Cons. Stato Sez. IV, Sent., 14-01-2011, n. 184 Nomine, avanzamenti ed assegnazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’odierno appellante, all’epoca Presidente di Sezione della Corte dei Conti, adìva, con ricorso rubricato al n. 1397 R.G. del 2006, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio per l’annullamento "della deliberazione assunta il giorno 8 febbraio 2006 (dal Consiglio di presidenza della Corte dei conti) di indire un nuovo interpello urgente per la copertura del posto di presidente aggiunto della Corte dei conti" (così, testualmente, l’epigrafe del ricorso originario).

Con successiva domanda, che in questa sede assume esser "stata tempestivamente notificata", egli chiedeva il risarcimento dei danni subiti per l’ipotesi che non fosse più praticamente possibile il ripristino delle sue aspettative e del suo interesse legittimo in ordine alla legittimità della procedura.

Il T.A.R., con la sentenza indicata in epigrafe, dichiarava inammissibile il ricorso, nel suo petitum di annullamento, per genericità e, quanto alla domanda di risarcimento dei danni asseritamente patiti, per mancata corretta instaurazione del contraddittorio processuale sulla relativa domanda.

L’originario ricorrente impugna in questa sede la citata decisione, deducendo, quanto alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnativa dell’atto amministrativo oggetto del giudizio, "che la "lapidaria enunciazione dei motivi di doglianza" non equivale a "genericità" perché, nella specie, il 2° motivo del ricorso è conciso, ma comprensibile e puntuale" (pag. 6 app.); e, quanto alla statuizione di inammissibilità della domanda risarcitoria, "che l’eventuale inammissibilità della impugnativa dell’atto non vale ad impedire il giudizio sulla domanda di risarcimento danni" (pag. 7 app.), che, sottolinea, "è stata tempestivamente e ritualmente notificata (ed) anche illustrata nella pubblica udienza" (pag. 8 app.), espressamente, pertanto, concludendo per l’accoglimento del ricorso di primo grado, con particolare riguardo alla domanda di risarcimento.

Si sono costituite in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Corte dei Conti, che, con successiva memoria, deducono l’infondatezza del gravame in fatto ed in diritto.

Con memoria in data 24 novembre 2010 l’appellante ha ulteriormente chiarito quello che definisce "il punto centrale del contendere", replicando inoltre alle difese avversarie.

La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 7 dicembre 2010.

Motivi della decisione

1. – Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità della memoria dell’appellante in data 24 novembre 2010, per violazione del termine perentorio, di cui all’art. 54 c.p.a., cui è possibile derogare, da parte del Collegio, solo su richiesta di parte, nella fattispecie nemmeno intervenuta.

2. – Come già esposto nella parte in fatto che precede, con la sentenza appellata il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha dichiarato inammissibile:

– per genericità la domanda di annullamento, dispiegata con il ricorso introduttivo dall’odierno appellante, della deliberazione del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti in data 89 febbraio 2006, avente ad oggetto, secondo la prospettazione dello stesso, la indizione di un nuovo interpello urgente per la copertura del posto di Presidente aggiunto della Corte stessa;

– per mancata corretta instaurazione del contraddittorio processuale, la successiva domanda di risarcimento dei danni a detta dell’appellante medesimo subiti in dipendenza dell’illegittimo impedimento frapposto dall’Ammninistrazione alla sua partecipazione alla procedura concorsuale.

3. – L’appello proposto avverso detta sentenza è infondato.

3.1 – In punto, invero, di petitum di annullamento dell’indicata deliberazione, correttamente, ad avviso del Collegio, la sentenza di primo grado è giunta alla conclusione dell’inammissibilità dell’impugnativa per genericità.

Il Collegio rileva, infatti, che, con il secondo motivo di impugnazione formulato con il ricorso di primo grado (unico, in questa sede, ad essere oggetto di scrutinio, dal momento che la declaratoria di inammissibilità del primo motivo di doglianza, pure resa dal Giudice di prime cure, non è stata in grado di appello fatta oggetto di specifiche censure, sì che la relativa statuizione deve ritenersi passata in giudicato), il ricorrente lamentava l’illegittimità della deliberazione impugnata "in quanto modifica i criteri concorsuali creando nuove preclusioni e nuovi criteri concepibili per un’assegnazione alle funzioni di presidente di sezione, mentre le funzioni di presidente di sezione rimangono immutate e la nomina a presidente aggiunto determina solo l’individuazione del presidente di sezione incaricato dell’esercizio di funzioni vicarie in aggiunta alle proprie funzioni istituzionali" (pag. 2 ric. orig.).

Orbene, una tale formulazione della censura, non accompagnata da ulteriore illustrazione, comporta una assoluta indeterminatezza circa la natura, la sostanza e la portata della "modifica", di cui si lamenta l’introduzione ad opera dell’impugnato atto deliberativo, così come circa le "nuove preclusioni" dalla stessa asseritamente derivanti.

Ne consegue la inammissibilità della censura, che, nella misura in cui con tutta evidenza non specifica quali sarebbero le modifiche e le preclusioni della cui introduzione ci si duole, nonché le stesse ragioni di illegittimità delle medesime (queste ultime invero del tutto cripticamente individuate, senz’alcun espresso collegamento con l’oggetto dei nuovi contestati criterii, con l’inassimilabilità dell’assegnazione alle funzioni di presidente di sezione con la nomina a presidente aggiunto), risulta essere formulata, come esattamente rilevato dal Giudice di primo grado, in termini generici, sì da non consentire al giudicante di valutarne la fondatezza.

Né, alla luce della veduta sostanziale genericità del secondo motivo del ricorso di primo grado, si può affermare che le deduzioni ivi svolte nella memoria conclusionale circa la pretesa illegittimità della "preclusione anagrafica" introdotta dalla deliberazione impugnata possano valere a precisare utilmente il motivo di doglianza de quo, dal momento che con le memorie non può essere specificato, integrato od ampliato il contenuto dei motivi originarii di appello (ciò anche ai fini dell’effettivo rispetto dei principii, congruamente richiamati dal T.A.R., del contraddittorio e del carattere decadenziale del termine di impugnazione degli atti amministrativi).

Né, in forza degli stessi principii, con memoria possono essere dedotte nuove censure o sollevate nuove questioni (Cons., St., V, 12 giugno 2009, n. 3759), sì che parimenti inammissibile si rivela il profilo di censura, formulato con la citata memoria conclusionale e del tutto assente nel ricorso introduttivo, relativo all’ "artificio" asseritamente posto in essere dalla I Commissione del Consiglio di Presidenza nel configurare i criterii proposti come "già seguiti in occasione della precedente nomina"; motivo, questo, del tutto nuovo, atto eventualmente ad ampliare il contenuto dei motivi originarii (previa, chiaramente, verifica della sua tempestività in relazione al momento della conoscenza degli atti del procedimento da parte del ricorrente) solo con lo strumento processuale dei "motivi aggiunti" (o di una memoria agli stessi assimilabile), ritualmente notificata alle controparti (non valendo certo ad instaurare correttamente il contraddittorio sul nuovo thema decidendum così introdotto in giudizio il mero deposito della memoria stessa, come nella fattispecie avvenuto).

Del resto, anche a voler prescindere dal pur decisivo rilievo della genericità della censura formulata dal ricorrente con il ricorso introduttivo avverso la deliberazione impugnata e dal non rituale ampliamento dell’oggetto del giudizio da lui operato con memoria conclusiva non ritualmente portata a conoscenza di controparte, valga notare come manchi, nella fattispecie, lo stesso interesse a conseguirne l’accoglimento, dal momento che la deliberazione stessa (avverso la quale soltanto è rivolto il ricorso di primo grado) si limita, a differenza di quanto vi intravvede il ricorrente, a determinare i criterii, sulla base dei quali effettuare la successiva procedura di interpello per la successiva copertura del posto di Presidente aggiunto (poi indetta con deliberazione del Consiglio di Presidenza del 2223 febbraio 2006 e con circolare n. 1345 in data 23 febbraio 2006 del Direttore dell’Ufficio di Segreteria della Corte, entrambe rimaste inoppugnate), sì che l’atto oggetto del presente giudizio non si rivela in grado di produrre direttamente, nella sua sfera giuridica, una effettiva lesione, se non per effetto dell’emanazione degli atti applicativi, che rendono attuale e concreta detta lesione e che, proprio per tale loro carattere, devono essere contestati in sede giudiziale in uno con l’atto presupposto; il che, come s’è detto, nella fattispecie non è avvenuto.

Né, d’altra parte, un suo eventuale annullamento potrebbe avere un effetto di travolgimento dei successivi atti di interpello, la cui sostanziale autonomia comporta che l’eventuale illegittimità dei criterii applicabili – ed applicati – nella procedura in questione sia suscettibile di produrre effetti meramente vizianti degli atti consequenziali, idonei, com’è noto, a provocarne l’annullamento nella misura in cui siano stati tempestivamente e ritualmente dedotti con la loro impugnazione.

Anche sotto detto ulteriore profilo, rilevabile d’ufficio in quanto inerente alla sussistenza delle condizioni dell’azione, il ricorso di primo grado si appalesa pertanto inammissibile.

3.2 – Quanto alle richieste risarcitòrie formulate dal ricorrente in primo grado con domanda notificata in data 29 aprile 2009, depositata agli atti di causa il giorno successivo e poi illustrata con memoria in data 9 maggio 2008, rileva il Collegio che errata si appalesa la statuizione del T.A.R. di inammissibilità della "domanda nuova, concernente il risarcimento dei danni patiti", che il Giudice di primo grado fonda sulla asserita mancata formazione, in ordine ad essa, del "contraddittorio processuale".

Va osservato infatti sul punto che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, la domanda di risarcimento danni non è preclusa dalla sua mancata proposizione unitamente al ricorso introduttivo (Cons. St., IV, 7 settembre 2010, n. 6485).

Risponde invero ai principii di concentrazione dei giudizii e di ragionevole durata del processo la possibilità di ricorso all’istituto dei motivi aggiunti (cui nella sostanza deve ricondursi nella fattispecie la domanda suddetta come notificata in corso di causa) per la proposizione di una domanda risarcitoria che vada ad inserirsi in un giudizio già instaurato dinanzi al T.A.R. per l’annullamento di un atto amministrativo; motivi proponibili nel termine ultimo per il deposito di memorie, stabilito, dall’art. 23, comma 4, della legge n. 1034/1971 applicabile ratione temporis alla fattispecie, in dieci giorni prima della data dell’udienza, termine che non v’è dubbio che l’originario ricorrente abbia nel presente giudizio rispettato tanto in relazione alla data di notifica dei "motivi aggiunti" medesimi, quanto in relazione alle date di deposito degli stessi e della successiva memoria illustrativa.

Ne deriva, quindi, che la notifica effettuata dal ricorrente della predetta domanda nel corso del processo di primo grado deve considerarsi idonea a consentire l’ampliamento del giudizio in corso per i motivi dedotti.

3.2.1 – Passando, peraltro, al mérito della domanda stessa, essa va respinta.

Esigenze di economia processuale e di effettività della tutela suggeriscono al Collegio di prescindere dall’esame delle perduranti questioni, non completamente risolte dal sopravvenuto codice del processo amministrativo in particolare quanto alle domande proposte prima della sua entrata in vigore, circa la applicabilità o meno, in tema di risarcimento danni causati dall’attività provvedimentale della Pubblica Amministrazione, del principio della c.d. pregiudiziale amministrativa, affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Ad. plen., n. 12/2007) e dai proprii recenti precedenti specifici (Cons. Stato, VI, 3 febbraio 2009. n. 587; 19 giugno 2008 n. 3059; da ultimo, Cons. St., IV, 31 marzo 2009, n. 1917), con i quali questo Consiglio, in relazione alle contrarie pronunce della Cassazione (Cass., sez. un., 13 giugno 2006 n. 13659 e n. 13660), ha rilevato che l’applicazione del principio della pregiudiziale non comporta una preclusione di ordine processuale all’esame nel merito della domanda risarcitoria, ma determina un esito negativo nel merito dell’azione di risarcimento.

Invero, avendo il ricorrente omesso, come sopra s’è visto, di impugnare i provvedimenti suscettibili di per sé di determinare quella lesione dei suoi interessi da lui stesso qualificata come "illegittimo impedimento alla partecipazione al concorso", di cui egli chiede qui il risarcimento mediante richiesta di condanna in forma specifica al pagamento delle differenze stipendiali ed in subordine dell’equivalente monetario per perdita di chance e per danno alla persona ed all’immagine, occorre considerare ch’egli, con detta omessa impugnazione (che, ove invece ritualmente proposta in uno con la domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione degli atti impugnati, avrebbe potuto consentire di stroncare sul nascere la lesione concreta ed attuale della sua sfera giuridica da lui ravvisata nell’asseritamente illegittima attività provvedimentale dell’Amministrazione, sì da permettergli, in caso di ritenuta sussistenza dei presupposti di legge da parte del Giudice, di poter raggiungere l’obiettivo sostanziale della sua partecipazione alla procedura con le affermate probabilissime chances di vittoria), egli ha, tenuto conto dell’ordinaria diligenza esigibile da un soggetto quale l’odierno ricorrente in possesso di una elevatissima qualificazione tecnicogiuridica, finito per assumere un ruolo determinante nella produzione del danno che addebita alla veduta attività dell’Amministrazione, nulla avendo egli fatto, nell’àmbito ed in forza di quell’ordinaria diligenza da lui come s’è visto in concreto esigibile, per evitare il danno stesso; ne deriva ch’è da escludersi qualsiasi spettanza risarcitoria a càrico dell’Amministrazione, essendo valsa la sua attività omissiva ad interrompere il necessario nesso causale tra l’illecito ed il danno subìto.

In ogni caso, nella fattispecie all’esame, il fatto produttivo del danno non è peraltro suscettibile di essere qualificato come illecito, sì che manca il primo, in ordine logicogiuridico, degli elementi costitutivi della fattispecie, di cui all’art. 2043 cod. civ.

In ordine, infatti, alla necessaria valutazione della legittimità dell’atto amministrativo pretesamente produttivo di danno, il Collegio ritiene che l’impedimento dallo stesso frapposto alla partecipazione del ricorrente al concorso di cui si tratta non riveli profili di illegittimità.

Premesso in proposito, invero, che la scelta del magistrato cui conferire un incarico direttivo all’esito di una procedura paraconcorsuale costituisce – se non esercizio di discrezionalità amministrativa in senso stretto, intesa come vera e propria scelta tra più comportamenti in vista del fine per il quale è stato attribuito il potere – espressione di un potere di valutazione rimesso dall’ordinamento all’organo a ciò deputato al fine di scegliere alla luce dei parametri normativi e di criterii predeterminati il magistrato ritenuto più idoneo a ricoprire l’incarico (Cons. St., IV, 21 marzo 2006, n. 1509), il contestato criterio (quello, cioè, dell’inammissibilità nella procedura di nomina alla carica di Presidente aggiunto delle domande prodotte dai magistrati cui manchino meno di 16 mesi al collocamento a riposo alla data del bando) si rivela, come risulta dalla stessa motivazione della deliberazione adottata in data 89 febbraio 2006 dal Consiglio di Presidenza della Corte dei conti (ove si fa espresso riferimento a "ragioni di continuità e durata minima nello svolgimento dell’incarico"), rispondente ad una non irragionevole finalità di efficienza, che non può essere sindacata da questo Giudice (così come non può essere sindacato il numero di mesi considerato dal Consiglio stesso necessario e sufficiente per il conseguimento del predetto scopo), stante la paradigmatica discrezionalità, che, per giurisprudenza assolutamente costante, caratterizza gli atti adottati dagli organi di autogoverno delle magistrature, sicché il controllo giurisdizionale è diretto principalmente a verificare la fedele ricostruzione dei fatti e la congruità e logicità della motivazione posta a base della scelta in concreto effettuata, nella fattispecie, come s’è visto, sussistenti, mirando il contestato criterio a realizzare una congrua continuità nell’espletamento delle delicate funzioni connesse all’ufficio giudiziario de quo e ad evitare con ciò il conferimento dell’incarico stesso per periodi troppo brevi.

Né siffatta non irragionevole finalità di efficienza può apparire non appropriata alle specifiche funzioni di Presidente aggiunto, atteso che anche le funzioni tipiche di detto ufficio (funzioni vicarie del Presidente e di cooperazione col Presidente medesimo nell’esercizio dei compiti a questo affidati) contribuiscono al raggiungimento di quel buon andamento dell’Amministrazione, che il criterio di cui si tratta è chiaramente volto a preservare e garantire nella massima misura possibile.

Nemmeno, poi, rileva qui in contrario la disciplina recata per la magistratura ordinaria dal D. Lgs. n. 20/2006 (laddove, in particolare, non avrebbe previsto per i posti direttivi apicali alcun termine minimo per la permanenza nell’ufficio), giacché le disposizioni di detto decreto si applicano, per espressa volontà del legislatore, "esclusivamente alla magistratura ordinaria" (art. 1), sì che, in assenza di limiti e vincoli derivanti dalla normazione primaria, ben può la potestà normativa secondaria spettante all’organo di autogoverno della magistratura contabile esplicarsi in tutta la sua latitudine, con il solo limite della ragionevolezza qui non superato, in un ambito che non invade la riserva affidata alla normativa di rango superiore.

In conclusione, il danno lamentato dal ricorrente risulta essergli stato inferto secundum ius e pertanto non può essergli riconosciuto alcun risarcimento per la lesione subìta, l’obbligazione di riparare il danno nascendo, ex art. 2043 c.c., soltanto dal comportamento "doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto".

4. – L’appello, in conclusione, va respinto, anche se la sentenza di primo grado va riformata quanto alla statuizione di inammissibilità della domanda risarcitòria, che va invece respinta.

Ricorrono tuttavia giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge la domanda di risarcimento danni.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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