Cons. Stato Sez. VI, Sent., 12-01-2011, n. 117 Atti amministrativi diritto di accesso; Competenza esclusiva del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. L’odierno appellante inoltrava alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Napoli e Provincia un’istanza di accesso relativa a "tutte le pratiche riguardanti l’Isola di Capri (sia il Comune di Capri che il Comune di Anacapri), inviate all’autorità ministeriale.. ai fini del controllo delle autorizzazione paesaggistiche rilasciate in sede comunale", inoltrate nel corso degli ultimi cinque anni, in zone classificate a protezione integrale e riferite a tutte le possibili tipologie di esito (definite tacitamente o con provvedimento espresso, di accoglimento, di rigetto o di accoglimento con prescrizioni, riferite a sette tipologie di intervento edilizio:

a) la realizzazione di piscine o vasche di qualunque natura;

b) la realizzazione di muri di contenimento, o di terrazzamenti, anche sub specie di recupero di quelli originari successivamente demoliti o diruti e anche in quanto parti di interventi più complessi;

c) la realizzazione di strade o di percorsi di qualunque natura;

d) la realizzazione di scale, scalinate, gradoni e simili, nonché di rampe di qualunque natura;

e) la realizzazione di funicolari o di altri sistemi di trasporto concernenti persone invalide;

f) la realizzazione di opere di palificazione di qualunque natura ivi compresi muri perimetrali, staccionate e simili;

g) la realizzazione di pali, tralicci e strutture verticali in genere, per fili elettrici di altra tensione o d’altro tipo.

La richiesta veniva correlata alla necessità di dimostrare la sussistenza del vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento nell’ambito di un giudizio che aveva intenzione di proporre per l’annullamento di un provvedimento della Soprintendenza relativo ad una autorizzazione paesistica dal lui richiesta.

2. Con il provvedimento 28 aprile 2010 n. 8240 la Soprintendenza respingeva la richiesta per difetto delle condizioni di cui all’art. 22, l. 241/1990, rilevando, in particolare, come l’istanza fosse relativa ad interi fascicoli e non a singoli documenti e come la stessa non evidenziasse un interesse "diretto, concreto e attuale" del richiedente l’accesso.

3. Avverso tale provvedimento di diniego il ricorrente proponeva ricorso al Tar Campania – Napoli, articolando la censura di violazione dell’art. 22, l. n. 241/1990.

4. Il Tar adito, con la sentenza in epigrafe, ha respinto il ricorso in base ai seguenti argomenti:

a) l’oggetto della richiesta di accesso è costituito da un numero indeterminato di provvedimenti, i cui dati identificativi non sono forniti dall’istante, che si limita ad indicare una complessa serie di criteri in base ai quali l’amministrazione intimata dovrebbe procedere all’individuazione di quanto richiesto;

b) l’estrema genericità della richiesta e la necessaria attività di ricerca che la stessa mira a stimolare – decisamente esuberante rispetto alla dichiarata necessità di acquisire alcuni precedenti da utilizzare nel corso del giudizio impugnatorio al fine di comprovare la sussistenza dell’eccesso di potere per disparità di trattamento – determina, come ritenuto dall’amministrazione intimata, la non configurabilità, in capo al ricorrente, di un "interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso", alla quale l’art. 22, l. 241/1990 collega la titolarità del diritto di accesso;

c) la domanda di accesso deve avere un oggetto determinato o quanto meno determinabile e non può essere generica; deve riferirsi a specifici documenti senza necessità di un’attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta, deve essere finalizzata alla tutela di uno specifico interesse giuridico di cui il richiedente è portatore;

d) la domanda di accesso inoltrata dal ricorrente, per contro, proprio per l’estrema genericità e indeterminatezza che la caratterizzano, è tale da richiedere un’attività di indagine, reperimento ed elaborazione di dati incompatibile con la concreta disciplina dell’istituto, che non prevede un onere dell’Amministrazione, cui è rivolta l’istanza di accesso ai documenti amministrativi, di porre in essere un’attività di ricerca tesa alla loro individuazione, incombendo, invece, sul richiedente l’onere di circostanziare l’istanza presentata, con indicazione, se non degli estremi di detti atti, quanto meno di elementi chiari per la loro individuazione;

e) diversamente opinando l’accesso si tradurrebbe in un ingiustificato appesantimento dell’azione amministrativa, contrario ai principi di tempestività e di economicità, cui l’Amministrazione stessa deve uniformarsi;

f) in violazione di quanto prescritto dell’art. 24, co. 3, l. n. 241/1990, infine, il concreto contenuto dell’istanza prodotta dal ricorrente è sintomatico di una finalità sostanzialmente esplorativa, finalizzata ad un controllo generalizzato dell’operato della Soprintendenza;

g) l’interesse dell’istante alla conoscenza dei documenti amministrativi deve essere necessariamente comparato con altri interessi rilevanti, fra cui quello dell’Amministrazione a non subire eccessivi intralci nella propria attività gestoria, garantita anche a livello costituzionale; sì che, anche per tale aspetto, il fine di generale verifica dell’attività amministrativa resta estraneo alla finalità per la quale risulta legislativamente previsto lo specifico strumento dell’accesso.

5. Ha proposto appello l’originario ricorrente con atto ritualmente e tempestivamente notificato e depositato.

5.1. Lamenta, in relazione alla sentenza, in vizio di ultrapetizione, in quanto il Tar ritiene infondata la richiesta di accesso in base ad argomenti diversi da quelli indicati nel provvedimento impugnato.

Quest’ultimo faceva riferimento alla circostanza che la richiesta avesse ad oggetto interi fascicoli anziché singoli documenti, che non vi fosse un interesse diretto, concreto e attuale, e che vi fossero esigenze di tutela della riservatezza di terzi.

Invece la motivazione del Tar fa riferimento all’eccessiva ampiezza e genericità della richiesta, che imporrebbe all’Amministrazione una non dovuta attività di elaborazione dei dati.

Ad avviso dell’appellante sussisteva l’interesse alla richiesta, essendo gli atti necessari per preparare una difesa in giudizio.

Il vizio di disparità di trattamento non può essere articolato se non si dispone di puntuali elementi di comparazione, alla cui acquisizione era finalizzata l’istanza di accesso.

Non sarebbe corretto che non è consentito l’accesso ad interi fascicoli o pratiche, perché esso era indispensabile per dimostrare il vizio di disparità di trattamento, e il solo provvedimento finale non sarebbe sufficiente. Ciò che sarebbe precluso sarebbe l’accesso indiscriminato a tutte le pratiche, ma nel caso di specie la richiesta di accesso sarebbe stata puntualmente circostanziata.

L’esigenza di tutela della riservatezza di terzi sarebbe fuori gioco ai sensi dell’art. 24, co. 7, l. n. 241/1990, che fa prevalere l’interesse alla difesa in giudizio rispetto alla privacy dei terzi.

Sarebbe dunque illegittimo il provvedimento di diniego di accesso.

La motivazione della sentenza del Tar, oltre che viziata da ultrapetizione, sarebbe illogica perché l’istante non è e non può essere in possesso dei dati identificativi delle pratiche a cui ha chiesto accesso e pertanto non poteva indicarli.

Erroneamente il Tar considera l’istanza come finalizzata ad un controllo generalizzato, perché l’istanza era circostanziata e finalizzata alla tutela di un puntuale interesse del ricorrente.

Illogicamente il Tar privilegerebbe l’interesse pubblico all’efficienza dell’azione amministrativa sull’interesse privato alla conoscenza degli atti.

Nemmeno sarebbe esatto che il numero di pratiche richiesto sarebbe elevato, se si considerano le ridotte dimensioni dei comuni di Capri e Anacapri, la circostanza che le pratiche sono state chieste solo in relazione alla zona p.i. e per ben precise tipologie di opere.

6. L’appello è infondato.

6.1. Va anzitutto precisato che l’accesso costituisce oggetto di un diritto soggettivo di cui il giudice amministrativo conosce in sede di giurisdizione esclusiva. Il giudizio ha per oggetto la verifica della spettanza o meno del diritto di accesso, più che la verifica della sussistenza o meno di vizi di legittimità dell’atto amministrativo. Infatti, il giudice può ordinare l’esibizione dei documenti richiesti, così sostituendosi all’Amministrazione e ordinandole un facere pubblicistico, solo se ne sussistono i presupposti (art. 116, co. 4, c.p.a.). Questo implica che, al di là degli specifici vizi e della specifica motivazione del provvedimento amministrativo di diniego dell’accesso, il giudice deve verificare se sussistono o meno i presupposti dell’accesso, potendo pertanto negarlo anche per motivi diversi da quelli indicati dal provvedimento amministrativo.

Di conseguenza non sussiste il vizio di ultrapetizione della sentenza, che ha ampliato e corroborato gli argomenti ostativi dell’accesso rispetto al provvedimento impugnato.

6.2. Inoltre si deve anche ritenere che il provvedimento di diniego di accesso, laddove sottolinea che la richiesta riguarda intere pratiche, intende proprio, sinteticamente, evidenziare, la genericità ed eccessiva ampiezza della richiesta.

6.3. La richiesta di accesso ha avuto ad oggetto un numero indeterminato di pratiche, degli ultimi cinque anni, che l’Amministrazione avrebbe dovuto individuare applicando una serie di criteri e parametri forniti dal richiedente (numero di anni; zona di intervento; tipologia degli interventi; il tipo di esito).

E’ evidente che avendo il ricorrente fornito non dati specifici, ma criteri generali, per l’individuazione delle pratiche l’Amministrazione avrebbe dovuto necessariamente compiere un’attività di elaborazione dei dati, incrociando i criteri per individuare le pratiche rispondenti a tutti i parametri forniti.

Secondo la costante elaborazione giurisprudenziale la domanda di accesso deve riferirsi a specifici documenti già esistenti e non può pertanto comportare la necessità di un’attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta (Cons. St., sez. VI, 5 dicembre 2007 n. 6201).

Tale principio deve essere esteso anche al caso in cui i documenti richiesti già esistono, ma per la mole dei documenti richiesti e per i criteri della richiesta, viene imposta all’amministrazione un’attività complessa di ricerca e reperimento dei documenti che presuppone un’attività preparatoria di elaborazione di dati.

6.4. Ostativa dell’accesso è nel caso specifico anche la regola dell’art. 24, co. 3, l. n. 241/1990 secondo cui non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato della pubblica amministrazione.

Se anche, nella specie, la richiesta di accesso è stata motivata con riferimento ad un interesse individuale puntuale, non di meno, per la mole dei documenti richiesti, l’accesso avrebbe comportato un controllo generalizzato e di tipo ispettivo sull’operato dell’Amministrazione.

6.5. Il diniego di accesso è anche legittimo laddove si fonda sull’esigenza di tutela della riservatezza dei terzi, senza che il ricorrente possa chiedere soccorso all’art. 24, co. 7, l. n. 241/1990, che va letto nella sua esatta portata, dovendosi sempre trovare il giusto punto di equilibrio tra diritto di difesa e diritto alla privacy.

Dispone infatti il citato art. 24, co. 7, che deve comunque garantito al richiedente l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per difendere i propri interessi giuridici. Occorre, dunque, la dimostrazione di una rigida "necessità" e non mera "utilità" del documento in questione. Tanto più nei casi in cui, come nella specie, l’accesso sia esercitato non già in relazione agli atti di un procedimento amministrativo di cui il richiedente è parte, ma in relazione agli atti di procedimenti amministrativi rispetto ai quali il richiedente è terzo.

Nel caso di specie, la richiesta di accesso è motivata dall’interesse a dedurre e dimostrare, in un instaurando giudizio, il vizio di disparità di trattamento.

I documenti richiesti, dunque, non sono necessari per la difesa in giudizio, ma solo utili per articolare la difesa in giudizio secondo una particolare modalità, ossia per articolare una particolare censura.

La necessità degli atti per la difesa in giudizio, prevista dall’art. 24, co. 7, in commento postula infatti che vi sia già una lesione concreta e attuale degli interessi giuridici, laddove nel caso di specie, il richiedente non ha alcuna prova del vizio di disparità di trattamento, meramente ipotetico, e mira a fare un’indagine alla ricerca di tale vizio.

L’indagine potrebbe anche, ad esibizione degli atti avvenuta, risolversi nell’assenza del vizio, ovvero nell’assenza in relazione a talune pratiche visionate, con il risultato che la privacy è stata violata senza che il diritto di difesa sia stato soddisfatto.

Va osservato che la mancata visione dei documenti non priva il ricorrente del diritto di difesa, potendo il ricorso essere proposto sulla base di altre censure, e potendo altresì essere dedotto il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento in base ai dati già a disposizione, salvo chiedere al giudice un ordine di esibizione di atti, a seguito dei quali articolare motivi aggiunti.

In un’evenienza del genere, in cui il richiedente vuole conoscere un numero indeterminato di pratiche amministrative riguardanti terzi, al fine di compiere un’investigazione per la ricerca di un vizio dell’agire amministrativo, nella mediazione tra diritto di difesa e diritto alla privacy, si deve ritenere che manca la rigorosa "necessità" dei documenti per la difesa in giudizio, necessità che non può essere valutata né dal richiedente l’accesso né dalla pubblica amministrazione destinataria della richiesta, e che deve invece essere valutata, a giudizio instaurato, dal giudice, in sede di esame della richiesta istruttoria dell’interessato.

7. In conclusione, l’appello va respinto. Le spese possono essere compensate in considerazione della complessità delle questioni.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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