Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-12-2010) 19-01-2011, n. 1334

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 9 giugno 2010, la Corte Militare d’Appello ha confermato la sentenza del 26 novembre 2009, con la quale il Tribunale Militare di Verona ha dichiarato S.M.C. V. colpevole del reato di ingiuria ad inferiore (art. 196 c.p.m.t.p., comma 2 e art. 199 c.p.m.t.p.) e l’ha condannata alla pena di mesi 4 di reclusione militare, con entrambi i benefici di legge.

2. I fatti di cui al presente processo si sono verificati alle (OMISSIS), allorchè l’imputata, all’epoca dei fatti Tenente di vascello della Marina militare, in forza presso la direzione del Genio militare della (OMISSIS), trovandosi in servizio di affiancamento all’ufficiale d’ispezione all’interno del corpo di guardia, sito nei pressi del varco denominato " porta principale ", aveva chiesto al Capo di prima classe I.M. l’interpretazione di alcune sigle riportate nell’elenco telefonico dipartimentale e, ricevutane risposta di non conoscere il significato di tali sigle, avevo offeso il prestigio, l’onore e la dignità dell’ I., pronunciando nei suoi confronti più volte a voce alta la frase "mafioso ignorante"; inoltre aveva pronunciato nei suoi confronti più volte ed a voce alta la frase "18 anni di servizio e non sai queste cose; che cazzo hai fatto finora".

Il Tribunale aveva ritenuto accertata la penale responsabilità dell’imputata in ordine al reato ascrittole sulla base delle concordi deposizioni rese dalla parte offesa e dal S.T.V. SC., nonchè dai testi G. e R. i quali, pur non avendo assistito direttamente ai fatti, avevano in ogni caso dato conto dell’animata discussione intercorsa fra l’imputata e l’ I..

3. Avverso detta sentenza della Corte militare d’appello ha proposto ricorso per cassazione S.M.C.V. per il tramite del suo difensore, che ha dedotto quattro motivi di ricorso.

Col primo motivo lamenta violazione di legge e motivazione carente, per avere la sentenza impugnata acriticamente aderito alle conclusioni del giudice di primo grado, senza tener conto che le deposizioni rese dai testi a suo carico erano state incerte e contraddittorie, in quanto lo stesso Tribunale aveva riconosciuto che vi erano delle discrasie in ordine alla sussistenza della materialità del reato ascrittole.

Infatti la parte offesa I. aveva detto in fase di indagini che non vi erano altre persone all’infuori di lui e di essa ricorrente; poi in dibattimento aveva dichiarato che era presente un’altra persona all’interno del corpo di guardia; inoltre il teste SC. aveva prima detto di trovarsi all’interno del corpo di guardia poi, in dibattimento, aveva dichiarato di trovarsi sul limitare del corpo di guardia; inoltre la parte offesa aveva dichiarato che lo SC. si fosse addirittura trovato in un altro posto cioè nel locale occupato dalle guardie giurate.

I testi G. e R. non avevano infine in alcun modo riscontrato le dichiarazioni contraddittorie rese dai testi I. e SC..

Col secondo motivo lamenta violazione di legge, in quanto nella specie era ravvisabile una causa di esclusione della punibilità in ordine al reato ascrittole alla lett. a), atteso che, dai documenti ufficiali non era emerso alcun ordine di distacco di esso ricorrente dalla sua sede naturale di servizio (la direzione del Genio militare per la Marina) al comando servizio base navale, presso cui i fatti si erano svolti; non era stato provato che essa ricorrente fosse stata comandata a svolgere il servizio di affiancamento all’ufficiale d’ispezione alla base di (OMISSIS); si sarebbe peraltro trattato di un affiancamento anomalo in quanto essa ricorrente si sarebbe trovata in sott’ordine ad un ufficiale titolare del servizio di ispezione guardia suo inferiore di grado; inoltre il suo superiore gerarchico aveva dichiarato che nessuna richiesta era pervenuta alla direzione del genio militare affinchè essa ricorrente affiancasse il Tenente di vascello SC. nell’espletamento del servizio di ispezione alla base di (OMISSIS). Pertanto essa ricorrente era da ritenere, nella specie, come militare non in servizio, con conseguente qualificazione del fatto come reato di cui all’art. 226 c.p.m.p. e conseguente declaratoria d’improcedibilità per carenza della richiesta di procedimento, ex art. 260 c.p.m.p. Contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, essa ricorrente si era rivolta all’ I. per motivi privati e personali e non per ragioni attinenti al servizio di ispezione svolto; quindi il suo comportamento non avrebbe potuto qualificarsi come lesivo degli interessi tutelati dagli artt. 195 e 196 c.p.m.p., essendo da ritenere escluso nella specie ogni rapporto immediato e diretto con il servizio e la disciplina militare.

Col terzo motivo lamenta violazione di legge e carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato ascrittole. Essa ricorrente era certa che, al momento del fatto, non stesse prestando un servizio militare e che, comunque, la sua conversazione con l’ I. non atteneva al servizio o alla disciplina militare; pertanto nel suo comportamento non era ravvisabile la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato.

Col quarto motivo censura la sentenza del Tribunale Militare di Verona con riferimento alla formula utilizzata nell’averla mandata assolta dal reato di cui al capo b) della rubrica (ingiuria ad inferiore aggravata, per aver offeso l’onore ed il prestigio del sottotenente di vascello D.R.F.S., rivolgendogli in sua presenza le parole " ma che razza di ingegnere sei? Queste non sono parole degne di un ingegnere Ma come ti permetti? Ti fai pure chiamare ingegnere? Tu sei un ingegnere? Sei un incapace", nonchè le seguenti altre parole offensive "adesso chiamo mio padre e ti faccio cacciare dalla marina"; con l’aggravante del grado rivestito).

Secondo la ricorrente, poichè le prime espressioni usate non avevano contenuto offensivo e poichè non era stata raggiunta la piena prova del fatto che ella avesse detto al D.R. di essere un incapace, la formula assolutoria usata dal Tribunale "perchè il fatto non costituisce reato" era errata, essendo da ritenere più esatta la formula "perchè il fatto non sussiste".

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso proposto da S.M.C. V. è infondato.

Con esso la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per non avere essa adeguatamente valutato alcune contraddizioni in cui sarebbe incorse le deposizioni rese dai testi a suo carico, si che tali deposizioni non avrebbero potuto essere ritenute idonee a provare la sua penale responsabilità in ordine al delitto ascrittole.

Esente da censure nella presente sede di legittimità, siccome rispondente ai canoni della logica e della non contraddizione è invece la motivazione addotta dalla Corte Militare d’Appello per inquadrare il fatto contestato alla ricorrente al capo a) della rubrica come reato di ingiuria ad inferiore. La Corte Militare d’appello ha infatti rilevato la piena concordanza delle dichiarazioni rese dalla parte offesa I. e dal teste sottotenente di vascello SC., avendo in particolare affermato come quest’ultimo, dopo aver udito voci concitate provenire dal locale destinato al sottufficiale di ispezione, all’interno del quale si trovavano la ricorrente e la parte offesa, era stato invitato ad intervenire dall’ I. ed aveva avuto modo di ascoltare la ricorrente che si rivolgeva alla parte offesa definendolo mafioso ed ignorante. La sentenza impugnata ha poi specificato come le deposizioni rese dai testi G. e R., lungi dal far luogo ad un deciso ridimensionamento dei fatti, li avevano al contrario confermati, avendo essi concordemente riferito di un’accesa ed agitata discussione intercorsa fra la ricorrente e la parte offesa, tale da poter essere percepita anche all’interno dei locali contigui, dove i due testi si trovavano; inoltre il R. aveva riferito di aver parlato nell’immediatezza dei fatti con la parte offesa, la quale gli aveva appunto riferito che la ricorrente gli aveva dato del mafioso.

La sentenza impugnata ha infine correttamente rilevato come le asserite discrasie, rilevate dalla ricorrente tra le versioni fornite dai testimoni e dalla parte offesa riguardavano dettagli irrilevanti e privi di incidenza sulla sostanza della vicenda, tali anzi da costituire indiretta conferma della genuinità delle dichiarazioni rese dai testi medesimi.

2. E’ altresì infondato il secondo motivo di ricorso.

Con esso la ricorrente esclude che il fatto contestatole sia stato da lei commesso nell’ambito e nell’espletamento di un servizio militare, si che l’ingiuria a lei addebitata non avrebbe potuto essere qualificata ai sensi dell’art. 196 c.p.m.p., non potendo essa ritenersi come reato contro il servizio e la disciplina militare.

E’ noto che la giurisprudenza di legittimità ritiene che la punibilità del reato di ingiuria ad un inferiore, di cui all’art. 196 c.p.m.p., intanto può essere esclusa ai sensi dell’art. 199 c.p.m.p. in quanto sia rivolta da un militare appartenente alle forze armate al di fuori dell’attività di servizio attivo e non sia obiettivamente correlata all’area degli interessi connessi alla tutela della disciplina militare (cfr. Cass. 1A, 5.5.08 n. 19425, rv.240286). La motivazione addotta sul punto dalla sentenza impugnata per ritenere la sussistenza nella specie il reato di cui all’art. 196 c.p.m.p., comma 2 è pienamente condivisibile, avendo essa fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità sopra richiamata.

Ha infatti da un lato rilevato, con accertamento incensurabile nella presente sede siccome riferita al merito, che, nella specie, la ricorrente stesse effettivamente svolgendo un servizio militare attivo, essendo la medesima in quel momento impegnata in attività di affiancamento all’ufficiale di ispezione presso la base navale di (OMISSIS); dall’altro ha rilevato che la persona offesa, al momento del fatto, era certamente un militare in servizio di istituto, in quanto il medesimo stava svolgendo le mansioni di sottufficiale di ispezione della base militare di (OMISSIS); e del resto la stessa ricorrente aveva dichiarato di essere consapevole che l’ I. stesse appunto svolgendo il servizio di istituto innanzi indicato.

Era pertanto da escludere che la ricorrente si fosse rivolta nei confronti dell’ I. nei termini riferiti nel capo d’imputazione per motivi privati o personali; era al contrario da ritenere che la richiesta rivolta dalla ricorrente alla parte offesa fosse strettamente professionale ed attinente al servizio, trattandosi di richiesta che la ricorrente aveva diritto di formulare nella sua veste specifica di ufficiale di ispezione affiancata e, comunque, come superiore del sottufficiale, proprio al fine di controllare l’idoneità del medesimo a svolgere le funzioni di sottufficiale di ispezione.

Quindi, nella specie, correttamente è stato ipotizzato a carico della ricorrente il reato contestatole, atteso che sia la medesima stava svolgendo un servizio militare attivo, sia la parte offesa era, al momento del fatto, un militare in servizio di istituto; il che appare peraltro conforme alla giurisprudenza costituzionale (cfr., in tal senso, la sentenza della Corte Costituzionale del 17.1.91 n. 22, che pur ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 199 c.p.m.p. limitatamente alle parole "o in luoghi militari").

3. E’ infondato anche il terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per avere essa ritenuto presente, nel suo comportamento, l’elemento psicologico proprio del reato ascrittole. La sentenza impugnata ha invero adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato contestato al ricorrente ed ha correttamente rilevato che, per aversi il reato di ingiuria ad inferiore, fosse sufficiente il dolo generico, inteso come consapevolezza di pronunciare parole ed espressioni normalmente ritenute dalla generalità dei consociati come offensive ed adoperate in base al significato che esse vengano oggettivamente ad assumere, senza alcun diretto riferimento alle concrete intenzioni perseguite dall’agente (Cass. SA, 11.5.99 n. 7597, rv. 213631).

4. E’ inammissibile, siccome manifestamente infondato, il quarto motivo di ricorso.

Con esso la ricorrente censura la formula assolutoria usata dal Tribunale Militare di Verona con riferimento al reato a lei ascritto al capo b) della rubrica, avendo ritenuto errata la formula "perchè il fatto non costituisce reato", usata dal Tribunale, in quanto avrebbe dovuto essere utilizzata la formula assolutoria "perchè il fatto non sussiste".

Il motivo di ricorso in esame è tuttavia manifestamente infondato, dovendosi ritenere pienamente adeguata ai fatti di causa la formula assolutoria usata dal giudice di primo grado, con riferimento al reato di cui al capo b) della rubrica, atteso che la contestazione si riferiva a più frasi ingiuriose da lei pronunciate e che soltanto in relazione alle prime di esse la Corte Militare d’Appello ha ritenuto dubbia la loro effettiva sussistenza, mentre, per le successive, la medesima Corte ha ritenuto che esse erano state effettivamente pronunciate, solo avendo nutrito fondati dubbi in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato ascrittole, in considerazione dell’atteggiamento ilare tenuto dalla S., quando aveva pronunciato ad alta voce tali parole entrando nell’ufficio della parte offesa, non essendo certo che la ricorrente fosse consapevole del carattere offensivo delle parole da lei dette.

5. Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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