Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-10-2010) 12-01-2011, n. 636 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1.- R.S., consulente finanziario professionista, è indagato per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale da lui consumata, secondo l’ipotesi di accusa, nella qualità di amministratore di fatto della fallita Sas Linea Carni – di cui era accomandatario tale B.D. – con la distrazione della somma di oltre tre milioni di euro e la sottrazione delle scritture contabili.

In relazione a tali addebiti il GIP del Tribunale di Milano aveva emesso provvedimento cautelare di custodia in carcere. L’indagato, che aveva negato ogni sua responsabilità assumendo che era il B. ad amministrare la società, mentre il suo ruolo era circoscritto alla mera attività di consulente finanziario, dopo P interrogatorio di garanzia aveva chiesto la revoca della cautela o la sua degradazione, istanza che il GIP aveva respinto assumendo che l’indagato non aveva fornito elementi di valutazione nuovi e diversi rispetto a quelli considerati all’atto dell’adozione della misura cautelare carceraria.

Proponeva appello il R., deducendo l’insussistenza tanto del pericolo di fuga che di quello di reiterazione del reato. Il Tribunale del Riesame ha rigettato l’impugnazione con ordinanza del 14 maggio 2010, rilevando che il quadro indiziario allo stato supportava validamente l’ipotesi di accusa, atteso che risultava come l’indagato si fosse comportato come effettivo dominus della società, e come tale si fosse mostrato ai terzi, tanto che a lui si rivolgevano i creditori; lui trattava con le banche, ancorchè unitamente al B.; lui aveva firmato il verbale di consegna del capannone di (OMISSIS).

Quanto alle esigenze cautelari, le articolate modalità di attuazione della condotta e l’assenza di ogni segno di resipiscenza, unitamente al pericolo di fuga dimostrato dalla disponibilità in (OMISSIS) di ditte a lui intestate, dimostravano non solo la necessità della cautela ma anche l’idoneità in via esclusiva della detenzione carceraria, adeguata anche con riferimento alla gravità del reato ed alla sanzione in ipotesi irrogabile.

2.- Avverso detta ordinanza propone ricorso il R., deducendo:

a) la violazione dell’art. 274 c.p.p. per l’inadeguatezza degli elementi di fatto valutati dal Tribunale per affermare l’attualità del pericolo di fuga, elementi che conclamavano invece, a suo avviso, come tale pericolo fosse del tutto insussistente;

b) l’insussistenza del pericolo di reiterazione dei reati, a suo avviso apoditticamente affermato dal Tribunale;

c) la genericità della motivazione con cui era stato giustificato anche il diniego di degradazione della misura cautelare in corso.

3.- Il ricorso è destituito di fondamento sotto ogni profilo prospettato.

Quanto alla prima censura, l’ordinanza impugnata da conto degli intensi contatti che l’indagato ha con altri paesi, ed in particolare con la Spagna, ove per sua stessa ammissione dispone di ditte a lui intestate, osservando perciò correttamente che la possibilità che il predetto possa allontanarsi dal territorio nazionale per svolgere all’estero la stessa attività (lecita e non) che svolge in Italia, è ipotesi nient’affatto peregrina.

Corretta è anche la motivazione con cui il Tribunale ha ritenuto sussistente il pericolo di reiterazione di reati analoghi, desunto oltre che dalle modalità di attuazione della condotta criminosa e dalla sua protrazione nel tempo, anche dal comportamento reticente tenuto dall’indagato nel corso degli interrogatori, che ancorchè legittimo, come lo stesso Tribunale tiene a precisare, è tuttavia sintomatico di un atteggiamento dimostrativo dell’intenzione di non recidere ogni legame con l’ambiente nel cui ambito maturò la consumazione dei reati.

Atteso quanto precede, coerente e ragionevolmente motivato è anche il rigetto della richiesta di sostituzione della misura in corso con altra meno affittiva, dovendo condividersi l’osservazione con cui il Tribunale ha considerato che ogni cautela diversa dalla detenzione carceraria consentirebbe al R. quantomeno di mantenere contatti utili per continuare, o riprendere dopo il processo, attività analogamente illecite.

Il ricorso va pertanto rigettato, ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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