Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 22-09-2010) 14-01-2011, n. 744 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 22 giugno 2009 la Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta, confermando la decisione assunta dalla locale Corte d’Assise, ha riconosciuto M.G. e G.A. responsabili, in concorso fra loro e con altri, dell’omicidio di Mu.Fi. ed V.E., aggravato L. n. 203 del 1991, ex art. 7, nonchè del connesso reato in materia di armi.

Il compendio probatorio a carico degli imputati era costituito in massima parte dalle propalazioni dei collaboratori di giustizia L.A. e R.G..

Il primo di costoro aveva riferito di un precedente tentativo di commettere l’omicidio in danno del Mu., organizzato da M. R. con la partecipazione di due killers appositamente arrivati da (OMISSIS); nella circostanza era presente, secondo il collaborante, M.G., fratello di R., ed un altro soggetto da lui allora ritenuto anch’esso fratello dei primi due, avente problemi ad un occhio per cui nel riferire sul suo conto lo aveva definito "guercio"; costui era stato in seguito identificato per G.A.. Quel primo attentato al Mu. era abortito alla constatazione che la vittima non era da sola, ma in compagnia di una ragazza: il che aveva provocato il rifiuto dei due killers di (OMISSIS), i quali infatti avevano accampato un pretesto (l’attesa di un provvedimento applicativo della misura di sorveglianza) per defilarsi in vista di futuri nuovi tentativi.

Quale movente del delitto il collaborante aveva indicato la volontà di M.R. di vendicare un attentato compiuto ai suoi danni dal Mu., quando poco tempo prima aveva sparato contro la sua casa e l’autovettura ed inoltre, attraverso la finestra del bagno, aveva dato luogo al rischio che la moglie del M. venisse colpita.

Il R. ha invece riferito, per avervi direttamente partecipato, le modalità di commissione dell’omicidio. Nella circostanza egli era stato reclutato per sopperire al rifiuto di M.G. di aggregarsi al gruppo di fuoco: costui, infatti, si era limitato a guidare l’autoveicolo col quale era stato raggiunto il luogo dell’attentato. Alla spedizione avevano preso parte, oltre a M. R., suo fratello S. e G.A. soprannominato "(OMISSIS)" a motivo del suo occhio malandato.

Una volta giunti sul posto – è sempre il R. a raccontarlo – avevano avvistato il Mu. seduto fuori dall’abitazione; là egli era stato raggiunto da un primo colpo sparato da M.R. con un fucile a pompa; fuggito lungo una stradella in salito, era stato colpito ancora da tergo e anche al braccio con un colpo calibro 38; infine, quando già si trovava a terra, era stato finito con un colpo di fucile al volto. Nel frattempo il R. aveva bloccato e trascinato la ragazza, cioè V.E., a qualche distanza dalla casa, nei pressi di un’autovettura Panda abbandonata. Qui era poi sopraggiunto il G. che le aveva sparato uccidendola.

Anche il R. ha riferito circa il movente che aveva animato M.R., indicandolo in un precedente attentato compiuto ai suoi danni dallo stesso Mu., nell’ambito della competizione fra i due per la supremazia criminale nel territorio di (OMISSIS).

Secondo il giudice di merito le dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie dei due collaboranti, di per sè intrinsecamente attendibili, si riscontravano reciprocamente; ulteriori riscontri erano ravvisati nelle propalazioni di altri collaboranti; nel rinvenimento, dietro indicazione del R., di una vettura Fiat Uno bruciata che era stata identificata per quella stessa usata per commettere l’omicidio; nelle risultanze della consulenza balistica, donde era emerso che l’arma utilizzata per l’omicidio corrispondeva a quella usata per un attentato ai danni di I.A.V. e Lu.Fr., entrambi amici del Mu.; nella perizia fonica che aveva permesso di individuare il M. quale autore di una telefonata minatoria all’indirizzo dell’ I.; nel rinvenimento, a distanza di tempo, da parte della sorella del Mu., dell’arma usata da costui per l’attentato ai danni del M..

Hanno proposto separati ricorsi i due imputati, per il tramite dei rispettivi difensori.

Il G., col suo unico motivo, deduce vizio di motivazione e travisamento di atti ed emergenze processuali in ordine alla propria descrizione e identificazione quale autore del delitto; contesta, in particolare, che l’arrossamento ad un occhio del quale soffriva all’epoca del fatto potesse indurre a qualificarlo come "guercio", tale definizione attagliandosi piuttosto a M.F., che in un primo tempo era stato indicato dal L. come partecipe del tentativo di omicidio non concluso e scagionato, invece, perchè detenuto all’epoca dei fatti.

Il ricorso di M.G. si articola in quattro motivi.

Col primo di essi il ricorrente denuncia la mancata assunzione di prove decisive, che indica nella acquisizione di accertamenti ulteriori sul numero di motore del veicolo Fiat Uno rinvenuto dietro indicazione del R., onde verificare la sua corrispondenza a quella assertivamente usata per il delitto; nonchè in una nuova audizione di R.G. per approfondire le modalità del trascinamento della V. poco prima del suo omicidio, stante la contestata compatibilità con le escoriazioni da essa riportate, nonchè le cause della lesione al capo su cui il collaborante non ha deposto.

Col secondo e terzo motivo, congiuntamente illustrati, il ricorrente rimprovera al giudice di merito di avere omesso un attento controllo sulla credibilità dei chiamanti in correità, avuto riguardo ai rapporti conflittuali fra costoro e M.R., alla infondata indicazione di M.F. come partecipe della prima spedizione poi abortita, alla contestata identificazione del G. quale componente del gruppo con una menomazione all’occhio; ribadisce, poi, nel dettaglio le discordanze e incongruità del narrato già denunciate al collegio di seconda istanza.

Col quarto motivo deduce carenza di motivazione in ordine all’applicazione dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 e al diniego delle attenuanti generiche.

Vi è agli atti una memoria difensiva, con motivi aggiunti, depositata nell’interesse dell’imputato G..

Motivi della decisione

Entrambi i ricorsi sono privi di fondamento e vanno, perciò, disattesi.

Come si è anticipato in narrativa, la ricostruzione del fatto alla quale il giudice di merito ha acceduto si è fondata in massima parte sulle dichiarazioni rese dai due collaboratori di giustizia L. A. e R.G., ritenute intrinsecamente attendibili e confortate dai molteplici riscontri rivenienti sia dalla loro reciproca convergenza, sia dalle propalazioni di altri collaboratori e dalle risultanze delle indagini di polizia giudiziaria. Ed è proprio sui singoli passaggi motivazionali afferenti siffatte valutazioni che si sono appuntate le critiche mosse ora dall’uno, ora dall’altro dei ricorrenti, sotto il costante profilo della denunciata illogicità e/o contraddittorietà del tessuto argomentativo.

Nell’approccio alla materia qui dibattuta è opportuno immediatamente osservare che il vizio di motivazione contemplato dall’art. 606 c.p.p., lett. e), per condurre all’annullamento della sentenza, deve tradursi in una caduta di consequenzialità logica di tale portata, da rendersi avvertibile prima facie (giacchè la norma richiede una "manifesta illogicità") attraverso la lettura del passaggio motivazionale in contestazione; ovvero in una inconciliabilità logica fra diverse proposizioni facenti parte del discorso giustificativo, od ancora fra talune di esse e (a seguito della riforma introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8) il contenuto di altri atti del processo, specificamente indicati nei motivi di gravame. Da ciò deve trarsi la conseguenza che non inficiano la validità del deliberato le lacune argomentative riconducibili a inadeguatezza o non persuasività della motivazione, volta che risulti assicurata la tenuta logica del ragionamento portante della struttura motivazionale. Quanto all’incidenza della menzionata contraddittorietà rispetto ad altri atti del processo, è d’obbligo ricordare il principio secondo cui il vizio deducibile in tale prospettiva è solo l’errore revocatorio (sul significante), in quanto il rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza impugnata non può che essere inteso in senso stretto, quale rapporto di negazione (sulle premesse): mentre ad esso è estraneo ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere interpretato per "brani" nè fuori dal contesto in cui è inserito. Ne deriva che gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa: restando esclusa dal sindacato di legittimità qualsiasi rivalutazione del risultato probatorio (Cass. 11 gennaio 2007 n. 8094).

Alla stregua dei principi suesposti, la linea motivazionale che informa i diversi punti della sentenza impugnata, riguardanti la responsabilità degli imputati odierni ricorrenti, si rivela immune dai vizi denunciati in quanto resiste alla verifica di logica consequenzialità.

Va detto, innanzi tutto, che la Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta non si è sottratta – contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente M. – all’obbligo di interrogarsi, in primis, sulla credibilità dei collaboratori di giustizia L. e R. sotto il profilo della autonomia, spontaneità e genuinità del loro apporto dichiarativo; a tal fine ha considerato che i due propalanti provenivano da esperienze e percorsi criminali diversi, onde poteva escludersi che le loro dichiarazioni fossero frutto di reciproco condizionamento: e ciò a maggior ragione in quanto essi avevano riferito su fatti diversi, per avere dato conto il L. di un primo tentativo, presto abortito, di dare attuazione al progetto omicidiario, mentre il R. aveva accusato se stesso ed altri del delitto portato a termine; del pari ha ritenuto soddisfatto il requisito della spontaneità delle propalazioni, non risultando che vi fosse stata una qualunque sollecitazione in tal senso da parte degli organi inquirenti; infine ha escluso che il narrato dei collaboranti fosse ispirato da sentimenti di astio nei confronti di M.R. (che nella vicenda criminosa avrebbe avuto il ruolo di promotore ed organizzatore, per motivi di rivalità mafiosa e di vendetta personale). A tanto si è indotto considerando, quanto al L., che, se era pur vero che gli inquirenti avevano attribuito al M. l’iniziativa di una telefonata anonima che aveva condotto all’arresto del padre e del fratello del propalante, era altrettanto vero che le sue accuse coinvolgevano anche persone diverse da M.R., estendendosi perfino al padre dello stesso dichiarante, che aveva offerto un sostegno logistico alla consumazione del delitto; quanto al R., non soltanto le dichiarazioni accusatorie erano state rese a carico anche di soggetti verso i quali egli non aveva alcun motivo di rancore: ma avevano avuto anche un contenuto autoaccusatorio (in un momento in cui nessun sospetto gravava sul R.) e si erano spinte anch’esse fino ad attribuire, sia pur dopo una iniziale riluttanza, una corresponsabilità del padre del collaborante; inoltre l’accusa portata contro il G. aveva costituito una assoluta novità nell’ambito delle ipotesi investigative, sicchè non era pensabile che il R. avesse posto a rischio la propria credibilità calunniando un soggetto non lambito da alcun atto di indagine.

L’analisi così compiuta dalla Corte nissena soddisfa senza dubbio il dovere di motivazione in ordine alla credibilità dei dichiaranti, ed è immune da pecche sotto il profilo della razionalità; onde non giova al ricorrente M.G. contrastare il giudizio positivo scaturitone contrapponendovi, sul piano della persuasività, le argomentazioni basate sulle ragioni di possibile conflittualità fra i collaboranti e M.R.: ragioni delle quali il giudice di merito non ha mancato di occuparsi, pervenendo tuttavia a disattendere motivatamente il corrispondente motivo di appello.

Nella sentenza impugnata è trattato, altresì, il tema della attendibilità intrinseca delle propalazioni, sotto il profilo della costanza e coerenza logica delle dichiarazioni, nonchè della reciproca convergenza: così già addentrandosi nella tematica dei riscontri esterni.

L’argomento era stato sollecitato dai motivi di appello, indirizzati a segnalare come frutto di una artificiosa forzatura, attraverso progressivi "aggiustamenti" del narrato, l’individuazione di G.A. quale partecipe del primo – poi rientrato – attentato al Mu. e, successivamente, della spedizione culminata nell’omicidio.

Il L. aveva in un primo tempo affermato che, in occasione del tentativo abortito, si era trovato in presenza di M.R. e di due fratelli di costui, uno dei quali aveva un occhio storto, guercio; successivamente, peraltro (nella fase finale dell’interrogatorio), aveva aggiunto di non sapere se la persona con l’occhio storto fosse effettivamente fratello di M.R., tale identità essendogli stata poi suggerita dal proprio padre, non presente all’incontro. In un successivo interrogatorio aveva riferito di aver ritenuto plausibile il rapporto di fratellanza, a causa di una certa somiglianzà fisica; sottopostagli la fotografia di M.F. (fratello di R., recante una malformazione all’occhio sinistro), non lo aveva riconosciuto; aveva poi più precisamente descritto le caratteristiche del soggetto da lui definito "guercio", specificando che l’occhio era aperto, ma aveva qualche cosa di strano. Nel corso di un altro interrogatorio aveva riconosciuto la persona in questione nella fotografia di G. A.; successivamente, durante un incidente probatorio, si era ancora soffermato sulla descrizione dell’occhio cosiddetto "guercio", spiegando che era rosso ed "aveva un problema". Nel frattempo il collaboratore R.G. aveva reso le sue dichiarazioni, accusando della partecipazione all’omicidio, fra gli altri, G. A. soprannominato "(OMISSIS)" a causa di un occhio un po’ malandato, recante una specie di macchiolina.

Nella valutazione delle risultanze or ora riassunte la Corte territoriale ha osservato: che l’analisi della vicenda processuale induceva ad escludere che l’esito delle indagini fosse stato condizionato da un accanimento investigativo nei confronti del G.; che infatti l’attenzione degli inquirenti si era portata su costui solo a seguito delle propalazioni del R., mentre il successivo riconoscimento da parte del L. aveva corroborato l’accusa; che non rispondeva al vero l’affermazione che il L. avesse in un primo tempo riconosciuto in M.F. il componente del gruppo di attentatori, atteso che nei verbali di interrogatorio non era dato cogliere alcun elemento in tal senso; che l’uso del termine "guercio" era stato fatto in modo improprio, da parte del L. e degli organi investigativi, con ciò essendosi soltanto designato un soggetto che aveva sicuramente un problema nell’occhio; che l’esistenza di un siffatto "problema" a carico del G. aveva trovato conferma negli accertamenti peritali, donde era emersa una patologia a carattere recidivante (episcierite bilaterale), i cui sintomi ben potevano essere configurati come "un problema nell’occhio"; che anche le fotografie scattate al matrimonio del G. il (OMISSIS) documentavano evidenti segni clinici di quella patologia; che i testi Mi.Gi. e Mo.Gi., appartenenti alla Polizia di Stato, avevano a loro volta notato nel G. la presenza di un problema all’occhio costituito da una macchia rossa; che, pertanto, la sofferenza oculare nell’imputato aveva costituito un fatto ripetuto che aveva dato luogo a diverse manifestazioni, così dando ragione della peculiare descrizione datane dal L.; che la diversa decisione assunta dalla Corte di Cassazione nel giudicare sul ricorso avverso la misura cautelare non poteva esercitare alcuna influenza in questa sede, anche perchè quel deliberato era stato assunto nella fase iniziale delle indagini, quando il quadro indiziario era assai più flebile di quello attuale.

Anche nella parte testè rievocata la decisione è sorretta da motivazione caratterizzata da logica ineccepibile, a fronte della quale le riproposte argomentazioni dei ricorrenti, già vagliate dal giudice di appello, si pongono come la prospettazione di una diversa lettura del materiale probatorio, cui la Corte di Cassazione non può essere chiamata. Nè vale riprodurre ed allegare al ricorso – come fatto dal G. nell’ottica di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) – il testo dei verbali d’interrogatorio del L., le fotocopie dei documenti d’identità dello stesso G. e di M.F., nonchè la sentenza resa da questa Corte Suprema nel procedimento cautelare: si tratta, invero, di atti nei confronti dei quali il giudice di merito non è incorso in alcun travisamento del "significante", mentre la valutazione del loro significato probatorio è stata argomentatamele condotta con l’esito dianzi ricordato, la cui motivazione sfugge a censura.

L’attendibilità del L. è stata contestata anche per avere costui dichiarato che il recesso dei due killers di (OMISSIS) ( D.V.M. e C.S.) era stato motivato da costoro adducendo di essere in procinto di venire raggiunti da un provvedimento di sorveglianza speciale, mentre in realtà una misura di tal fatta era stata ad essi imposta solo in epoca ampiamente posteriore. Tuttavia, anche sul punto in questione, la Corte d’Assise d’Appello ha motivato il proprio convincimento con l’osservare che l’imminente soggezione alla sorveglianza speciale era stata addotta dai due killers come mero pretesto, mentre in realtà il loro disimpegno era nato dalla volontà di non essere coinvolti nell’omicidio di una ragazza, considerato riprovevole perfino in ambiente mafioso. Il rigore logico della motivazione è vincente su ogni tentativo di scardinarne la consequenzialità, con l’insistere sul tempo intercorso prima che il provvedimento impositivo della misura di sorveglianza speciale venisse effettivamente emesso; nè può assumere alcun rilievo l’opinione maturata nel L. circa l’effettività o meno dell’impedimento addotto dal D.V. e dal C., la cui pretestuosità risulta comunque acclarata alla stregua della valutazione complessiva data dal giudice di appello al materiale probatorio raccolto.

La Corte di merito si è anche soffermata sulle dedotte contraddizioni, sia interne al narrato del L., sia rispetto alle propalazioni del R., escludendone l’attitudine a minare la valenza probatoria di quelle risultanze; ha infatti attribuito importanza marginale al fatto che il L. avesse in un primo tempo affermato di essere già stato nel villino, in cui si era svolto l’incontro in vista dell’attentato poi mancato, mentre aveva in un secondo tempo negato di esservi stato in precedenza: tanto più che il collaborante era stato in grado di riconoscere il villino nel corso del sopralluogo e che in epoca successiva la stessa indicazione era pervenuta dal R.. Analogamente ha negato rilievo alla diversa collocazione temporale assunta dagli eventi negli interrogatori resi in successione dal L., osservando a tal fine che la prima indicazione ("(OMISSIS)") era stata soltanto meno precisa della seconda ("(OMISSIS)"); a tale riguardo ha anche rimarcato che il rispondente era stato in grado di fornire una descrizione particolareggiata del piano omicidiario, indicandone il movente, le modalità esecutive, gli esecutori materiali e il mandante, nonchè la reazione dei due killers appositamente arrivati da (OMISSIS), a fronte dell’eventualità che si dovesse uccidere anche la ragazza: per il che poteva negarsi qualsiasi influenza, sull’attendibilità del collaborante, all’imprecisione di quella prima, generica, collocazione temporale. Quanto ai pretesi contrasti fra le dichiarazioni dei due collaboranti, ha rilevato quel collegio che le fonti di conoscenza erano state differenti, avendo il L. riferito su fatti che avevano visto la sua personale partecipazione, mentre il R. ne aveva avuto una conoscenza de relato, peraltro autonoma, in quanto derivatagli dalle confidenze di M. S., da quanto udito in casa e da quanto appreso per deduzione; nè rispondeva al vero che il collaborante avesse negato la presenza di G.A. in occasione del primo tentativo di agguato; d’altro canto le pur limitate discrasie fra le due narrazioni (come quella riguardante le cause del fallimento del primo attentato, ricondotte dal L. alla presenza della ragazza e dal R. ad una festa di bambini) non incidevano sul nucleo centrale del narrato e potevano, semmai, essere riguardate come indice di genuinità delle propalazioni.

A conclusione della verifica circa il valore probatorio delle propalazioni dei collaboranti, il giudice di merito si è soffermato sui riscontri esterni venuti alle loro dichiarazioni. In proposito ha rilevato come il narrato del L. avesse trovato conforto nelle dichiarazioni di altri collaboratori ( D.D.A., V. M., D.F.U.) per quanto riguardante lo spessore criminale di M.R., la tensione dei rapporti fra costui e Mu.Fi., il coinvolgimento dello stesso L. A. e dei due killers di (OMISSIS) nel primo attentato. Altri elementi di riscontro erano venuti dalle indagini di p.g. e, in particolare, dalla consulenza balistica donde era emersa la corrispondenza fra l’arma usata per commettere il duplice omicidio di cui al processo e quella utilizzata per un altro tentato omicidio ai danni di I.A.V. e Lu.Fr.; nonchè dalle risultanze della perizia fonica su una telefonata minatoria pervenuta all’utenza della suocera di I.V.. Quanto al R., un importante riscontro obiettivo era consistito nel ritrovamento in un boschetto, dietro sua indicazione, di un’autovettura Fiat Uno devastata da un incendio e individuata per quella usata per la commissione dell’omicidio. L’identificazione del veicolo era avvenuta mediante il numero di motore e, attraverso questo, l’accertamento del numero di telaio; si era così constatato che la vettura era stata oggetto di furto, in (OMISSIS). La Corte di merito ha valorizzato, oltre a tali elementi, anche il fatto che all’interno della carcassa del veicolo fossero state trovate tracce di tessuto e di due plantari in ferro del tipo di quelli in uso per le scarpe antinfortunistiche: ciò in piena assonanza con quanto affermato dal R., secondo cui dopo l’omicidio erano stati bruciati i vestiti e le scarpe "da meccanico" indossati durante l’agguato. A ciò si erano aggiunti: il rinvenimento di guanti in lattice e di un guanto di tipo veterinario presso la recinzione della proprietà del Mu.;

l’esito della consulenza balistica sul tipo di armi utilizzate per il delitto; la ricostruzione della dinamica dell’evento omicidiario riveniente dalla perizia T. – Ch., mentre una prima ricostruzione prospettata dal consulente Prof. Gu. era apparsa incompatibile con la descrizione poi fornita dal R. (a riprova dell’autonomia delle dichiarazioni rese dal collaborante).

L’analisi compiuta al riguardo dal collegio di seconde cure si mostra precisa e dettagliata, soffermandosi su ognuno dei suaccennati riscontri e dando risposta alle contrarie argomentazioni delle difese. In particolare, per quanto concerne l’identificazione dell’autovettura Fiat Uno, la Corte si è interrogata sulla possibilità – ventilata dalla difesa – che il numero identificativo del motore fosse stato contraffatto; ha così considerato che nessun elemento oggettivo suffragava siffatta ipotesi, mentre al contrario gli atti investigativi conducevano ad opposta conclusione: infatti le accurate indagini eseguite non avevano evidenziato alcun segno di alterazione sui numeri del motore, nè risultava in alcun modo che la vettura montasse un motore diverso da quello originariamente installato dalla casa produttrice, anche alla stregua delle dichiarazioni rese dalla proprietaria del veicolo rubato il (OMISSIS).

A conclusione di questa disamina deve senz’altro negarsi fondatezza all’addebito, mosso ai giudici di merito dai ricorrenti e in particolare dal M., di non aver dato risposta ai motivi di appello. Ciò è a dirsi anche con riferimento alle singole deduzioni finora non prese specificamente in esame; la sentenza impugnata contiene, infatti, puntuale confutazione degli argomenti riguardanti:

la pretesa illogicità del descritto tentativo del D.V. di disfarsi della rivoltella assegnatagli in uso in occasione del primo attentato; il valore da attribuirsi alle lettere inviate dal R. alla propria sorella ed al padre, additate come prova di un risentimento verso quest’ultimo, assertivamente idoneo a porre in dubbio la credibilità del collaborante; il mancato rinvenimento sul luogo dell’omicidio dei resti animali ai quali il Mu. stava dedicandosi, secondo il narrato del R., al momento dell’agguato;

le condizioni dei guanti rinvenuti sul luogo dell’omicidio; l’omessa menzione, negli atti di p.g., della Fiat Panda accanto alla quale fu consumata l’uccisione di V.E.; l’eziologia delle escoriazioni rivenute sul corpo di costei; le condizioni ambientali al momento del delitto, con particolare riguardo alla presenza di vento caldo; la valenza probatoria del rinvenimento, da parte di Mu.Ca., della pistola calibro 38 occultata nel muro di cinta dell’abitazione di Mu.Fi..

I restanti spunti argomentativi dettagliatamente esposti nel ricorso del M. hanno il carattere, per l’appunto, di argomentazioni difensive; come tali non richiedevano da parte del giudice di merito un’espressa confutazione singolarmente illustrata, sufficiente essendo l’esposizione – in corretti termini logico-giuridici – delle ragioni salienti del convincimento raggiunto.

Restano, a questo punto, da prendere in osservazione le censure mosse dal M. col primo e col quarto motivo del suo ricorso.

Il primo motivo s’incentra sul diniego opposto dal giudice di appello all’istanza di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale attraverso l’acquisizione di informazioni, presso la Polizia Stradale, circa l’autenticità dei numeri impressi sul motore della Fiat Uno rinvenuta nel corso delle indagini; nonchè attraverso una nuova escussione del R. in merito alla dinamica dell’uccisione della V.. Secondo il ricorrente tale diniego avrebbe integrato un duplice vizio di omessa acquisizione di prove decisive e di illogicità di motivazione sul punto.

Il motivo non ha fondamento. E’ principio di consolidata acquisizione nella giurisprudenza di legittimità quello per cui – all’infuori dell’ipotesi, qui non ricorrente, di prove sopravvenute o scoperte dopo la conclusione del giudizio di primo grado (art. 603 c.p.p., comma 2) – la rinnovazione dell’istruzione nel processo di appello ha carattere eccezionale ed è subordinata a una valutazione giudiziale di assoluta necessità, conseguente all’insufficienza degli elementi istruttori già acquisiti (Cass. 1 dicembre 2005 n. 3458/06; v, anche la più recente Cass. 10 dicembre 2009 n. 15320/10). Nel caso di specie la Corte di merito ha chiaramente dimostrato di poter decidere allo stato degli atti, esprimendo motivatamente il suo giudizio sia in ordine alla identificabilità dell’autovettura Fiat Uno, sia in ordine all’eziologia (dovuta al trascinamento ad opera del R.) delle lesioni riscontrate sulle ginocchia della V.: donde la piena legittimità del rigetto di entrambe le istanze di integrazione probatoria.

Il quarto motivo s’indirizza a impugnare la mancata esclusione dell’aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito con modificazioni nella L. 12 luglio 1991, n. 203, e il diniego delle attenuanti generiche.

In ordine al primo profilo basti richiamarsi al principio giurisprudenziale evocato dalla Corte d’Assise d’Appello, ribadito anche dalle Sezioni Unite di questa Corte Suprema, a tenore del quale "la circostanza aggravante prevista dal D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito in L. 12 luglio 1991, n. 203 (aver agito avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. o al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso) è applicabile anche ai delitti astrattamente punibili con la pena edittale dell’ergastolo e pertanto può essere validamente contestata anche con riferimento ad essi, ma opera in concreto solo se, di fatto, viene inflitta una pena detentiva diversa dall’ergastolo, mentre, se non esclusa all’esito del giudizio di cognizione, esplica comunque la sua efficacia a fini diversi da quelli di determinazione della pena" (Cass. Sez. Un. 18 dicembre 2008 n. 337/09; v. anche la più recente Cass. 17 febbraio 2010 n. 20144). Il giudice di merito ha dato corretta applicazione alla menzionata regala iuris, sicchè la sentenza si sottrae per tale aspetto alla critica mossale.

Sotto il secondo profilo il motivo esula dal novero di quelli consentiti dall’art. 606 c.p.p., in quanto volto a criticare la mancata applicazione delle attenuanti generiche. Trattasi, invero, di statuizione che l’ordinamento rimette alla discrezionalità del giudice di merito, per cui non vi è margine per il sindacato di legittimità, quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai canoni della logica. Nel caso di specie la Corte territoriale non ha mancato di motivare la propria decisione sul punto, con l’evidenziare la gravità e l’efferatezza dei delitti perpetrati, desumibile anche dalla premeditazione e dall’accuratezza con cui il programma criminoso era stato realizzato: gravità operante pure a carico del M., malgrado costui non avesse sparato, stante anche la sua partecipazione al precedente attentato non condotto a termine. Siffatta linea argomentativa non presta il fianco a censura, non essendo necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il giudice prenda singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p., ma essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che, nel discrezionale giudizio complessivo, assumono eminente rilievo.

Al rigetto dei ricorsi, che inevitabilmente discende dalle considerazioni fin qui svolte, consegue la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Alla parte civile facente capo ai congiunti di V.E., che per il tramite del difensore Avv. Francesco Tavella ha presenziato all’udienza svolgendo le proprie ragioni, spetta il rimborso delle spese di difesa sostenute nel presente giudizio di legittimità; la relativa liquidazione è effettuata nella somma di Euro 6.500,00 per onorari, da maggiorarsi in ragione degli accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè in solido alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile rappresentata dall’Avv. Francesco Tavella, liquidate in complessivi Euro 6.500,00 per onorari, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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