Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 22-12-2010) 19-01-2011, n. 1439 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1.-. C.R. ha proposto ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza di cui in epigrafe, con la quale il Tribunale di Milano, adito ex art. 309 c.p.p., ha confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari a lui applicata in data 19-7-10 dal GIP di Milano per i reati di cui agli artt. 81, 317, 110, 319 e 321 c.p..

Il ricorrente deduce;

– Violazione dell’art. 268 c.p.p. e art. 309 c.p.p., comma 5, per non essere stata la sua difesa posta nelle condizioni di poter ascoltare, nonchè di estrarre copia delle registrazioni delle conversazioni intercettate. Conseguente inutilizzabilità delle intercettazioni poste a fondamento della misura cautelare.

– Violazione dell’art. 273 c.p.p. e artt. 318 e 319 c.p. e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in riferimento ai delitti contestati. In particolare, il Tribunale non avrebbe tenuto conto delle possibili interpretazioni alternative dei fatti prospettate dalla difesa, non avrebbe dato rilevo ad alcune intercettazioni telefoniche di segno contrario rispetto all’ipotesi accusatoria, non avrebbe considerato che dichiarazioni del S. erano smentite da elementi esterni e che il medesimo S. era intrinsecamente non credibile;

– Inutilizzabilità delle dichiarazioni del S., erroneamente esaminato come persona informata sui fatti anzichè come indagato di reato connesso o collegato oppure come coindagato nel medesimo reato.

– Violazione degli artt. 291 e 292 c.p.p. per la mancata trasmissione al GIP da parte del P.M. delle deduzioni difensive poste alla sua attenzione.

– Violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.

2.-. Alla odierna udienza camerale il difensore del C. ha depositato una memoria ed alcuni atti, con i quali ha insistito per l’accoglimento del ricorso, precisando che l’indagato, benchè medio tempore (in data 15-10-2010) rimesso in libertà, continuava ad avere interesse alla impugnazione in vista della futura attivazione della procedura ex art. 314 c.p.p..

3 .-. Secondo un oramai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in materia cautelare l’interesse alla impugnazione persiste in capo all’indagato, pur se rimesso in libertà, in relazione all’accertamento della sussistenza delle condizioni di applicabilità delle misure previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p., in quanto tale accertamento può costituire presupposto per il riconoscimento del diritto ad un’equa riparazione per la custodia cautelare ingiustamente subita (Sez. Un. n. 20 del 12-10-1993, Durante). Corollario di tale principio è che l’interesse alla impugnazione di un provvedimento coercitivo dopo la cessazione della misura cautelare non permane quando l’impugnazione è diretta ad ottenere una decisione sulla sussistenza delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 c.p.p. o sulla scelta tra le diverse misure possibili ai sensi dell’art. 275 c.p.p., in quanto si tratta di cause di illegittimità inidonee a fondare il diritto di cui all’art. 314 c.p.p., stante la tassatività della formulazione di tale disposizione, che si riferisce esclusivamente alle condizioni di applicabilità delle misure di cui agli artt. 273 e 280 c.p.p. (sez. 6, 26-5-2004, n. 37894, Torriglia; sez. 5, 9-12-1993, n. 4091, Lazzarini).

In applicazione di questi principi in riferimento all’ultimo motivo di ricorso (in cui si fa questione unicamente di esigenze cautelari) deve concludersi per la insussistenza di un attuale interesse ad impugnare in capo all’indagato. In considerazione delle precisazioni del difensore nella memoria e negli atti prodotti alla odierna udienza camerale, permane, invece, l’interesse del ricorrente in relazione all’accertamento della sussistenza delle condizioni di applicabilità delle misure previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p..

4 .-. Tanto premesso, il ricorso è inammissibile per genericità e per manifesta infondatezza.

Il Tribunale di Milano, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, ha espressamente preso in esame tutte le doglianze oggi riproposte, osservando:

– che nel caso di specie il P.M. non aveva impedito al difensore di esercitare il suo di ritto di accesso alle registrazioni delle conversazioni intercettate, poste alla base della misura cautelare, in quanto il difensore ben avrebbe potuto esercitare tale suo diritto, recandosi negli uffici del P.M. ed accedendo alle registrazioni, cosa che non risultava essere stata fatta;

– che la mancata trasmissione da parte del P.M. delle deduzioni difensive poste alla sua attenzione dalla difesa del C. non aveva rilievo alcuno, trattandosi di atti ben conosciuti dall’indagato;

– che i gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato emergevano con chiarezza dalle dichiarazioni rese da S.A. e dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali contenute nella informativa della Squadra Mobile di Milano in data 10-9-08;

– che il S. si era rivolto al C. non per libera scelta, ma per la grave situazione economica in cui versava, sicchè il C. stesso si trovava nei suoi confronti in evidente posizione sovraordinata per il ruolo istituzionale che ricopriva; con la conseguenza che correttamente il S. stesso era stato sentito come persona informata sui fatti e non come indagato di corruzione.

Si tratta di argomentazioni, che costituiscono corretta applicazione delle regole del diritto e della logica. In particolare:

– Dalla documentazione depositata dal difensore risultano unicamente una serie di richieste di accesso agli atti contenenti le registrazioni ed alle relative bobine, richieste rimaste senza risposta da parte del P.M. Non risulta, però, come rilevato dal Tribunale, alcun formale diniego nè è stato dimostrato in alcun modo che la difesa si sia effettivamente recata negli uffici del P.M. e abbia chiesto di accedere alle registrazioni, ricevendo risposta negativa. In questa situazione è ben possibile che le bobine e gli atti relativi alle registrazioni siano stati posti effettivamente a disposizione della difesa negli uffici del P.M. e che l’accesso ad essi sarebbe stato consentito, se realmente richiesto recandosi in detti uffici.

– Questa Corte ha già precisato che la sanzione di perdita di efficacia della misura cautelare prevista dall’art. 309 c.p.p., comma 5, si applica esclusivamente nei casi in cui il P.M. abbia omesso di trasmettere al tribunale del riesame atti favorevoli all’indagato da lui non conosciuti nè conoscibili (Sez. 2, Sentenza n. 9952 del 04/03/2005, Rv. 231127, Caruso; Sez. 2, Sentenza n. 25985 del 03/05/2007, Rv. 237157, Cacciola).

– La posizione del S. risulta, allo stato, adeguatamente esaminata dal Tribunale, che ne ha convenientemente spiegato la qualità di persona informata sui fatti.

5 .-. Quanto al quadro indiziario a carico dell’indagato, il Tribunale ha spiegato che esso si sostanziava nelle dichiarazioni rese da S.A. e nelle intercettazioni telefoniche ed ambientali contenute nella informativa della Squadra Mobile di Milano in data 10-9-08.

A fronte di queste coerenti, anche se stringate, conclusioni, il ricorrente si è sostanzialmente limitato ad offrire una lettura alternativa delle risultanze delle indagini, dilungandosi in considerazioni in punto di fatto e in diverse ricostruzioni del contenuto delle conversazioni intercettate e degli altri riscontri, che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, neppure in virtù delle recenti modifiche all’art. 606 c.p.p., lett. E), apportate dalla L. n. 46 del 2006. Infatti neanche la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, oltre che dal testo del provvedimento impugnato anche "da altri atti del processo", può nel caso di specie "salvare" le censure proposte dal ricorrente. Il sindacato di questa Corte resta pur sempre di legittimità, con la conseguenza che non può esserle demandato un riesame critico delle risultanze istruttorie. Il riferimento agli altri atti del processo può essere utilizzato unicamente per contestare la correttezza dell’iter logico- argomentativo utilizzato dal giudice di merito, non già per confutare in punto di fatto la valutazione dal medesimo offerta del materiale istruttorio allegato a fondamento della ipotesi accusatoria. Vale a dire che la omessa motivazione può essere dedotta là dove il giudice di merito abbia ingiustificatamente negato l’ingresso nella giustificazione della sua decisione ad un elemento di prova di segno contrario pacificamente risultante dagli atti processuali e dotato di efficacia "scardinante" dell’impianto motivazionale, non già quando ne abbia dato, coerentemente ed esaustivamente, una valutazione difforme rispetto alla prospettazione del ricorrente. Allo stesso modo la illogicità manifesta e la contraddittorietà sussistono quando "gli altri atti del processo", specificamente indicati nel gravame, inficino in modo radicale dal punto di vista logico l’intero apparato motivazionale, e non quando siano stati coerentemente ed adeguatamente valutati nel provvedimento di merito in modo diverso rispetto alla tesi propugnata in ricorso.

Nel caso di specie, la adeguatezza, nel senso sopra specificato, della motivazione dell’ordinanza del Tribunale del Riesame non è stata minimamente censurata dal ricorrente, che si è invece limitato esclusivamente ad apportare le sue critiche alla valutazione data dal Giudice di merito al materiale indiziario sottoposto al suo esame, proponendone una diversa lettura.

In definitiva, il tessuto motivazionale dell’ordinanza censurata non presenta affatto quella carenza, contraddittorietà o macroscopica illogicità del ragionamento del giudice di merito che, alla stregua dei principi affermati da questa Corte, può indurre a ritenere sussistente il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. E) (anche nella sua nuova formulazione), vizio nel quale si risolvono le censure. Come si è visto, le argomentazioni del Tribunale sono logiche ed adeguate e, a fronte di esse, il ricorrente si è limitato sostanzialmente a dedurre, in modo per altro apodittico, tesi di segno contrario e ad insistere in ricostruzioni alternative dei fatti. Ma non può costituire vizio deducibile in sede di legittimità la mera prospettazione di una diversa (e, per il ricorrente, più adeguata) valutazione delle risultanze processuali.

Non rientra, infatti, nei poteri di questa Corte quello di compiere una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, essendo il sindacato in questa sede circoscritto alla verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione.

6 .-. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro mille, non ravvisandosi ragioni per escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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