Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-02-2011, n. 2987 Assegni familiari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 18/12/2008, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha respinto, in sede di giudizio di rinvio, il gravame svolto da M. contro la sentenza di primo grado che aveva denegato, per intervenuta decadenza, il riconoscimento del diritto agli assegni familiari (per l’anno 1987) e all’assegno per il nucleo familiare (per il periodo 1988 – 1991).

Con la sentenza n. 13419 del 2007 questa Corte aveva cassato la sentenza della corte territoriale sul presupposto dell’inapplicabilità del regime decadenziale D.L. n. 384 del 1992, ex art. 4 alle domande amministrative per ottenere la prestazione assicurativa proposte anteriormente all’entrata in vigore del menzionato D.L. (il 19 settembre 1992), e dell’applicabilità, per converso, della prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c. onde la rilevanza, con efficacia interruttiva ex art. 2943 c.c. della seconda domanda amministrativa proposta dalla ricorrente in data 23 settembre 1997.

La Corte territoriale ha puntualizzato che:

con il ricorso in riassunzione, M. aveva limitato la domanda alle prestazioni per gli anni 1987, 1988, 1989 e 1990 e aveva dedotto l’avvenuta liquidazione della prestazione maturata nel 1991, così riducendo, rispetto alla domanda proposta con il ricorso originario, l’oggetto del giudizio;

– M. non aveva menzionato, nel ricorso introduttivo, le date di presentazione delle domande amministrative, sicchè dall’esame delle copie prodotte solo per alcune di esse poteva evincersi il timbro di ricezione e la correlativa documentazione della data di presentazione: in particolare, per gli assegni familiari relativi all’anno 1988 (domanda presentata il 29 marzo 1989), per gli assegni per il nucleo familiare maturati nell’anno 1989 e per l’anno 1992 (domande presentate, rispettivamente, il 22 marzo 1990 e il 30 marzo 1992);

– il primo atto interruttivo documentato del termine quinquennale di prescrizione doveva ritenersi il ricorso amministrativo (presentato il primo febbraio 1993) sicchè per la più remota delle prestazioni pretese (relativa al periodo fra il primo gennaio ed il 31 dicembre 1987), il termine prescrizionale era cominciato a decorrere dal primo gennaio 1988 (primo giorno del mese successivo a quello nel quale era compreso il periodo di lavoro cui l’assegno si riferiva) e al febbraio 1993 si era già perfezionata la prescrizione della prestazione di assegno familiare maturata fino al primo febbraio 1988;

– la prescrizione, in relazione alle residue prestazioni con decorso del termine ex novo dal primo febbraio 1993, rectius dai novanta giorni successivi, era stata ulteriormente interrotta dall’istanza, ricevuta dall’INPS il 23.10.1997, riferita agli anni 1987, 1988, 1990 e 1991, e non anche all’anno 1989, peraltro non incluso neanche nell’impugnativa al Comitato Provinciale presentata alcuni giorni prima (il 7 ottobre 1997);

– quanto all’assegno per il nucleo familiare per l’anno 1989, la prescrizione, interrotta dal primo febbraio al 2 aprile 1993, non era maturata all’atto della notifica del ricorso avvenuta il 5 marzo 1999.

A sostegno del decisum di infondatezza della domanda – in riferimento agli anni e periodi non coperti dalla prescrizione -, i Giudici del gravame hanno:

– disatteso l’eccezione di tardività sollevata da M. per non aver l’INPS dedotto, nel primo grado del giudizio, l’insussistenza del requisito reddituale e la mancata allegazione e prova del mancato godimento da parte del coniuge della medesima prestazione, richiamando la giurisprudenza di legittimità in tema di principio di non contestazione e circolarità degli oneri di allegazione, contestazione e prova;

– escluso la sussistenza delle condizioni legittimanti l’esercizio d’ufficio dei poteri istruttori, ex artt. 421 e 437 c.p.c., peraltro non sollecitati dalla parte, per la totale assenza di adeguate piste probatorie e sul presupposto che, nel rispetto del principio dispositivo, i poteri istruttori del giudice non potessero, in ogni caso, essere esercitati sulla base del sapere privato del giudice, con riferimento a fatti non allegati dalle parti o non acquisiti al processo in modo rituale.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, M. ha proposto ricorso per cassazione articolato in sei motivi. Non si è costituito l’intimato.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si denunzia violazione dell’art. 156 c.p.c., u.c., art. 164 c.p.c., comma 5 e art. 157 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver il giudice del gravame respinto l’appello per difetto di allegazione del requisito reddituale. Per il ricorrente la rilevata carenza dei requisiti del ricorso deve ritenersi sanata per non aver il giudice di primo grado invitato il ricorrente ad integrare la domanda e in difetto della tempestiva eccezione dell’INPS di nullità del ricorso carente dei requisiti ex art. 414 c.p.c., n. 4. Il motivo si conclude con il seguente quesito:

"Se, non ottemperando il Giudice di primo grado al disposto di cui all’art. 164 c.p.c., comma 5, in relazione al disposto di cui al comma 4 dello stesso articolo e non eccependo il convenuto tempestivamente la nullità relativa alla mancata esposizione dei fatti su cui si fonda la domanda, si verifica o meno la sanatoria di cui all’art. 156 c.p.c., u.c.".

Con il secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 414 c.p.c., sotto il profilo dell’errata applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per essere la Corte territoriale incorsa in errore in indicando allorchè ha ritenuto che il ricorrente non avesse dedotto il dato fattuale del requisito reddituale. TI motivo si conclude con il seguente quesito: "Se, in materia di prestazioni previdenziali, la dichiarazione di possedere i requisiti prescritti dalla legge possa o meno essere sufficiente a far identificare gli elementi di diritto su cui si fonda la domanda, il cui oggetto è ben determinato, nel momento che, a corredo della stessa, è stata prodotta copia della domanda amministrativa e in considerazione della circostanza che il possesso dei requisiti deve essere provato mediante autodichiarazione, che è espressamente contenuta nella domanda medesima".

I due motivi, strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente.

Per entrambi i motivi, la formulazione dei quesiti non soddisfa i requisiti richiesti dall’art. 366 bis c.p.c., per mancanza di pertinenza e specificità – in riferimento alla ratio decidendi della sentenza del giudizio rescissorio impugnata e in difetto di positiva formulazione della diversa ed alternativa regula iuris di cui si invoca l’applicazione a fronte della regula iuris applicata dal giudice di merito (quale quella, nella specie, fondata sull’applicazione dell’art. 414 c.p.c.), con idonea formulazione comprensiva della sintesi logico-giuridica della questione all’esame della Corte, suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

Con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 421 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per non aver la Corte ravvisato le condizioni legittimanti l’esercizio d’ufficio dei poteri istruttori ex artt. 421 e 437 c.p.c.. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: "Se in base alla legge regolante la materia previdenziale sia richiesto il possesso di un determinato requisito, il Giudice del Lavoro sia tenuto o meno, ai sensi dell’art. 421 c.p.c., ad invitare la parte – che ha affermato nell’atto introduttivo la sussistenza di tutti i requisiti di legge, esibendo, altresì, i moduli della domande amministrative debitamente compilate – a provare specificatamente il possesso del requisito medesimo".

La censura è infondata. Ed invero i giudici di legittimità hanno più volte statuito che nel rito del lavoro, l’esercizio di poteri istruttori d’ufficio, nell’ambito del contemperamento del principio dispositivo con quello della ricerca della verità, involge un giudizio di opportunità rimesso ad un apprezzamento meramente discrezionale, che può essere sottoposto al sindacato di legittimità soltanto come vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora la sentenza di merito non adduca un’adeguata spiegazione per disattendere la richiesta di mezzi istruttori relativi ad un punto della controversia che, se esaurientemente istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione (cfr. al riguardo Cass. 25 maggio 2010 n. 12717 cui adde, ex plurimis: Cass. 10 dicembre 2008 n. 29006 voltola ribadire che il giudice deve motivare sulla mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi là dove sollecitato dalla parte ad integrare le carenze istruttorie).

Orbene, alla stregua di detto principio la sentenza impugnata si sottrae ad ogni censura per avere correttamente, da un lato, evidenziato come non vi sia stata nessuna richiesta della ricorrente all’esercizio dei poteri officiosi e per avere, inoltre, rimarcato come i suddetti poteri non potevano comunque essere esercitati sulla base del sapere privato del giudice ed in carenza di adeguate piste probatorie. Punto, quest’ultimo, che non è stato oggetto di una specifica e puntuale doglianza da parte della ricorrente.

Con il quarto motivo si denuncia insufficienza della motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per aver la corte territoriale ritenuto maturata la prescrizione quinquennale della prestazione relativa all’anno 1987, sull’assunto motivazionale secondo cui, nell’impossibilità di dedurre dal modulo della domanda la data di presentazione, l’unico documento valido sarebbe stato il ricorso amministrativo (datato 1 febbraio 1993), per cui, decorrendo la prestazione dal primo giorno del mese successivo a quello dell’insorgenza del diritto (il primo gennaio 1988), si sarebbe verificata la prescrizione. La censura, rilevata l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione per aver disatteso il disposto della L. 7 dicembre 1989, n. 389, art. 7, comma 4, che fissa al 31 marzo la presentazione della domanda di disoccupazione agricola e, quindi, anche quella per l’assegno per il nucleo familiare, si conclude con il seguente momento di sintesi: "il fatto controverso è quello relativo alla data della presentazione della domanda per l’assegno familiare relativo all’anno 1987, che il Giudice presume sia stata presentata prima del 1 febbraio 1988, mentre la legge prescrive che la domanda di disoccupazione agricola e quella del relativo assegno familiare si possa presentare entro il 31 marzo dell’anno successivo a quello per il quale vengono chieste le prestazioni previdenziali".

Anche tale censura non e esaminabile in questa sede di legittimità.

Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte è inammissibile il motivo di ricorso nel cui contesto trovino contestuale formulazione censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, ciò costituendo una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366 bis c.p.c. (nel senso che ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, Cass. 7394/2010). Nella specie il ricorrente deduce, contemporaneamente, il vizio motivazionale e la violazione della disciplina in tema di termine per la presentazione della domanda di disoccupazione agricola, ritenuta applicabile all’assegno per il nucleo familiare.

Con il quinto motivo si denunzia contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per aver la corte territoriale rigettato l’appello confermando integralmente la sentenza impugnata, non considerando che la sentenza di primo grado aveva rigettato il ricorso dichiarandolo inammissibile per intervenuta decadenza e che la Corte di Cassazione aveva anche dichiarato che non si era verificata alcuna decadenza. Così il momento di sintesi formulato: "la sentenza di primo grado aveva dichiarato inammissibile il ricorso per intervenuta decadenza, mentre la Corte d’Appello di Reggio Calabria, anzichè rigettare il ricorso per presunta sua nullità, rigetta l’appello e dichiara in motivazione che va confermata integralmente la sentenza impugnata".

Il motivo non è fondato. Sussiste un contrasto tra motivazione e dispositivo che da luogo alla nullità della sentenza solo se ed in quanto esso incida sull’idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale (Cass. 10637/2007). Sicchè tale ipotesi non è ravvisabile nel caso in cui, come nella decisione impugnata, il contrasto sia imputabile a mera improprietà terminologica inidonea ad impedire la comprensione dell’effettiva portata precettiva della decisione. I Giudici del rinvio, con ampia motivazione nel merito, hanno respinto la domanda per infondatezza, rigettando l’appello come correttamente indicato nel dispositivo.

Con il sesto motivo si denunzia violazione dell’art. 384 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non aver la Corte territoriale provveduto sulle spese, conformemente al decisum della Cassazione che aveva rimesso al giudice del rinvio anche la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità. Il motivo si conclude con il seguente quesito: "Se il Giudice del rinvio possa o meno disattendere la statuizione della Suprema Corte di Cassazione, che, nell’accogliere il ricorso, gli ha demandato espressamente di provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità".

Il motivo è infondato. La corte territoriale ha statuito sulle spese di tutti i gradi del giudizio, di merito e di legittimità, disponendone l’integrale compensazione. Peraltro, l’enunciazione del principio di diritto cui il giudice del rinvio è tenuto a conformarsi, ex art. 384 c.p.c., non involge altresì la regolamentazione delle spese, cui il codice di rito dedica il disposto del successivo art. 385 c.p.c. che, nel regolamentare la materia nelle ipotesi di cassazione con rinvio, dispone, ove il giudice di legittimità non vi provveda, che la pronuncia sia rimessa al giudice del rinvio e al suo potere di regolamentazione alla stregua dell’esito finale della lite e dell’apprezzamento unitario del giudizio elementi questi alla stregua dei quali la statuizione denunziata si sottrae ad ogni censura.

Il ricorso deve essere, pertanto, respinto. Nulla sulle spese considerata la materia e l’epoca del ricorso introduttivo del giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

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