Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 05-10-2010) 17-01-2011, n. 983 Competenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

M.A., V.T., D.M., tramite il difensore, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza 4.3.2008 con la quale la Corte d’Appello di Napoli, per i primi due imputati ha confermato la decisione 10.2.2004 del Tribunale di Nola con la condanna del primo ad anni quattro di reclusione e del secondo ad anni due, mesi dieci di reclusione ed Euro 900,00 di multa per i reati di cui all’art. 416 c.p.; artt. 110, 648 c.p.; mentre, dichiarata la prescrizione del delitto di associazione per delinquere, riformando la sentenza di primo grado, ha condannato il terzo ( D.) alla pena di anni uno, mesi sei di reclusione per la violazione degli artt. 110, 648, c.p..

La difesa ricorrente muove sei distinti motivi di doglianza così testualmente sintetizzati nell’epigrafe del ricorso:

1) Nullità della sentenza per violazione ed erronea applicazione degli artt. 157, 159, 161, 648 c.p. ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).

2) Nullità della sentenza per violazione ed erronea applicazione degli artt. 125, 191, 192, 238, 270 c.p.p., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B) e c).

3) Nullità della sentenza per violazione del combinato disposto dell’art. 114 disp. att. e art. 356 c.p.p. in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b);

4) Nullità della sentenza per violazione ed erronea applicazione della L. n. 388 del 1993, artt. 54 e 55, L. n. 696 del 1984, art. 12, art. 696 c.p.p. in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).

5) Nullità della sentenza per violazione ed erronea applicazione degli artt. 416 e 648 c.p., in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b).

6) Nullità della sentenza per clamorosa e manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione nonchè per evidente mancanza di motivazione, il tutto come risulta ampiamente dallo stesso testo impugnato, massimamente ove lo si raffronti ai motivi di gravame.

Passando alla disamina dei singoli punti del ricorso il Collegio osserva quanto segue. p. 1.) Il primo motivo riguarda, sotto differenziati profili, le posizioni processuali di tutti e tre i ricorrenti.

In particolare la difesa, in relazione al D., lamenta che la Corte territoriale non avrebbe dichiarato la prescrizione del delitto di cui all’art. 648 c.p., pur essendo essa maturata in data 15.11.2005, o comunque (tenendosi conto dei periodi di sospensione indicati dalla Corte ex art. 159 c.p.), in data 11.11.2007, quindi prima della data della pronuncia della decisione di appello.

La doglianza è infondata. In primo luogo, in conformità della decisione Sez. U, n. 47008 del 29/10/2009 in Ced Cass Rv. 244810 ove:

Ai fini dell’operatività delle disposizioni transitorie della nuova disciplina della prescrizione, la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado determina la pendenza in grado d’appello del procedimento, ostativa all’applicazione retroattiva delle norme più favorevoli ai sensi dell’art. 10 disp. trans, della L. n. 251 del 2005, nel caso in esame, si deve applicare la normativa di cui agli artt. 157 e ss. c.p.p., nella sua formulazione antecedente all’entrata in vigore della citata L. n. 251 del 2005, posto che il giudizio di primo grado è stato definito con sentenza del 10.2.2004.

Pertanto, il termine massimo di prescrizione del delitto di cui all’art. 648 c.p. (comprensivo del prolungamento per la "interruzione" ex art. 160 c.p.) matura il 15.11.2010 e, per effetto delle intervenute sospensioni ex art. 159 c.p., il termine va ancora prorogato fino all’11.11.2012. Di qui consegue che a tutt’oggi non è ancora maturata la invocata causa estintiva del reato.

Analoga censura (mancata dichiarazione della causa estintiva del reato) muove la difesa per la posizione del V.T. accusato del reato di cui all’art. 416 c.p., aggravato ai sensi del comma 5.

Anche in questo caso la difesa (censurando altresì la legittimità della contestazione della circostanza aggravante) prospetta l’estinzione del delitto associativo per sopravvenuta prescrizione ritenendo applicabile la disciplina della L. n. 251 del 2005.

Devono qui richiamarsi le considerazioni più sopra svolte circa il regime normativo da applicarsi. Pertanto: il delitto di cui all’art. 416 c.p., contestato al V., già nella sua forma base, ai sensi dell’art. 157 c.p., comma 1, n. 3, si prescrive in dieci anni (il termine non muterebbe anche nel caso di ricorrenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416 c.p., comma 5).

Il suddetto termine ha una proroga di ulteriori cinque anni, per effetto della interruzione ex art. 160 c.p.p., cui va aggiunto il periodo di sospensione maturato dal 7.3.2006 al 4.3.2008. Tenuto conto che il delitto contestato è "consumato" alla data dell’1.3.1996 (per effetto della cessazione della permanenza a seguito degli arresti degli imputati) il termine di prescrizione del reato ascritto matura alla data del 27.2.2013.

Il motivo di ricorso va quindi rigettato.

La soluzione alla quale si perviene nell’analisi della posizione processuale del V., non si pone in contrasto (come sostenuto dalla difesa) con quella del D. al quale pure era stato contestato il medesimo delitto di cui all’art. 416 c.p.; infatti a quest’ultimo imputato sono state riconosciute le attenuanti generiche il cui effetto è stato di modificare la pena base massima dell’art. 416 c.p., riducendola a meno di cinque anni, con conseguente effetto sul calcolo dei termini di prescrizione, correttamente riconosciuta, dalla Corte d’Appello Napoletana.

Per le medesime ragioni esplicitate nella disamina del ricorso del V. deve essere respinta la identica doglianza mossa dalla difesa anche nello interesse dell’imputato M.A., pure imputato per delitto di cui all’art. 416 c.p., comma 1.

Per completezza, va ancora osservato che nell’ambito del primo motivo di ricorso la difesa ha sollevato in riferimento alla posizione processuale del D., dubbi sulla legittimità dell’applicazione della norma che disciplina l’istituto della sospensione dei termini di prescrizione; più esattamente la difesa ha definito "sorprendente" la sospensione indicata dalla Corte territoriale affermando, in termini peraltro assai generici, che "essa non è consentita al di fuori dei parametri normativi". La doglianza, da una lato appare essere irrilevante posto che il delitto ascritto al D. non è ancora prescritto anche senza tenere conto della "sospensione" indicata dalla Corte territoriale; dall’altro, la doglianza è comunque infondata, perchè la Corte territoriale ha applicato la disciplina dettata dall’art. 159 c.p.p., secondo il testo antecedente all’entrata in vigore della L. n. 251 del 2005; dal ultimo va ancora detto che la censura è formulata in termini del tutto generici, perchè la difesa ricorrente non indica le ragioni di diritto poste a suo fondamento, e non sono neppure indicati i periodi di sospensione illegittimamente considerati dal giudice dell’Appello. p. 2.) Con il secondo motivo (riguardante sostanzialmente la sola posizione del M.A.) la difesa denuncia:

a) vizio di carenza di motivazione, perchè il giudice dell’appello non avrebbe preso in considerazione i motivi di impugnazione;

b) vizio di contraddittorietà della motivazione, perchè il giudice del merito, dopo avere prospettato la utilizzabilità (per il solo M.A.) dei soli verbali delle prove non dichiarative e degli atti irripetibili, avrebbe invece fatto uso delle deposizioni del Maresciallo F. resa in data 2.5.2001 e del Carabiniere D.P. (udienza 23.10.2002);

c) violazione di dell’art. 270 c.p.p., perchè gli esiti delle intercettazioni telefoniche svolte nel procedimento aperto a carico dei correi ( C.R. e altri) non potevano essere utilizzate nel diverso procedimento aperto nei confronti del M. di cui al n. 240/2003;

d) violazione di legge per erroneità della riunione del procedimento penale aperto nei confronti del M., con quello riguardante altri imputati con conseguente nullità riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 178 c.p.p., lett. c) e conseguente inutilizzabilità ex art. 191 c.p.p.;

e) violazione dell’art. 238 c.p.p., comma 2 bis, in relazione all’utilizzo delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche senza che fosse stato espresso il consenso della difesa.

Le doglianze vanno esaminate partitamente essendo necessaria una breve premessa riguardante lo svolgimento del processo, come puntualmente illustrato nella decisione di primo grado che può essere esaminata alla luce del principio per il quale è possibile per il giudice di legittimità procedere alla lettura integrata della decisione di appello con quella di primo grado quando che le due decisioni abbiano criteri di valutazione omogenei e apparati logico argomentativi uniformi v. in tal senso, fra le altre: Cass. sez. 3^, 1.2.2002 in Ced Cass., rv. 221116, come si riscontra le caso in esame.

La vicenda processuale trae origine dalle indagini di Polizia giudiziaria avviate nel settembre del 1995 in relazione ad un traffico di documenti e di valuta falsi intercorrente tra la Germania e l’Italia. Il reato trovava riscontro nelle intercettazioni telefoniche svolte dall’Ufficio Criminale di Stoccarda, attraverso le quali si evidenziavano i traffici illegali tra M.A. abitante nella città tedesca e B.C. a sua volta residente in Nola. L’indagine in Italia si sviluppava attraverso la intercettazione telefoniche italiane, attraverso le quali venivano identificati, quali compartecipi dell’illecito: B.C., V.T., B.G., C.R., D. M., F.A., M.E., S. M..

La attività della polizia giudiziaria progrediva attraverso interventi operativi che consentivano il sequestro in Italia (il 17.11.1995, presso la stazione ferroviaria di Napoli) di cinque carte di identità in bianco che C.R. (cognata del M. A.) doveva portare in (OMISSIS), e l’ulteriore sequestro (presso l’ufficio postale di (OMISSIS)) di un plico, contenente sei carte di identità in bianco, destinato a tale "(OMISSIS)" spedito da tale G.A. di Nola (persona non identificata). All’esito delle indagini, con decreto del GUP del Tribunale di Nola del 27.10.2008 venivano quindi tratti a giudizio:

M.E., C.R., B.C., V.T., D.M., F.A.A., S. M.. Il rapporto processuale si costituiva all’udienza del 5.5.1999, con eccezione della sola C. a cagione di un difetto di notificazione.

Alla successiva udienza del 26.1.2000 il procedimento veniva regolarmente incardinato per tutti gli imputati con successiva dichiarazione di contumacia della S. pronunciata in data 20.9.2000.

In data 2.5.2001 le parti formulavano le proprie richieste probatorie e veniva iniziata la istruzione dibattimentale con la audizione dei testimoni: R.G., A.A., F.G..

Nella udienza del 20.6.2001 il Tribunale acquisiva il certificato di morte del F. (nel frattempo deceduto) e le precisazioni delle richieste del Pubblico Ministero circa le telefonate delle quali era necessario procedere a trascrizione.

In Data 17.10.2001 il Tribunale disponeva la perizia di trascrizione delle intercettazioni telefoniche. Successivamente al deposito della suddetta perizia, il processo subiva una serie di rinvii a cagione della adesione dei difensori alla "astensione" dalle attività di udienza indette dal CNF. Il procedimento quindi perveniva alla udienza del 23.10.2002, ove si procedeva alla "rinnovazione" del dibattimento essendo mutata la composizione del collegio giudicante. Nel corso della detta udienza veniva escusso il testimone D.P..

Dalla successiva udienza dell’11.12.2002 il processo subiva una nuova stasi stante la necessità di procedere all’escussione di due testimoni di nazionalità straniera (udienze 19.2.2003, 5.3.2003,19.3.2003, 9.4.2003, 30.4.2003) e all’udienza del 14.5.2003, essendo mutato nuovamente il collegio, veniva riarticolata la sequenza "richieste istruttorie-ordinanza ammissiva" e venendo discussa la questione della riunione del procedimento 240/2003 (Rg Trib. Nola) a carico del solo M.A., imputato degli identici reati per i quali era in corso il procedimento a carico della C.R. e altri. Il Tribunale indicava quindi gli atti utilizzabili ai sensi dell’art. 511 c.p.p., comma 5. All’udienza del 29.10.2003 veniva escusso il testimone I.T. e, a quella del 2.12.2003, il testimone S.R.; nel corso di quest’udienza il Tribunale (opponente alla riunione la difesa del M.A.) disponeva la riunione del procedimento a carico del M.A. al presente procedimento, avendo già la difesa del prevenuto dato il proprio consenso (in data 29.10.2003) all’acquisizione del verbale delle dichiarazioni testimoniali rese dall’ I..

In data 28.1.2004 veniva conclusa l’istruzione dibattimentale e all’udienza del 10.2.2004, terminata la discussione delle parti, il Tribunale pronunciava la propria sentenza.

In particolare va ancora aggiunto che il Tribunale, nel disporre la riunione dei procedimenti penali 240/2003 e 421/1998 Rg Trib, con ordinanza indicava: 1) l’esistenza di ragioni di connessione ai sensi dell’art. 12 c.p.p., comma 1, lett. a); 2) l’esistenza del dato temporale processuale di cui all’art. 17 c.p.p., comma 1. Il Tribunale, quindi dando atto che la riunione del procedimento penale n. 240/2003 avveniva in un momento nel quale l’attività istruttoria dibattimentale del procedimento (ricevente) 421/1998 era già stata parzialmente compiuta, ha affrontato la questione dell’utilizzabilità degli atti processuali acquisiti in relazione alla posizione processuale del M.A., stabilendo ex art. 238 c.p.p. che, nei confronti di quest’ultimo, potevano essere utilizzati i verbali di prova (perizia trascrittiva delle intercettazioni) diversi dalle dichiarazioni testimoniali, con eccezione di quella rilasciata dall’ I., alla luce del consenso, a suo tempo, espressamente prestato dal difensore del M.A..

Il Tribunale ha inoltre ritenuto utilizzabili nei confronti del M. gli atti riconducibili alla previsione di cui alla lettera d) dell’art. 431 c.p.p. (perquisizioni e sequestri) escludendo invece le dichiarazioni rese da J.N. alla Polizia Giudiziaria tedesca nelle date:

(OMISSIS).

Con l’atto di appello, la difesa del M. ha eccepito la nullità della sentenza di primo grado, perchè la descritta "riunione dei procedimenti" è stata disposta in un momento successivo al compimento (nel procedimento penale ricevente) delle formalità cui all’art. 491 c.p.p., con conseguente violazione dei diritti di difesa.

La Corte territoriale ha respinto la doglianza, verificando la ritualità del procedimento di riunione, seguito dal Tribunale ai sensi dell’art. 17 c.p.p. ed accertando che le prove, acquisite nel proc. 421/1998 in un momento antecedente alla detta "riunione" fossero utilizzabili nei confronti dell’imputato M..

Con l’atto di gravame in questa sede, la difesa del M.A. critica la decisione della Corte territoriale ritornando anche sulla questione della legittimità dell’atto di riunione dei procedimenti 240/2003 e 421/1998.

Ripercorrendo quindi i punti del gravame retro indicati, il collegio osserva quanto segue.

E’ manifestamente infondata la doglianza (sub 2.a) di vizio di carenza di motivazione, perchè il giudice dell’appello non avrebbe preso in considerazione i motivi di impugnazione; contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, in modo succinto, ma esauriente, e con motivazione adeguata la Corte territoriale ha risposto alfa doglianze contenute nell’atto di impugnazione, nè la difesa in modo chiaro ha esplicitato quale dei suoi motivi di gravame non sia stato espressamente preso in considerazione del giudice dell’Appello.

Pertanto, per questa parte il motivo è inammissibile perchè generico.

In riferimento alla doglianza di cui al punto 2.d) (che appare pregiudiziale rispetto alle altre), va rilevato che la Corte d’Appello ha correttamente esaminato la questione relativa alla disposta "riunione dei procedimenti".

Secondo il codice di rito, la "riunione" di processi, in via generale, può essere disposta dal giudice quando i procedimenti: 1) siano pendenti nello stesso stato e grado; 2) siano avanti il medesimo giudice; 3) l’atto non determini un ritardo nella definizione; 4) ricorra una delle ipotesi processuali previste dall’art. 12 c.p.p..

La semplice lettura dei capi di imputazione riportata nella rubrica della sentenza impugnata costituisce inequivoco riscontro della legittimità della decisione assunta in relazione al citato art. 12 c.p.p.; il Tribunale inoltre: non ha rilevato (con giudizio non sindacabile nel merito) la esistenza di cause che potessero determinare un ritardo nella definizione degli stessi; ha constatato che entrambi i processi, al momento della riunione, fossero pendenti avanti il medesimo Tribunale e nello stesso stato e grado.

Pertanto nessuna censura può essere accolta in relazione alla regolarità del procedimento di riunione, avendo le parti interessate, nel rispetto del principio del contraddittorio, manifestato la propria volontà e non essendo previsto che la decisione debba essere assunta con il "consenso" delle parti interessate, rientrando nell’ambito di un potere del giudice, discrezionale (ma non arbitrario) correlato alla valutazione (nel merito non sindacabile) delle esigenze di economia processuale da considerarsi anche in relazione al principio della "ragionevole durata del processo" di cui all’art. 111 Cost.. La difesa lamenta che la "riunione" in esame, sia stata disposta dal Tribunale nel momento in cui nel processo cd. "ricevente" erano già state compiute le formalità di apertura del dibattimento. La doglianza anche su questo punto è infondata.

In primo luogo è da osservare che gli artt. 17 e 19 c.p.p., al di fuori della regola della pendenza di entrambi i procedimenti nel medesimo stato e grado, non prevedono ulteriori e diversi limiti, per cui una volta accertata l’esistenza delle sole condizioni previste dai citati articoli, la riunione o la separazione dei giudizi può essere disposta nel corso di tutto il grado nel quale il processo si trova.

Depone in tal senso la lettura dell’art. 491 c.p.p., ove: il primo comma, elenca le questioni che possono e debbono essere trattate con priorità (a pena di decadenza), subito dopo la verifica dell’accertamento della costituzione delle parti; il secondo comma, indica fra le questioni suscettibili di trattazione preliminare, quelle attinenti il contenuto del fascicolo del dibattimento (ex art. 431 c.p.p.) e quelle riguardanti la "riunione" o la "separazione" dei giudizi, prevedendo peraltro la possibilità di una loro trattazione differita ad un momento successivo alla fase predibattimentale, qualora l’esigenza sorga nel corso del giudizio. Di qui consegue che la riunione o la separazione dei procedimenti, (fermi i soli limiti previsti dall’art. 17 c.p.p.) può essere disposta anche successivamente al compimento delle formalità di apertura del dibattimento. Pertanto appare corretta, in diritto, la decisione della Corte territoriale sulla doglianza sollevata dalla difesa.

La soluzione alla quale si perviene consente quindi di procedere alla trattazione degli ulteriori motivi di ricorso.

La difesa (motivo 2.b) lamenta il vizio di contraddittorietà della motivazione, perchè il giudice del merito, in riferimento alla posizione processuale dei M.A., contrariamente alla affermazione di utilizzabilità dei soli verbali delle "prove non dichiarative" e degli "atti irripetibili", si sarebbe avvalso anche delle deposizioni del Maresciallo F. (udienza 2.5.2001) e del Carabiniere D.P. (udienza 23.10.2002).

La censura è manifestamente infondata.

In primo luogo la doglianza è generica, perchè il ricorrente non indica il punto della decisione impugnata ove si sarebbe manifestato il vizio. In secondo luogo, nella lettura della sentenza di appello non si rinviene alcun punto in cui risulti che la particolare posizione del M.A., ai fini della affermazione della sua penale responsabilità, sia stata valutata alla luce delle sole dichiarazioni del Maresciallo F. e del Carabiniere D. i quali hanno deposto in riferimento al contenuto delle intercettazioni telefoniche, alla identificazione di persone imputate diverse dal M.A. che risulta essere attinto da prove diverse da quelle rappresentate dalle deposizioni testimoniali in parola. Di qui conseguono la insussistenza della violazione indicata e la genericità del contenuto della censura, perchè non fornisce, tra l’altro, alcuna indicazione sulla esclusiva risolutività delle prove ritenute inutilizzabili.

Il motivo per questa parte è pertanto inammissibile.

La difesa quindi (2.c) denuncia la violazione di dell’art. 270 c.p.p. perchè gli esiti delle intercettazioni telefoniche svolte nel procedimento aperto a carico dei correi ( C.R. e altri) non potevano essere utilizzate nel diverso procedimento aperto nei confronti del M. di cui al n. 240/2003.

La censura è manifestamente infondata. L’art. 270 c.p.p., comma 1, prevede che i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza. Il limite alla utilizzabilità delle intercettazioni è pertanto ricollegabile alla circostanza che essa venga disposta in "procedimenti diversi" da quello nel quale sono state disposte. In punto "diversità" del procedimento, la giurisprudenza di legittimità si è ripetutamele interessata, affermando il consolidato principio per il quale: "In materia di prove, il concetto di diverso procedimento nel quale, ai sensi dell’art. 270 cod. proc. pen., comma 1, è vietata la utilizzazione dei risultati di intercettazioni o comunicazioni non si estende fino ad escludere la possibilità di utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti concernenti indagini strettamente connesse e collegate, sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico al reato in ordine al quale il mezzo di ricerca della prova è stato disposto. Inoltre, la diversità del procedimento di cui si parla deve assumere rilievo di carattere sostanziale e non può essere ricollegata a dati meramente formali, quale la materiale distinzione degli incartamenti relativi a due procedimenti o il loro diverso numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato, v. in tal senso Cass. Sez. 2^ 19.1.2004 n. 9579 in ced Cass. Rv 228384 e conformi: Cass. Sez. 1^ 4.11.2004 n. 4607S in Ced Cass. Rv 230505;

Cass. Sez. 3^ 13.11.2007 n. 348 in Ced Cass. Rv 238779; Cass. pen., sez. 4^, 11.12.2008, n. 4169 in Ced Cass. 242836; Cass. Sez. 6^ 2.12.2009 n. 11472 in Ced Cass. Rv 246254. Dalla lettura degli atti e delle imputazioni mosse agli imputati, appare evidente che il procedimento a carico del M.A. non può essere considerato "diverso" rispetto a quello (a carico degli altri coimputati dei medesimi reati) nel quale quelle intercettazioni sono state disposte, rilevandosi, nel caso di specie, che fra i procedimenti ricorre una mera alterità formale da riconnettersi solo alla diversità del loro numero di ruolo.

Pertanto la doglianza sub specie è manifestamente infondata nel merito, oltre che generica, posto che la difesa non ha posto doverosamente in evidenza da dove sia desumibile una alterità sostanziale del procedimento penale a carico di M.A., rispetto a quello promosso nei confronti della C.R. e altri imputati, essendo identici i reati ascritti a tutti gli imputati, riguardanti i medesimi fatti.

La difesa, infine (p. 2.e) lamenta la violazione dell’art. 238 c.p.p., comma 2 bis, in relazione all’utilizzo delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche senza che fosse stato espresso il consenso della difesa. Anche questa doglianza è manifestamente infondata. La ritenuta utilizzabilità delle "intercettazioni" telefoniche ai sensi dell’art. 270 c.p.p., comma 1, autorizza la utilizzazione dei verbali e delle registrazioni di esse ai sensi dell’art. 270 c.p.p., comma 2. Tale ultima disposizione prevede che venga effettuato il "deposito" dei verbali e delle intercettazioni presso l’autorità competente per il diverso procedimento.

Tralasciando la considerazione, per altro assorbente che nel caso in esame tutti gli atti attinenti alle operazioni di intercettazione risultano essere depositate presso la medesima autorità che le ha disposte, attesa l’unica competenza del Tribunale di Nola, con conseguente possibilità della difesa di consultare liberamente tutti gli atti depositati nel fascicolo dibattimentale, va comunque aggiunto che "In tema di intercettazioni disposte in altro procedimento, l’omesso deposito degli atti relativi, ivi compresi i nastri di registrazione, presso l’autorità competente per il diverso procedimento, non ne determina l’inutilizzabilità, in quanto detta sanzione non è prevista dall’art. 270 c.p.p. e non rientra nel novero di quelle di cui all’art. 271 c.p.p. aventi carattere tassativo; detto principio conserva la sua validità anche a seguito della sentenza della corte costituzionale n. 336 del 2008 che – dichiarando l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 29 Cost., comma 2, art. 111 Cost., dall’art. 268 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate – amplia i diritti della difesa, incidendo sulle forme e sulle modalità di deposito delle bobine, ma senza incidere sul regime delle sanzioni processuali in materia di inutilizzabilità delle intercettazioni di cui all’art. 271 c.p.p.".

Cass. pen., sez. 5^, 133.2009, n. 14783 in Ced Cass. Rv 243609; nello stesso senso: Cass. Sez. 6^ 18.2.2008 in Ced Cass. Rv 240972; Cass. Sez. 6^ 23.4.2004 in Ced Cass. Rv 229973).

Pertanto il riferimento formulato dalla difesa del M.A. alla disciplina dell’art. 238 bis c.p.p., appare fuori luogo, essendo diverse le norme da applicarsi e il motivo dedotto è da considerarsi inammissibile.

La manifesta infondatezza della doglianza rende altresì priva di pregio la censura mossa in ordine al difetto di motivazione sul punto da parte della Corte territoriale trovando qui applicazione il consolidato principio (condiviso da questo collegio) per il quale "Non incorre nel vizio del difetto di motivazione la sentenza di appello che non spieghi le ragioni del rigetto di un motivo afferente ad una pretesa violazione di norme processuali, violazione invero insussistente". Cass. pen., sez. 2^, 2.7.2009, n. 30686 in Ced Cass. Rv 244731 e nello stesso senso Cass. Sez. 3^ 30.6.1999 n. 10504 in Ced Cass. Rv 214442. p. 3.) Con il terzo il ricorrente, sempre in riferimento alla posizione del M.A. denuncia la inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti all’estero, perchè da un lato assunti al di fuori di una valida rogatoria disposta dal Pubblico Ministero e dall’altro, perchè assunti con la compressione del diritto di difesa.

La difesa ripropone la identica questione che già era stata sottoposa al giudice dell’appello il quale richiamando il contenuto della decisione Cass. 6^ 8.6.1998 n. 6753 v. Ced Cass. Rv 211007 l’ha respinta. La difesa denuncia la erroneità della decisione sostenendo che in essa non è rispettato il principio della conformità dell’atto compiuto nel paese estero, al modello legale del paese in cui detti atti vanno utilizzati. Sostiene infine che gli atti assunti di iniziativa dalla polizia giudiziaria tedesca sarebbero stati compiuti senza la osservanza degli avvisi previsti dall’art. 114 disp. att. c.p.p. e art. 356 c.p.p.. La doglianza è inammissibile per plurimi aspetti:

1) La difesa non indica in modo specifico e puntuale quale sia l’atto compiuto all’estero, utilizzato ai fini della presente decisione, potendosi genericamente intuire che debba trattarsi dell’atto di sequestro compiuto dalla Polizia Tedesca.

2) La difesa non indica se le censure riguardino in particolare l’atto di sequestro del corpo del reato o l’antecedente eventuale atto di perquisizione, in ordine al quale nulla essendo detto;

3) La difesa non indica in modo specifico se tali atti siano stati compiuti in modo conforme o difforme da quello previsto dal codice di rito penale tedesco;

p. 4) La difesa non indica in nessun modo se in concreto ricorressero le condizioni previste dall’art. 114 disp. att. c.p.p. e art. 356 c.p.p., che presuppongono la presenza della persona sottoposta ad indagine;

5) La difesa non indica se le regole seguite dalla polizia tedesca si pongano in contrasto con la propria legge o con i principi di ordine pubblico giuridico italiano e il diritto di difesa da parte del M.A. o se questi abbia visto illegittimamente preclusi analoghi diritti previsti nella stessa legislazione tedesca.

La mancata indicazione di quanto riportato nei punti 1-5 rende il motivo inammissibile,perchè generico e non conforme a quanto prescritto dall’art. 581 c.p.p., lett. c).

A ciò deve aggiungersi che la doglianza è manifestamente infondata avendo la giurisprudenza di legittimità, ancora recentemente affermato che L’utilizzazione degli atti non ripetibili compiuti in territorio estero dalla polizia straniera e acquisiti nel fascicolo per il dibattimento non è condizionata all’accertamento, da parte del giudice italiano, della regolarità degli atti compiuti dall’autorità straniera, vigendo una presunzione di legittimità dell’attività svolta e spettando al giudice straniero la verifica della correttezza della procedura e l’eventuale risoluzione di ogni questione relativa alle irregolarità riscontrate. (Fattispecie di verbale della polizia tedesca di assunzione di informazioni in assenza dell’avviso della facoltà di astenersi dal deporre per reati riguardanti un prossimo congiunto), v. Cass. Sez. 2^ 18.5.2010 n. 24776 in Ced. Cass. RV 247750 che conferma negli stessi termini Cass. Sez. 4^ 19.2.2004 n. 18660 in Ced Cass. Rv 228354.

Il motivo proposto è quindi inammissibile. p. 4) Con il quarto motivo la difesa denuncia di nullità la sentenza impugnata per violazione ed erronea applicazione della L. n. 388 del 1993, artt. 54 e 55, L. n. 696 del 1984, art. 12, art. 696 c.p.p. in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) deducendo l’erroneità della decisione della Corte d’Appello, che ha affermato la mancanza dei presupposti per far valere il principio del "ne bis in idem internazionale" poichè la decisione della autorità giudiziaria tedesca (sentenza del Tribunale di Stoccarda del 15.7.1997), con riguardo dell’imputato M.A., fa riferimento a reati diversi da quelli oggetto del presente procedimento penale. La censura sollevata dalla difesa è inammissibile perchè generica sotto due diversi aspetti: in primo luogo non indica le ragioni specifiche per le quali sarebbe erronea la valutazione operata dalla Corte territoriale la quale ha affermato la diversità degli oggetti del procedimento. Sotto questo punto la censura, per la sua formulazione non sarebbe ascrivibile all’ambito di ipotesi di violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) come dedotto dalla difesa, ma alla diversa ipotesi di "travisamento" di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Va infine aggiunto che la difesa, oltre a non avere fornito indicazione alcuna, ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), sulle concrete ragioni di fatto e di diritto poste a base del motivo di ricorso e a giustificazione della denunciata erroneità della valutazione, neppure fornisce indicazioni specifiche e puntuali in ordine alla ricorrenza del presupposto stabilito dall’art. 54 dell’Accordo di Schengen del 14.6.1985 e reso esecutivo in Italia con L. n. 388 del 1993: infatti il ricorrente nulla dice se l’ A., in quanto condannato in Germania per i pretesi medesimi (e non dimostrati) reati per i quali è giudizio in Italia, abbia scontato la relativa pena o se essa sia in corso di esecuzione. Pertanto il motivo è inammissibile. p. 5) Con il quinto motivo la difesa censura di nullità la sentenza per violazione ed erronea applicazione degli artt. 416 e 648 c.p. ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).

Sul punto la difesa dopo avere affermato che il reato di associazione per delinquere si fonda su tre elementi caratterizzanti: vincolo permanente e stabile; indeterminatezza del programma criminoso;

struttura organizzativa, lamenta che tutti i suddetti elementi strutturali sono assenti e in particolare che "…come ben emerge dalla inutilizzabili intercettazioni del M., lo stesso occasionalmente ed indipendentemente si è rivolto per le carte di identità, alternativamente ed indipendentemente dalle richieste rivolte, prima a B., poi al V. ed, infine al F., dimostrando per tabulas la inesistenza della consorteria criminosa e l’inesistenza di un comune programma criminoso, risolvendosi le condotte in un ambito dell’art. 110 c.p.".

La Corte territoriale valutando il materiale probatorio acquisito nel corso delle indagini e segnatamente le intercettazioni telefoniche e le dichiarazioni testimoniali del funzionario della polizia tedesca I., sostiene, in occasione della disamina della posizione del M.A.: "….è un personaggio attorno cui ruota una serie di soggetti che contribuiscono a raggiungere gli obbiettivi di una consorteria le cui finalità risultano con evidenza connesse al traffico di documenti di identità, fatture …,la reiterazione dei rapporti criminosi, con vari soggetti, familiari e non, lascia intendere la non occasionalità della condotta e quindi la stabilità del vincolo con loro contratto, destinato ad una molteplicità di condotte criminose, come si evince dalle parole del teste I. che ha riferito dei collegamenti del M. cui la egli doveva fornire documenti falsi".

La Corte territoriale, in consonanza con quanto affermato anche dal giudice di primo grado ha pertanto riscontrato tanto la esistenza di una stabile organizzazione strutturata quanto il programma criminoso.

E’ quindi errata la censura in ordine alla applicazione dell’art. 416 c.p., di cui la Corte mostra avere tenuto conto degli aspetti costitutivi; nella sostanza, detta censura si traduce in una rivalutazione del merito della decisione (non sindacabile nella presente sede), formulata tra l’altro in modo generico, perchè se da un lato non specifica in termini precisi quale sia l’errore di diritto in cui è incorso il giudice del merito (unico riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b)), dall’altro neppure pone in evidenza vizi specifici della motivazione dimostrativi della illegittimità della motivazione.

La difesa censura altresì, sotto il profilo della violazione di legge (anche con riferimento all’imputato D.), il mancato riconoscimento della attenuante di cui all’art. 648 c.p., comma 2. La censura è manifestamente infondata. Nella specie non viene denunciata una specifica erronea applicazione della norma penale sostanziale, ma al più un vizio della motivazione, peraltro insussistente. La Corte territoriale con motivazione sintetica, ma adeguata ha negato il riconoscimento della attenuante di cui all’art. 648 c.p., comma 2, facendo riferimento alla gravità del fatto desunta dallo scopo delle ricettazioni attesa la destinazione delle carte e degli altri documenti falsi all’utilizzo da parte di una associazione per delinquere. Sul punto la difesa ha affermato che la attenuante in parola doveva essere riconosciuta perchè trattasi di fatto non grave.

La doglianza è generica e formula una considerazione di puro fatto che non può essere presa in considerazione nella presente sede posto che il giudice del merito ha fornito una precisa indicazione (non manifestamente illogica) delle ragioni per le quali ha ritenuto non lieve la condotta di ricettazione addebitata agli imputati.

Pertanto anche questo motivo deve essere dichiarato inammissibile. p. 6) con il sesto ed ultimo motivo la difesa denuncia la nullità della sentenza per clamorosa e manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione, nonchè per evidente mancanza di motivazione, il tutto come risulta ampiamente dallo stesso testo impugnato, massimamente ove lo si raffronti ai motivi di gravame.

Nella specie trattasi di censura assolutamente generica posto che non vengono posti in evidenza in modo puntuale i denunciati vizi di motivazione.

Pertanto la doglianza è inammissibile.

Per tutte le suddette considerazioni il ricorso va quindi rigettato e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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