Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-11-2010) 17-01-2011, n. 816

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 7 maggio 2008, la Corte di appello di Lecce confermava la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della stessa città del 19 gennaio 2005, con la quale, all’esito del giudizio abbreviato, C.O. veniva ritenuto responsabile del reato di falsa testimonianza e condannato alla pena di giustizia.

Era addebitato all’imputato di aver affermato il falso, nella deposizione effettuata, ai sensi dell’art. 197 bis cod. proc. pen., davanti alla Corte di appello di Lecce nel procedimento penale a carico di M.M., imputato di concorso nella tentata estorsione ai danni F.G., reato per il quale il C. era stato già condannato con sentenza irrevocabile. In particolare, era risultato che il C. aveva dichiarato, contrariamente al vero, che il M. era estraneo all’attività di estorsione e che non si trovava nelle immediate vicinanze della cabina telefonica dalla quale lo stesso C. stava effettuando una richiesta estorsiva.

2. Avverso la suddetta sentenza, ha proposto ricorso il difensore fiduciario dell’imputato, articolando tre motivi di gravame.

Con il primo motivo, denuncia la violazione dell’art. 372 cod. pen., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per difetto e manifesta illogicità della motivazione, in quanto la sentenza impugnata non avrebbe dato adeguata e logica risposta ad una serie di doglianze contenute nell’atto di appello. In particolare, era stato eccepito in tale sede che nella deposizione oggetto del presente procedimento penale l’imputato non avrebbe mai affermato l’estraneità del M. all’attività estorsiva in corso e che una domanda in tal senso neppure sarebbe stata posta direttamente ed esplicitamente al teste; e che la responsabilità del M. per il concorso nella tentata estorsione non sarebbe stata basata sull’aver partecipato o comunque assistito alle telefonate effettuate dal C..

Con il secondo motivo, deduce la violazione dell’art. 384 cod. pen., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), e difetto assoluto di motivazione, lamentando che la sentenza impugnato non avrebbe affrontato i rilievi difensivi contenuti nel gravame di appello, riguardanti l’inesigibilità della deposizione richiesta all’imputato, in quanto da essa poteva scaturire la responsabilità del teste per il reato associativo, reato per il quale il M. ed il C. hanno riportato condanna definitiva, ma per il quale all’epoca non erano ancora accusati.

Con il terzo motivo, lamenta la violazione dell’art. 372 in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per difetto assoluto di motivazione in ordine alla prova del dolo. Si contesta l’affermazione secondo cui l’imputato, nel deporre, abbia voluto escludere la responsabilità del M..

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Quanto al primo motivo le censure sono palesemente infondate. La Corte distrettuale ha dato adeguata risposta alle doglianze proposte con i motivi di appello, evidenziando che il C., sentito nel corso delle indagini preliminari, aveva operato una chiamata in correità del M., poi non confermata nella fase dibattimentale, nella quale aveva riferito circostanze risultate del tutto false circa la distanza del M. dalla cabina telefonica dalla quale stata effettuando la telefonata estorsiva e circa la possibilità che quest’ultimo potesse ascoltare la telefonata stessa.

Quanto al rilievo difensivo sulla ininfluenza della testimonianza dell’imputato nell’accertamento della responsabilità del M. per il concorso nella tentata estorsione, va osservato che, come correttamente ha evidenziato la Corte distrettuale, il delitto di cui all’art. 372 cod. pen. è reato di pericolo, con la conseguenza che ciò che rileva, ai fini dell’integrazione del reato, è che il testimone affermi il falso o neghi il vero, in tutto o in parte, mentre è irrilevante il grado di influenza che la deposizione falsa ha esercitato in concreto sul procedimento (tra le tante, Sez. 6, n. 26559 del 31/03/2008, dep. 02/07/2008, Lo Presti, Rv. 240690).

A ciò deve aggiungersi, che, poichè la consumazione del reato di falsa testimonianza si verifica quando il giudice percepisce la falsa affermazione o la falsa negazione, è inoltre irrilevante che il giudice abbia tratto da altre fonti di prova elementi per la conoscenza della verità (Sez. 6, n. 02124 del 25/05/1989, dep. 16/02/1990, Lombardo, Rv. 183351).

2. Parimenti connotata dalla medesima inammissibilità è la censura concernente la violazione dell’art. 384 cod. pen. Come si è già rilevato nel paragrafo che precede, la Corte di appello aveva evidenziato che il C. aveva operato una chiamata in correità del M. nel corso delle indagini preliminari. Ciò comportava pertanto l’inapplicabilità dell’esimente di cui all’art. 384 c.p., comma 1, avendo l’agente volontariamente causato la situazione di pericolo dell’essere incriminato per un reato in precedenza commesso (per fattispecie analoghe, Sez. 6, n. 10654 del 20/02/2009, dep. 10/03/2009, Ranieri, Rv. 243076; Sez. 6, n. 07823 del 15/12/1998, dep. 16/06/1999, Mocerino, Rv. 214756).

Non è peraltro sostenibile la tesi del ricorrente per cui non avrebbe potuto essere interrogato sul punto, per non essere esposto al rischio di una incriminazione, in quanto la chiamata di correo era stata da lui già effettuata ed il rischio dell’incriminazione, se pur fosse dipeso dalla sua dichiarazione, si era già verificato.

3. Manifestamente infondato è anche l’ultimo motivo di ricorso.

Per perfezionare il delitto di falsa testimonianza non occorre il dolo specifico, bastando l’intendimento, comunque determinatosi, di dire il falso: è indifferente l’obiettivo avuto di mira dall’agente, perchè quale esso sia, viene sempre leso il normale funzionamento della giustizia che rappresenta l’oggetto della tutela giuridica. Nel reato di falsa testimonianza l’elemento psicologico si manifesta pertanto intrinsecamente inerente alla materialità oggettiva del fatto, così da risultare facilmente percepibile nell’accertamento del fatto-reato nella sua realtà ontologica (Sez. 6, n. 05943 del 02/03/1981, dep. 15/06/1981, Donnini, Rv. 149380).

3. Sulla base di quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma in favore della Cassa delle ammende che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 (mille/00) in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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