Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-12-2010) 18-01-2011, n. 1076 Misure cautelari; Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con ordinanza 20.05.2010 il Tribunale di Milano rigettava la richiesta di riesame proposta da C.G. avverso l’ordinanza in data 4.05.2010 con cui il GIP del Tribunale di Varese gli aveva imposto la misura cautelare della custodia in carcere quale indagato del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 perchè, al fine di cessione a terzi di sostanza stupefacente, in concorso con persone in corso di identificazione, importava dalla Confederazione Elvetica oltre un kg di marijuana, occultandola a bordo della sua auto;

deteneva lo stupefacente presso la sua abitazione; ne cedeva grammi 530 a C.M..

Avverso l’ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’indagato denunciando:

mancanza, contraddittorietà o illogicità della motivazione sulla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari. Il tribunale, per confortare la tesi della non occasionalità della condotta, aveva apoditticamente escluso che egli lavorasse in Svizzera circostanza ritenuta pacifica nell’ordinanza impostava della misura;

inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, d’inutilizzabilità, d’inammissibilità e di decadenza per avere qualificato, senza alcuna motivazione, come bilancino di precisione la bilancia che egli aveva indicato come strumento del suo lavoro di falegname.

Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza.

Il ricorso, che non contesta la gravità indiziaria, non è puntuale perchè la decisione impugnata non è affetta da alcuna violazione di legge.

Premesso che "in materia di provvedimenti restrittivi della libertà personale le doglianze espresse in un ricorso per cassazione e attinenti al difetto sia dei gravi indizi di colpevolezza sia dette esigenze cautelari possono assumere rilievo solo se si traducono in un motivo di annullamento che può essere ravvisato unicamente nella violazione dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. e), il quale, per essere rilevatole in sede di legittimità, deve rientrare nelle previsioni di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Ne consegue che esula dalle funzioni della Corte di Cassazione la valutazione sulla concreta sussistenza tanto degli indizi quanto delle esigenze cautelari, che rientrando fra i compiti esclusivi dei giudici dal merito, dapprima del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, e poi. eventualmente, del giudica del riesame.

Non sono, quindi, proponibili censure che richiamano circostanze di fatto implicitamente esaminate dal Tribunale e che tendono sostanzialmente a una diversa valutartene dei dati fattuali su cui è fondato il convincimento espresso in sede di merito" cfr. Cassazione Sezione 1^, n.707/1992, D’Avino, RV. 189227, va osservato che, nel caso di specie, il Tribunale ha osservato i sopraindicati principi, avendo, con congrua motivazione comprensiva di tutte le argomentazioni contenute nel provvedimento impositivo, riconosciuto sussistere entrambe le esigenze cautelari ravvisate nell’ordinanza impositiva della misura art. 274 c.p.p., lett. a)e c).

La prima perchè erano "in corso indagini volte all’individuazione di altri soggetti (in particolare R.I.) coinvolti nei traffici illeciti, sicchè andava evitato ogni contatto tra gli indagati che consentisse loro di fornire versioni di comodo.

La mancata impugnazione di tale punto della decisione rende già intangibile la decisione che è tale anche sulla contestata esigenza di socialprevenzione avendo, in merito, l’indagato mosso censure di carattere meramente fattuali, improponibili in sede di legittimità nei confronti di un provvedimenti che si sottrae al sindacato di legittimità per la congruità e coerenza delle valutazioni compiute.

Per l’inammissibilità del ricorso, dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, grava sul ricorrente l’onere del pagamento delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma che va equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

La Corte dispone, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’Istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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