione della piattaforma probatoria il Tribunale, prima, e la Corte distrettuale, poi, hanno, a giusta ragione, evidenziato la insussistenza di motivi che potessero far dubitare della fondatezza di quanto riferito dal prevenuto in ordine al traffico di hashish.

Quanto alla mancata concessione delle invocate attenuanti generiche e al contestato riconoscimento dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, il giudice di merito rileva che la dimensione del compendio di stupefacente, ricevuto e detenuto dal S., rende fondata la contestazione della predetta aggravante, visto il carattere ingente del quantitativo di droga, e, nel contempo impedisce di pervenire a ritenere le prime prevalenti sulla detta aggravante.

In relazione alla censura sulla denegata concessione della attenuante di cui all’art. 73 cit., comma 7, il discorso giustificativo, svolto dal decidente appare del tutto corretto e logico: per la applicazione della ipotesi di cui al comma 7 necessita che le dichiarazioni collaborative, rese dall’imputato, abbiano comportato il conseguimento di determinati risultati, ossia la interruzione della attività criminosa in atto, mediante l’arresto di altri complici o il sequestro dello stupefacente destinato alla circolazione, oppure alla sottrazione di risorse per la commissione dei delitti (Cass. 14/3/95, Scigliano).

Le dichiarazioni del prevenuto, ad avviso del giudice di merito, hanno confermato il traffico di stupefacenti, i cui termini erano, però, già stati individuati e seguiti dagli agenti operanti nelle attività investigative; nè tali dichiarazioni hanno permesso di sottrarre ulteriori risorse rilevanti all’illecito commercio.

Priva di fondamento è, del pari, la censura mossa in relazione all’omesso riscontro, in sentenza impugnata, al motivo inerente alla applicazione del rito premiale, ex art. 444 c.p.p., a cui il p.m. aveva manifestato il proprio dissenso.

Sul punto, infatti, si rileva che una volta avanzata la istanza di patteggiamento da parte del difensore dell’imputato, ritualmente munito di procura speciale, sulla quale la pubblica accusa non aveva prestato il consenso, la stessa difesa invocava che si procedesse ex artt. 438 e seg. c.p.p., rinunciando, così, implicitamente, alla prima predetta istanza.

Ne consegue che oggi il S. non può proporre al giudice di legittimità di ritenere ingiustificato il dissenso del p.m. ed applicare la pena a suo tempo richiesta, in quanto la richiesta del giudizio abbreviato, avanzata dall’imputato ed accolta dal giudice, implica rinuncia al rito di applicazione della pena su richiesta delle parti (Cass.7/8/2007, n. 32234), e, peraltro, non può contestarsi al giudice di seconde cure di non avere riscontrato la doglianza in esame, perchè la manifesta evidente inammissibilità della stessa, permette al giudice di merito di non farne oggetto di specifico riscontro.

In dipendenza di quanto osservato, il ricorso della C. va dichiarato inammissibile e, non essendo la rinuncia alla impugnazione supportata da adeguati elementi giustificativi, la stessa prevenuta deve essere condannata ex art. 616 c.p.p.; mentre il ricorso del S. è infondato e va rigettato.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di C.L. e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 500,00. Rigetta il ricorso di S.A. che condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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