Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 01-12-2010) 13-01-2011, n. 661

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 27 Maggio 2009 il Tribunale di Prato ha applicata al ricorrente, ex art. 444 c.p.p., la pena di un anno e sei mesi di reclusione in relazione al reato previsto dall’art. 416 c.p. e a plurime violazioni del D.Lgs. n. 74 del 2000 commesse con riferimento agli anni d’imposta 2002-2006; ha disposto la confisca nei confronti dell’imputato di alcune quote societarie e ha, altresì, condannato il Sig. G. al pagamento delle spese di costituzione e assistenza della parte civile, Agenzia delle Entrate.

La sentenza è stata pronunciata dal Tribunale di Prato in composizione collegiale dopo avere provveduto alla separazione della posizione G. da quella dei computati a seguito della istanza di applicazione della pena proposta dalla Difesa in data 19 febbraio 2009 e quindi reiterata all’udienza dibattimentale del 25 marzo 2009, presente la parte civile costituita. A seguito di contestazione suppletiva mossa dal Pubblico Ministero e del conseguente rinvio del dibattimento per la notifica della relativa contestazione al Sig. G., contumace, all’udienza del 22 aprile 2009 la Difesa ha avanzato una nuova istanza di applicazione della pena nei termini poi accolti dal Tribunale con la sentenza in esame, previo consenso del Pubblico Ministero.

Avverso la sentenza del Tribunale il Sig. G. propone ricorso personalmente.

Con primo motivo censura l’ordinanza con cui in data 23 febbraio 2009 il Tribunale ha respinto le questioni proposte in data 15 dicembre 2008 dalla Difesa con riferimento alla costituzione di parte civile dell’Agenzia delle Entrate. A parere del ricorrente, l’Agenzia delle Entrate non possiede legittimazione attiva all’azione civile in sede penale per far valere le obbligazioni tributarie, azione che avrebbe dovuto far valere in sede diversa. Infine, l’eventuale danno all’immagine fatto valere dalla parte civile non può essere ricondotto alla posizione dell’Agenzia delle Entrate, ma spetterebbe unicamente al Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Con secondo motivo lamenta violazione di legge in relazione ai criteri di liquidazione delle spese di costituzione e rappresentanza della parte civile in quanto l’Agenzia delle Entrate ha richiesto più volte il riconoscimento dei medesimi importi in ciascuno dei diversi processi originati dalle separate istanze di applicazione della pena, comprendendo in ciascuna richiesta anche la liquidazione delle competenze maturate anteriormente alla separazione del processi: competenze che il Tribunale avrebbe dovuto liquidare una sola volta e porre a carico di tutti gli imputati in solido.

Con nota depositata in data 13 Novembre 2010 dall’Avvocatura Generale dello Stato la Parte civile ha sollecitato la dichiarazione di inammissibilità del ricorso o, comunque, il rigetto dello stesso.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati e inammissibili.

1. La circostanza che il ricorrente abbia avanzato istanza di applicazione della pena dopo che il Tribunale aveva respinto le questioni da lui proposte concernenti la costituzione della parte civile impone alla Corte di considerare che il rapporto processuale si era oramai cristallizzato e consolidato, così che la partecipazione della parte civile costituiva un presupposto della istanza medesima che, non a caso, ha per oggetto i soli elementi sui quali sussiste una discrezionalità del giudicante, e cioè la quantificazione della pena e la sospensione condizionale della stessa. Come desumibile dall’interpretazione che la giurisprudenza ha fornito dell’istituto del cd. patteggiamento, a partire dalle sentenze delle Sezioni Unite Penali n. 10732 del 27 settembre-18 dicembre 1995, Serafino (rv 202270) e n. 3 del 1999, udienza 25 Novembre 1998, Messina (rv 212437), la Corte ritiene che non possano essere proposte in questa sede questioni che costituiscono il presupposto del consenso maturato sull’applicazione della pena e sulla definizione del processo con rinuncia a tutte le questioni che non mettano in crisi i fondamenti stessi della decisione giudiziale.

2. Quanto, poi, alle questioni concernenti i criteri di determinazione delle competenze della parte civile, si tratta di censure manifestamente infondate. La decisione dei coimputati di proporre separate istanze di applicazione della pena, che ha condotto alla necessaria formazione di autonomi e separati procedimenti, ha comportato la moltiplicazione delle sedi decisionali e la frammentazione dei rapporti processuali, così interrompendo il legame di solidarietà e impedendo che esso possa trovare applicazione tra procedimenti separati. Legittimamente, dunque, al ricorrente sono state poste a carico le competenze che la parte civile ha richiesto con riferimento alla difesa in concreto esercitata nei confronti del ricorrente stesso.

3. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, nonchè al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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