Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-12-2010) 14-01-2011, n. 764 Condono Costruzioni abusive Demolizione di costruzioni abusive Reati edilizi Silenzio rifiuto _ silenzio assenso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con la impugnata ordinanza la Corte di Appello di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettalo la richiesta, presentata da C.G.B., di revoca o sospensione dell’ingiunzione a demolire e ripristinare dello stato dei luoghi emessa in data 29.7.2008 dalla Procura Generale della Repubblica in esecuzione dell’analogo ordine contenuto nella sentenza di condanna del C. emessa dalla medesima Corte di Appello in data 1.4.2005, divenuta irrevocabile.

La Corte territoriale ha fondato il rigetto dell’istanza sul rilievo che il potere demandato all’autorità giudiziaria in materia di esecuzione dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo è concorrente ed autonomo rispetto a quello attribuito dalla legge alla pubblica amministrazione.

E’ stato, poi, rilevato che il manufatto di cui alla contestazione è ubicato in zona soggetta a vincolo paesaggistico e, pertanto, la richiesta di condono presentata dall’interessato, ai sensi della L. n. 724 del 1994, non è suscettibile di accoglimento, potendo essere sanati nelle aree sottoposte a vincolo, ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 32, convertito in L. n. 326 del 2003, esclusivamente gli abusi minori, rappresentati dagli interventi di manutenzione straordinaria, consolidamento e restauro conservativo, categorie nel cui ambito non è inquadratole il manufatto realizzato, secondo quanto accertato dalla sentenza divenuta irrevocabile.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore del C., che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.

Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 32, commi 25 e ss., convertito in L. n. 326 del 2003, della L. n. 47 del 1985, artt. 32, 33 e 44, nonchè l’impropria applicazione della L. n. 724 del 1994 e vizi della motivazione.

In sintesi, si deduce che l’ordinanza impugnata ha fatto erroneamente riferimento al condono edilizio previsto dalla L. n. 724 del 1994, mentre la domanda di condono è stata presentata dall’interessato ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 32, convertito in L. n. 326 del 2003.

Si sostiene che ai sensi della disposizione citata sono, in ogni caso, suscettibili di sanatoria anche nelle zone vincolate gli abusi minori, quali gli interventi di manutenzione straordinaria, nel cui novero rientrano i lavori eseguiti dal C..

Si aggiunge che il manufatto oggetto dell’intervento, secondo la relazione peritale allegata all’istanza ed ignorata dal giudice dell’esecuzione, è costituito da una palificazione in legno coperta da una tettoia, aperta sui lati ed annessa ad un fabbricato preesistente, sicchè la stessa costituisce pertinenza di tale immobile.

Si contesta infine l’esistenza di un vincolo paesaggistico sul territorio del Comune di Barano d’Ischia che determini la inedificabilità assoluta, essendo venuti meno i vincoli imposti dalla L. n. 431 del 1985, sostituiti da quelli previsti dal Piano Paesistico, di cui il giudice dell’esecuzione non ha tenuto conto.

Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 38 e 44.

Si deduce che la presentazione della domanda di condono edilizio e il pagamento degli oneri dovuti, di cui il Comune ha attestato la congruità, determina la sospensione dei procedimenti penali in corso e di quelli esecutivi, sicchè il giudice dell’esecuzione, prendendo atto della documentazione prodotta dall’istante avrebbe dovuto revocare l’ingiunzione a demolire emessa dalla Procura Generale della Repubblica. Si aggiunge che ai sensi della L. n. 326 del 2003, art. 32, comma 36, il pagamento delle somme dovute ed il decorso di 36 mesi determina l’estinzione del reato e delle sanzioni applicate.

Con l’ulteriore mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 7, come sostituito dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9, e vizi di motivazione dell’ordinanza.

Si osserva che l’imputato è stato condannato per i soli reati di cui ai capi a) e c) dell’imputazione, mentre è stato assolto dal reato per la violazione paesaggistica di cui al capo d), e che nei suoi confronti è stato emesso solo un ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, peraltro non previsto dalla L. n. 47 del 1985, art. 7.

Si deduce, quindi, che la Procura Generale della Repubblica non poteva ingiungere, in esecuzione della sentenza di condanna, oltre alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi anche la demolizione del manufatto realizzato; che la Corte territoriale ha erroneamente confermato l’ingiunzione nei termini citati.

Con l’ultimo mezzo di annullamento si reitera la denuncia di violazione ed errata applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 7.

Si deduce che l’ordine di demolizione deve essere eseguito solo nel caso in cui la demolizione non sia stata altrimenti disposta ovvero di inerzia della pubblica amministrazione.

Si sostiene che nel caso in esame, invece, vi è stata la volontaria scelta della pubblica amministrazione, a seguito della presentazione della domanda di condono edilizio, di attenderne l’esito, sicchè nella specie difettava il presupposto per l’esercizio del potere sostitutivo da parte dell’autorità giudiziaria ordinaria.

Il ricorso non è fondato.

Il ricorrente, in punto di suscettibilità di sanatoria del manufatto abusivo, in applicazione del condono edilizio di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 32, commi 25 e ss., convertito in L. n. 326 del 2003, ha fondato l’istanza di revoca o sospensione dell’ordine di ripristino dello stato dei luoghi su un presupposto di fatto afferente alla natura del manufatto abusivo (opera pertinenziale) e dei lavori eseguiti dal C. (di manutenzione straordinaria), che è in contrasto con l’accertamento contenuto nel titolo esecutivo, trattandosi invece della realizzazione di un manufatto per la cui esecuzione occorreva il permesso di costruire e l’autorizzazione paesaggistica.

Sicchè il giudice dell’esecuzione, a parte l’errato riferimento al condono edilizio di cui alla L. n. 724 del 1994 (che peraltro era più favorevole), ha correttamente escluso la suscettibilità di sanatoria dell’opera di cui si tratta in applicazione delle disposizioni citate, trattandosi di nuova costruzione realizzata in zona vincolata e, peraltro, non ad uso residenziale.

Alla luce dei citati rilievi in punto di diritto va osservato che a nulla rileva, nel caso in esame, la presentazione della domanda di condono ed il pagamento degli oneri da parte dell’istante, (cfr. per tutte sez. 4^, 5.3.2008 n. 15210, Romano, RV 239606).

E’ appena il caso di rilevare, poi, che il silenzio assenso invocato dal ricorrente, ai sensi della L. n. 326 del 2003, art. 32, comma 37, esplica i suoi effetti esclusivamente nell’ipotesi di domanda di condono che corrisponda ai requisiti previsti dalla medesima legge.

Secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte in materia inoltre il potere-dovere della autorità giudiziaria di porre in esecuzione l’ordine di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi è del tutto autonomo rispetto a quello esercitato dalla pubblica amministrazione ed incontra un limite solo nella concreta emanazione di provvedimenti da parte dell’ente locale con i quali la demolizione del manufatto abusivo si ponga in insanabile contrasto.

Va infine osservato che l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, che nel caso in esame è stato disposto con la sentenza della Corte territoriale, divenuta irrevocabile, costituisce un quid pluris rispetto all’ordine di demolizione, comportando l’obbligo da parte del condannato non solo di rimuovere le opere abusive ma anche di ripristinare i luoghi come erano prima dell’intervento edilizio.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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