T.A.R. Sicilia Catania Sez. I, Sent., 14-01-2011, n. 56 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I. Ricorso principale.

In data 17/10/2003, il ricorrente ha presentato all’Ufficio tecnico comunale di Pachino un’istanza di concessione edilizia, prot. al n. 34270/2003 e catalogata a P.E. n. 217/2003, riguardante la costruzione di un nuovo fabbricato per civile abitazione.

In data 28/2/2005, nota n. 6421, il dirigente del V Settore ha sospeso l’iter della pratica edilizia con la seguente motivazione: "la C.EC. esaminata la pratica ed il titolo di proprietà, richiede che sia richiesto parere legale circa la legittimità della utilizzazione dell’aria, per cui si RINVIA".

In data 31/3/2005, con nota prot. n. 10183, l’Ufficio legale ha reso il proprio parere, esprimendo l’avviso che "non emergono circostanze di fatto o di diritto che ostino al rilascio di una concessione edificatoria, a condizione ovviamente che il progetto sia conforme alle destinazione di PRG e che siano fatti salvi i diritti i terzi".

Indi, in data 27/04/2005, con nota n. 13568, il dirigente del V settore del Comune di Pachino, preso atto del parere legale e del parere favorevole reso dalla Commissione edilizia comunale nella seduta del 19/4/2005 ("a condizione che copia del verbale venisse trasmesso all’Agenzia del Demanio per opportuna conoscenza"), ha notificato al ricorrente "che è proprio intendimento procedere al rilascio della concessione edilizia richiesta, previo versamento dei contributi previsti dalla legge 28/1/77, n. 10, sempreché siano prodotti gli atti dimostranti la piena proprietà dell’immobile"; e più oltre "La presente comunicazione costituisce provvedimento finale ai fini dell’art. 2 comma 4 della L.R. n. 17/94".

In data 16/6/2005 il responsabile del procedimento ha determinato gli oneri di concessione dovuti in Euro 3.701,61.

In data 29 maggio 2005, il ricorrente, acquisito il provvedimento n. 13568, ha sottoscritto con il sig. Emilio Bonnano un contratto preliminare, mediante il quale le parti si impegnavano a stipulare entro sei mesi (29 novembre 2005) il rogito notarile di compravendita del terreno oggetto del permesso di costruire, con obbligo a carico del ricorrente di trasferire anche la titolarità della concessione edilizia e di consegnare il progetto approvato dal Comune, al fine di consentire al promittente acquirente l’inizio sollecito dei lavori.

Il 4/7/2005 l’Ufficio tecnico, con nota n. 21251, preso atto che il controinteressato aveva depositato in data 6/6/2005 l’ordinanza cautelare del Giudice unico presso il Trib. di Avola dep. l’11/11/2004 – che gli attribuiva il diritto di passaggio sul terreno del ricorrente per accedere al proprio immobile, ritenuto prima facie intercluso – ha disposto una prima sospensione dell’iter della pratica, subordinando la definizione "al giudizio espresso dall’autorità giudiziaria competente, atto a chiarire i diritti del sig. Casto nei confronti del ricorrente".

In data 20 luglio 2005, in riscontro alla nota n. 21251 del 4/7/2005, il ricorrente ha spontaneamente depositato una nota con la quale osservava che l’ordinanza cautelare del Tribunale di Avola poteva essere attuata senza alcuna alterazione della concessione edilizia acquisita, allegando una perizia tecnica dell’ing. Lorefice che dimostrava come nel progetto dell’edificio approvato dall’Ufficio tecnico si era già tenuto conto di un eventuale riconoscimento giudiziale di un diritto di passaggio sul terreno a favore del controinteressato.

In data 20/9/05, con nota n. 28960, il dirigente del V settore ha notificato al ricorrente la sospensione dell’iter della pratica, asseritamente senza motivare le ragioni per le quali non potevano essere accolte le osservazioni da questi avanzate con la nota del 20 luglio 2005.

Il provvedimento in questione, così veniva motivato: "Vista la richiesta del 6/6/2005 prot. n. 18204 del sig. C.P. con la quale chiede la sospensione della concessione in virtù dell’allegata ordinanza del 10/11/2004 del Giudice Unico dott. Paolo Monteneri (Tribunale di Siracusa, sez. staccata di Avola)… Visto che la Commissione edilizia comunale, esaminata la pratica suddetta in data 2/8/2005, con verbale n. 14 ha espresso per la stessa il seguente parere: La C.E.C vista l’ordinanza del 10/11/2004 del Giudice Unico dott. Paolo Monteneri – Tribunale di Siracusa, sez. staccata di Avola – e la nota n. 23538 del 25/7/2005 dal Sig. P., sospende il parere favorevole del 19/4/2005 e rinvia la trattazione della pratica a giudizio espresso dall’autorità competente, atto a chiarire i diritti del Casto nei confronti del P." –

Con il ricorso in epigrafe, parte ricorrente ha impugnato detti ultimi atti, affidandosi ai seguenti motivi di gravame:

1) Violazione del procedimento delineato dell’art. 2 della L.R. n.17/1994.

Già nei primi giorni del mese di luglio del 2004 si sarebbe formato il silenzioassenso sull’istanza di concessione edilizia, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 5 dell’art. 2 della l.r. n. 17/94, essendo decorso il termine di 120 giorni decorrente dalla data della prima integrazione dei documenti depositati in data 2/3/2004 dal ricorrente.

Le successive e reiterate e tardive richieste di produzione documenti non sarebbero idonee a svolgere alcun effetto interruttivo sul termine perentorio per la formazione del silenzioassenso.

Il procedimento, comunque, sarebbe stato definito in data 27/4/2005 mediante l’emanazione della nota n. 13568, avente tutte le caratteristiche del provvedimento concessorio, ai sensi del 4 comma del cit. art. 2, con la quale sarebbe stato espresso l’intendimento di rilasciare la concessione sia pure con la condizione ("sempreché siano prodotti gli atti dimostranti la piena proprietà dell’immobile"), avveratasi per effetto del deposito documentale da parte del ricorrente.

A riprova della inequivocabilità dell’intendimento, vi sarebbe l’inconfutabile circostanza secondo la quale, in data 16/6/2005, sarebbero stati persino quantificati gli oneri di concessione dovuti.

Sicché, a fronte della formazione del provvedimento, sarebbe illegittima la sospensione della concessione impugnata, in quanto emanata in spregio alla ratio acceleratoria prevista dall’art. 2 della L.R. n. 17/1994, e poiché non prevista dalla L.R. n. 17/1994, né dal D.P.R. n. 380/2001, al di fuori dei casi eccezionali di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 12, e adottata al di fuori dello schema delineato dal comma 8 dell’art. 2 per il silenzioassenso, che prevede l’adozione di due sole misure: o il completamento dell’esame delle domande tacitamente assentite entro 30 gg. dalla comunicazione dell’inizio dei lavori, oppure l’annullamento o revoca della concessione assentita per legge.

2) Violazione dell’art. 1 della L. n. 241/1990.

I provvedimenti impugnati violerebbero anche i principi generali che governano l’attività amministrativa, quali in particolare il principio di tipicità e nominatività degli atti amministrativi (posto che non sussisterebbe la previsione della sospensione della concessione già adottata, ma, semmai, l’annullamento o la revoca) ovvero quello che impone all’Amministrazione l’obbligo di non aggravare ingiustificatamente il procedimento (posto che la concessione edilizia, in sé, non comporterebbe la limitazione dei diritti dei terzi, azionabili al di fuori del modello amministrativo in sede di successivo contenzioso civile).

3) Violazione degli artt. 3, 7, 8, 10, 10 bis della L. n. 241/1990.

I provvedimenti di sospensione sarebbero illegittimi, in quanto non preceduti dalla prescritta comunicazione di avvio del procedimento.

In sede di adozione del provvedimento, non sarebbe stata adeguatamente confutata la nota n. 23538 del 25/7/2005 del ricorrente, dalla quale sarebbe emerso che anche l’ordinanza cautelare emanata dal Giudice unico del Tribunale di Avola avrebbe potuto essere attuata senza alcuna compromissione della concessione edilizia adottata, giacché nel progetto approvato dall’Ufficio tecnico si era tenuto conto di un’eventuale imposizione coattiva giudiziale a favore del controinteressato, di una servitù di passaggio sul terreno, prevedendo un ingresso carrabile dalla via pubblica (denominato impropriamente "sottopassaggio") largo m. 3 ed alto m. 2,70, attraverso il quale si sarebbe potuto accedere sia al cortile interno dell’edificio del ricorrente destinato a parcheggio, sia anche alle rimesse auto ubicate nell’edificio del controinteressato.

La mancanza di una congrua motivazione renderebbe radicalmente illegittimi i provvedimenti impugnati.

4. Il diritto al risarcimento del danno arrecato al ricorrente.

I provvedimenti impugnati ostacolerebbero non solo l’esercizio dello jus aedificandi, ma arrecherebbero al ricorrente ulteriori gravi ed irreparabili danni derivanti dall’impossibilità di rispettare gli impegni derivanti da un contratto preliminare sottoscritto il 29 maggio 2005, con il quale i contraenti hanno promesso di stipulare entro il 29 novembre 2005 il rogito notarile di compravendita del terreno oggetto del permesso di costruire, con obbligo a carico del ricorrente di trasferire anche la titolarità della concessione edilizia e di consegnare il progetto approvato dal Comune, al fine di consentire al promittente acquirente l’inizio sollecito dei lavori.

Pertanto, il Comune di Pachino sarebbe responsabile civilmente, ex art. 28 Cost., a risarcire il danno arrecato al ricorrente, ai sensi dell’art. 1223 c.c., determinato per la perdita subita in Euro 20.000,00 derivante dalla restituzione della clausola penale prevista nel contratto preliminare del 29/5/2005, oltre alle spese di registrazione, e per il mancato guadagno in e 5.000,00 derivante dalla mancata vendita del terreno e della concessione.

I.a. Costituitosi, il Comune ha concluso per l’infondatezza del gravame.

Costituitosi, il controinteressato ha rappresentato, in resistenza, la sussistenza di un contenzioso civile tra le parti, proponendo, al contempo, ricorso incidentale, per l’annullamento della nota del 27/4/2005 prot. 13568.

Asserisce il controinteressato che il progetto presentato dal ricorrente sarebbe assolutamente illegittimo perché in contrasto con le norme del PRG e, pertanto, non avrebbe potuto essere approvato per i seguenti motivi.

a) FALSA RAPPRESENTAZIONE DEI LUOGHI

Il progetto presentato dal ricorrente, di cui il controinteressato avrebbe avuto rilasciata copia in data 24/10/2005, a nord della proprietà indicherebbe la presenza di una "stradella", già nel possesso ed ora in proprietà di esso controinteressato, per averla acquistata con scrittura, che in realtà non esisterebbe da tempo assai remoto.

Il detto errore non sarebbe fine a se stesso, ma ben finalizzato a consentire la realizzazione di un edificio in un luogo in cui certamente non sarebbe possibile edificare.

b) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 36 PUNTO 1 E 3 DEL PRG.

L’erronea rappresentazione della stradella sarebbe finalizzata alla allocazione dell’edificando edificio lungo il confine della stessa, senza arretrare la costruzione rispetto a detto confine di m. 5.

In particolare, ai sensi dell’art. 36 del PRG vigente nel comune di Pachino, il confine della proprietà del controinteressato non sarebbe quello indicato in progetto e posto a nord della presunta stradella, bensì quello posto a sud della stessa e, pertanto, la costruzione avrebbe dovuto essere prevista con un arretramento di m. 5 da detto confine e non avrebbe potuto essere ivi allocata.

Né avrebbe potuto essere invocata la presenza di alcuna recinzione, in quanto mai esistita per la semplice ragione che tutto il fondo di proprietà del controinteressato, e quello oggi di proprietà del ricorrente, si sarebbe sempre trovato nel possesso del primo, per cui sarebbe evidente che sotto ogni profilo il progetto sarebbe assolutamente contrario alle norme del PRG.

c) ISTANZA DI SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO EX ART. 295 C.P.C.

Il controinteressato ha, inoltre, richiesto la sospensione del giudizio in attesa della definizione di quelli incardinati dinanzi il Tribunale Civile di Avola.

I.b. Con Ordinanza n. 445/05 del 28.11.2005, questa stessa Sezione ha disposto verificazione, impersonalmente rivolta al Dirigente dell’Ufficio del Comune di Siracusa avente competenza in materia di edilizia privata, volta ad "acquisire la reale contezza dello stato dei luoghi e degli altri aspetti tecnici sollevati dalle parti".

La verificazione veniva depositata il 6.2.2006.

Con Ordinanza n. 318/06 del 16.2.2006, la Sezione accoglieva la domanda cautelare, prescrivendo che "l’amministrazione resistente (dovesse concludere) il procedimento in essere, utilizzando gli elementi tecnici accertati dal verificatore nel presente giudizio (con particolare riguardo alle prescrizioni contenute al punto "b" delle conclusioni, pagg. 8 e 9 della relazione depositata il 6.2.2006)".

II. MOTIVI AGGIUNTI DEPOSITATI L’11.5.2006.

Il Comune di Pachino, indi, riesaminata la pratica, rilasciava la concessione edilizia n. 47/2006.

Il controinteressato, in seno al medesimo procedimento, presentava ricorso per motivi aggiunti, affidandosi alle seguenti censure:

VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 30 DELLE NORME TECNICHE DI ATTUAZIONE DEL PRG E DELL’ART. 36 DEL REGOLAMENTO EDILIZIO. ECCESSO DI POTERE PER CARENZA DI ISTRUTTORIA E SVIAMENTO. VIOLAZIONE DELL’ART. 481 C.P.

Con il ricorso in esame, asserisce il contro interessatoricorrente per motivi aggiunti che il verificatore avrebbe concluso per la compatibilità del progetto con il R.E. e le N.T.A. del vigente PRG.

Tale assunto tuttavia sarebbe assolutamente contrario a quanto stabilito dalle disposizioni contenute nel vigente PRG e, segnatamente, all’art. 36.

Inoltre, la disposta verificazione avrebbe evidenziato che: 1) il lotto del ricorrente principale sarebbe intercluso; 2) non esisterebbe al confine tra le due proprietà alcuna stradella; 3) non esisterebbe a confine tra le due proprietà alcun muro di confine. Ed allora poiché non vi sarebbe alcun muro di confine tra le proprietà delle due parti, né alcuna stradella, sicuramente a decorrere dal 1994, fatto accertato in modo inconfutabile, ne conseguirebbe che la costruzione non avrebbe potuto essere realizzata a confine, ma avrebbe dovuto essere arretrata di cinque metri dallo stesso.

Tale soluzione sarebbe stata anche evidenziata nell’apposito parere reso dal dirigente l’UTC del Comune di Pachino, laddove lo stesso riconosce che nel caso in cui ora il ricorrente principale avrebbe voluto lasciare un varco laterale, per effetto dell’art. 36 del R.E., e avrebbe dovuto spostarsi dal confine ben 5 metri.

La circostanza riferita dal Dirigente dell’UTC di Pachino, in ordine alla assenza di qualsiasi varco nel progetto che consenta al controinteressato di raggiungere il suo fondo, avrebbe reso il progetto non approvabile.

Invece, il ricorrente principale, nel presentare il progetto, avrebbe evidenziato la presenza di

una stradella a confine delle due proprietà, falsando in tal modo la rappresentazione dello stato dei luoghi e inducendo l’Ente al rilascio della concessione impugnata con il ricorso per motivi aggiunti in esame.

Ciò comporterebbe, da un canto, per il progettista ed il committente, la violazione dell’art. 481 del codice penale per avere falsamente rappresentato lo stato dei luoghi e, per l’amministrazione, concretizzerebbe una forma di eccesso di potere per carenza di istruttoria.

I fatti esposti sarebbero sufficienti a richiedere la revoca della rilasciata concessione edilizia.

Inoltre, il Comune, nell’esaminare il progetto, avrebbe dovuto tenere conto che nella zona B3, rilevante nel caso in esame, era stata assegnata una linea di confine per la realizzazione delle costruzioni che in buona sostanza sarebbe corrispondente a quella in cui sono attestate le costruzioni del controinteressato, oltre che di due proprietà viciniore.

Asserisce quest’ultimo, che una modifica dell’assegno di linea avrebbe dovuto essere preventivamente deliberata, atteso che sarebbe stata stravolta la pianificazione edificatoria della zona con un evidente mutamento nel posizionamento degli immobili rispetto alle linee guida stabilite dal Comune.

VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 4 DELLA LEGGE 47/1985 – ECCESSO DI POTERE PER CARENZA DI ISTRUTTORIA.

La norma sopra calendata, che richiama l’art. 4 della legge 10/1977 riproposto dal DPR 380/2001, indica quali sono i soggetti legittimati alla richiesta della concessione edilizia.

Presupposto unico della legittimazione sarebbe non solo la titolarità di un diritto reale ovvero obbligatorio sul bene, ma anche la disponibilità dello stesso.

Quest’ultima apparterrebbe soltanto al controinteressato ricorrente per motivi aggiunti e non al ricorrente principale, per cui, anche per detto motivo, il Comune avrebbe errato a emanare il provvedimento impugnato.

III. MOTIVI AGGIUNTI DEPOSITATI IL 27.7.2007.

Con provvedimento prot. 013334 del 2/5/2007 veniva revocata la predetta concessione edilizia n. 46/07, per non avere il ricorrente principale iniziato i lavori nei termini ivi previsti.

Con successivo provvedimento del 4/6/2007, prot. 017023, detta revoca veniva annullata.

Con ulteriore ricorso per motivi aggiunti, il controinteressato nel ricorso principale ha impugnato anche detto provvedimento.

VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 15 DEL DPR 06/06/2001 N. 380 – DELL’ART. 10 COMMI 3, 4 E 5 DELLA LEGGE 28/1/1977 N. 10 E DELL’ART. 31 COMMA 11 DELLA LEGGE 17/8/1942 N. 1150 – ECCESSO DI POTERE.

L’art. 15 della DPR 380/2001, riproduttivo della pregressa disciplina in materia urbanistica, così come interpretato dalla consolidata giurisprudenza amministrativa, avrebbe ripetutamente affermato il principio secondo il quale la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori opererebbe di diritto e come tale avrebbe carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se con l’inutile decorso del termine e costituirebbe un atto dovuto con effetti ex tunc.

Dopo l’inutile scadenza di tale termine, il titolo abilitativo sarebbe tamquam non esset, onde i lavori iniziati o ultimati dopo la relativa scadenza resterebbero privi di titolo abilitativo, indipendentemente da una dichiarazione amministrativa di decadenza e sarebbero pertanto soggetti alla sanzione penale prevista dall’art. 20 della legge 47/85 oggi art. 44 del DPR 380/2001.

In punto di fatto, asserisce la controinteressataricorrente per motivi aggiunti che la ricorrente principale, nonostante fosse a conoscenza della impossibilità di iniziare i lavori per la mancanza del possesso del terreno, quale effetto dell’ordinanza di reintegra nel possesso del Giudice di Avola, avrebbe informato il Comune di Pachino dell’inizio dei lavori che sarebbero avvenuti il giorno 12/3/2007, il giorno prima del decorso dell’anno.

Il Comune, però, aveva revocato la concessione edilizia. Infatti, solo dopo la comunicazione dell’avvenuta revoca con il provvedimento del 2/5/2007 il ricorrente principale avrebbe rappresentato l’impossibilità di esecuzione delle opere per i noti motivi e, quindi, tardivamente, sarebbe intervenuto l’annullamento della revoca della concessione edilizia, oggetto dell’impugnativa del ricorso per motivi aggiunti in esame.

VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 97 DELLA COSTITUZIONE – ECCESSO DI POTERE PER SVIAMENTO DELLA CAUSA TIPICA – CARENZA DI MOTIVAZIONE – ILLOGICITA" MANIFESTA.

Quanto sopra rappresentato determinerebbe, altresì, il vizio di eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica, posto che nessuna sospensione avrebbe potuto essere disposta dall’Ente in assenza di una norma di legge specifica e, tanto meno, a oltre tre mesi dalla scadenza dei termini previsti per l’inizio dei lavori.

Invero, il Comune resistente, invece di sanzionare l’illegittimo comportamento del concessionario, il quale avrebbe dichiarato un inizio dei lavori (per il giorno 12/3/2007) non realizzato, come pacificamente accertato dall’Ente il giorno 23/4/2007, con evidente illogicità, avrebbe ritirato il provvedimento di revoca della concessione.

In ogni caso, qualora fosse applicabile, in via analogica, la norma dell’art. 15 del DPR 380/2001 che consente la proroga, la stessa avrebbe dovuto essere richiesta prima della scadenza del termine e non certamente successivamente alla sua scadenza.

IV. Con istanza depositata l’8.4.2009, il ricorrente per motivi aggiunti chiedeva la fissazione della discussione della domanda cautelare di sospensione della concessione edilizia, di fatto ritornata efficace. Quest’ultima veniva accolta da questa stessa Sezione con Ordinanza n. 697/2009 del 24.4.2009, fino al 10.9.2009, al fine di consentire un pronunciamento sulla scorta dell’imminente decisione sul giudizio civile instaurato tra le parti.

Non essendo questa intervenuta, con Ordinanza n. 400/2009 dell’11.9.2009, questa Sezione prorogava al 3.12.2009 la sospensione dell’efficacia della detta concessione edilizia.

Frattanto, in atti veniva versata la circostanza secondo la quale il verificatore nominato da questo stesso Tribunale con Ordinanza n. 445/05 era stato sottoposto a procedimento penale per fatti attinenti alla verificazione da questi resa nel presente processo. Inoltre, il giudizio civile non trovava alcun esito.

Sicché, con Ordinanza n. 569/09 del 14.12.2009, questa stessa Sezione riteneva, sulla scorta delle dette premesse, di dover disporre un nuovo autonomo accertamento peritale, disponendo consulenza tecnica, volta alla definizione dei seguenti quesiti: "accerti il CTU tutte le circostanze già oggetto della verificazione disposta da questo Tribunale con la predetta Ordinanza n. 445/05; accerti il CTU se la nota prot. n. 14456 del 5 ottobre 1993, a firma del verificatore, nella sua qualità, all’epoca, di Ingegnere Capo del Comune di Pachino, sia riferita all’oggetto del contenzioso in esame, avuto riguardo, ovviamente, non solamente alle parti, ma alla vicenda nel suo oggettivo dispiegarsi; accerti il CTU la fondatezza di tutte le doglianze di ordine tecnico espresse nel ricorso per motivi aggiunti proposti dall’originario controinteressato, tenendo conto anche delle osservazioni, ex adverso, versate in giudizio dal ricorrente principale".

Con Ordinanza n. 337/2010 del 28.5.2010, il Tribunale, in considerazione dei rilievi avverso alla predetta consulenza tecnica, frattanto depositata, contenuti nella memoria della parte controinteressata depositata in data 28.4.2010, disponeva che il medesimo consulente tecnico d’ufficio nominato da questo Tribunale fornisse "i chiarimenti sollecitati con la predetta memoria, con particolare riferimento alla valutazione contenuta in perizia e relazionata asseritamente alla variante procedimentalizzata e non alla concessione edilizia oggetto della contestazione",… in considerazione, altresì, della "ricostruzione dei fatti, delle eventuali diverse rappresentazioni degli stessi trasfusi nella consulenza tecnica d’ufficio disposta dalla Procura della Repubblica di Siracusa nel procedimento penale n. 6259/06 – P.M. Dott. Giancarlo Longo – a carico del precedente verificatore e depositata in giudizio in data 20.4.2010 dal difensore del Sig. Casto".

Indi, rinviava, per la delibazione nel merito, fissando l’udienza pubblica del 16.12.2010, dove, verificato il deposito della consulenza integrativa, la causa veniva trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

I. Ricorso principale.

Ricorso incidentale.

Ricorso per motivi aggiunti depositato dal controinteressato l’11.5.2006.

La vicenda sottoposta all’esame del Collegio, invero complessa in punto di fatto anche per l’intreccio di vari ricorsi, la cui ammissibilità, è bene sin da subito sottolineare, è da ritenersi possibile, si appunta, con il ricorso principale, sulla sospensione di una concessione edilizia asseritamente formatasi in maniera tacita o per effetto di un atto di "preannuncio" da parte del Comune intimato.

Questione connessa è quella proposta con il ricorso per motivi aggiunti depositato dal controinteressato l’11.5.2006, con il quale questi si è doluto della concessione edilizia n. 47/06 rilasciata al ricorrente, a fronte del riesame della pratica, occasionato dall’Ordinanza n. 318/06 del 16.2.2006, resa da questa stessa Sezione, con la quale, accogliendo la domanda cautelare, si è prescritto che "l’amministrazione resistente (dovesse concludere) il procedimento in essere, utilizzando gli elementi tecnici accertati dal verificatore nel presente giudizio (con particolare riguardo alle prescrizioni contenute al punto "b" delle conclusioni, pagg. 8 e 9 della relazione depositata il 6.2.2006)".

II. Prima di esaminare il merito del gravame, preliminarmente, come premesso, il Collegio ritiene necessario valutare se sia possibile introdurre, così come è avvenuto, ricorso per motivi aggiunti da parte del controinteressato.

La questione, invero non prevista prima dell’introduzione del codice del processo amministrativo, il cui art. 43 ha formalizzato la detta possibilità in capo al ricorrente incidentale, era stata scrutinata positivamente da questa stessa Sezione (cfr. TAR Catania, I, 13.8.2008, n. 1509).

Con la detta decisione, si era già precisato che, in questi casi, così come in quello che occupa il Collegio, "le domande introdotte dalla ricorrente e dalla controinteressata sono certamente connesse, sia sotto il profilo oggettivo, sia sotto quello soggettivo, sia pure a parti inverse.

Con ciò si vuol dire che se, più correttamente, la controinteressata avesse introdotto un ricorso autonomo, lo stesso Collegio, per una valutazione complessiva della questione, avrebbe certamente disposto la riunione dei ricorsi per connessione.

Sicché, a questo punto, ciò che occorre verificare é se il ricorso introdotto, sia pure in maniera irrituale, abbia i requisiti formali per essere considerato autonomo e, quindi, se sia rispettoso delle norme di procedura e, allo stesso tempo, abbia rispettato l’integrità del contraddittorio ed il diritto di difesa.

Tradotto in termini concreti, ciò significa che il ricorso, per essere ammissibile, deve essere stato notificato alle parti sostanziali, e non già ai procuratori che le rappresentano nel giudizio ordinario, e, successivamente, depositato nei termini stabiliti dalla L. 1034/1971.

In altre parole, ritiene il Collegio che il ricorso per motivi aggiunti presentato dalla controinteressata possa essere dichiarato ammissibile, ove sussistano elementi di connessione tali con il ricorso principale che avrebbero comunque richiesto la riunione dei gravami e ove, comunque (di tal guisa che il ricorso può essere ritenuto come autonomo), vi sia stato il rispetto formale dei modi e dei termini previsti dall’art. 21 della l. 1034/1971 e del corretto contraddittorio, mediante la notifica alle parti sostanziali e non già alle stesse presso il loro procuratore costituito nel giudizio principale".

Venendo al caso in esame, essendo stati ambedue ricorsi per motivi aggiunti notificati anche presso il domicilio individuale delle parti già costituite, sono stati rispettati tutti gli adempimenti formali per ritenere sussistente la corretta instaurazione del giudizio, tranne l’aspetto fiscale, che, in quanto tale, non preclude la celebrazione del processo, ma impone la necessaria integrazione, della quale dovrà farsi carico la Segreteria del Tribunale.

Conclusivamente, separati i giudizi per motivi aggiunti proposti dalla controinteressata, avendo rispettato il rito, vanno comunque trattati congiuntamente per connessione con il ricorso principale.

II.a. Ritiene, preliminarmente il Collegio di non doversi occupare diffusamente di quanto dedotto in sede di ricorso principale da parte del ricorrente P., in ordine alla intervenuta formazione o meno di un provvedimento concessorio (per silentium o in maniera espressa) e della stessa atipicità della sospensione di un provvedimento intervenuto, dovendosi valorizzare l’assunto tempestivo contenuto nel ricorso incidentale, secondo il quale ove mai il provvedimento fosse da ritenersi già intervenuto, lo stesso avrebbe dovuto essere annullato (recte: non avrebbe dovuto essere rilasciato) per violazione delle norme contenute negli strumenti di pianificazione urbanistica.

A ben vedere, tutta la questione in esame, come meglio sarà chiarito, ruota sostanzialmente intorno alla detta problematica.

Tuttavia, è bene precisare che, diversamente da quanto dedotto con il primo motivo di ricorso, così come questa stessa Sezione ha già avuto modo di chiarire (cfr., ex multis, T.A.R. Catania, I, 23.11.2004, n. 3386; 21.11.2006, n. 2322), sussistendo i presupposti di legge (art.2 L.r. 17/1994), il decorso di 120 giorni dalla presentazione della domanda di concessione edilizia attribuisce al richiedente una posizione equiparabile all’ottenimento della concessione stessa, con la differenza però che il procedimento non può dirsi concluso fin quando l’interessato non abbia comunicato di aver dato inizio ai lavori, aprendo così una seconda fase che si conclude o con un intervento esplicito della P.A., sollecitata a riesaminare la pratica per effetto della manifestata intenzione di iniziare l’opera, o con il decorso dell’ulteriore termine di 30 giorni; in quest’ultima ipotesi il silenzio assenso può ritenersi consolidato, nel senso che il comune non ha più il fisiologico governo della pratica edilizia, e pertanto non può più decidere sulla stessa con atto "di primo grado" (cfr., altresì, T.A.R. Sicilia, Palermo, I, 11.2.2003 n. 148 e, sostanzialmente in termini C.G.A. 8.3.2005, n. 111, che, però, ritiene che l’Amministrazione possa "revocare" il titolo tacitamente formatosi anche solo al mero fine di ripristinare la legalità violata e senza applicazione degli ordinari principi in materia di autoannullamento d’ufficio, riferendo la verifica di legittimità del titolo abilitativo edilizio alla data della sua formazione).

Poiché dagli atti della causa non risulta che, in questa fase, parte ricorrente abbia comunicato di aver dato inizio ai lavori, e non essendo perciò decorso l’ulteriore termine di trenta giorni da tale comunicazione, termine allo spirare del quale si intende consumato il potere di intervento del comune con atto di primo grado, ne deriva l’infondatezza della censura.

II.b. Né, oltre a quanto detto, per sostenere che la concessione sia stata formalizzata, serve relazionarsi al provvedimento n. 13568 del 27/4/2005, con il quale sarebbe stato espresso l’intendimento di rilasciare la concessione sia pure con la condizione ("sempreché siano prodotti gli atti dimostranti la piena proprietà dell’immobile"), avveratasi per effetto del deposito documentale da parte del ricorrente.

Invero, è proprio anche la condizione apposta circa la piena disponibilità dell’area che influenza i giudizi in esame.

II.c. Maggior peso specifico occorrerebbe affidare, invece, alla successiva censura, secondo la quale sarebbe stato adottato un provvedimento, la sospensione della concessione o comunque dell’iter formativo, al di fuori della procedura prevista per la formazione del titolo edilizio.

L’assunto, però, come richiamato in premessa, viene paralizzato da quanto dedotto in sede di ricorso incidentale, ove, in effetti, viene sostenuto che il provvedimento, ove formatosi, non sarebbe legittimo per violazione degli atti di pianificazione generale.

La dedotta circostanza, ove ritenuta sussistente, é assorbente rispetto agli asseriti vizi rappresentati in ricorso, ivi compresa la questione afferente la dedotta non influenza della incidenza dei rapporti privati in seno al provvedimento amministrativo concessorio del titolo edilizio, subito dopo presentata all’esame del Collegio in seno al ricorso principale.

Ed invero, ove mai dovesse giungersi alla conclusione della difformità del titolo edilizio alle norme regolatrici generali del territorio, nessuna rilevanza può assumere la recessiva questione della non interferenza dei rapporti privati, come quelli agitati dal controinteressato, in sede di rilascio di concessione edilizia.

III. Appare, quindi, opportuno analizzare il punto essenziale del ricorso incidentale.

E’ bene ripercorrere l’iter motivazionale ivi trasfuso e sostanzialmente riprodotto nel ricorso per motivi aggiunti dell’11.5.2006).

Come chiarito in punto di fatto, il controinteressato ha dedotto che il progetto allegato alla domanda di concessione edilizia presentato dal ricorrente principale indicherebbe la presenza di una "stradella", già nel possesso ed ora in proprietà di esso controinteressato, per averla acquistata con scrittura, ma che, in realtà, ed è questo il punto rilevante della questione, non esisterebbe da tempo assai remoto.

Il detto errore, precisa il ricorrente incidentale, non sarebbe fine a se stesso, ma ben finalizzato a consentire la realizzazione di un edificio in un luogo in cui certamente non sarebbe possibile edificare.

Ed invero, l’erronea rappresentazione della stradella sarebbe diretta a giustificare la allocazione dell’edificando edificio lungo il confine della stessa, senza l’arretramento della costruzione pari a m. 5 rispetto a detto confine.

In particolare, il confine della proprietà del controinteressato non sarebbe quello indicato in progetto e posto a nord della presunta stradella, bensì quello posto a sud della stessa e, pertanto, ai sensi dell’art. 36 del PRG vigente nel comune di Pachino, la costruzione avrebbe dovuto essere prevista con un arretramento di m. 5 da detto confine e non avrebbe potuto essere ivi allocata.

Né avrebbe potuto essere invocata la presenza di alcuna recinzione, in quanto mai esistita per la semplice ragione che tutto il fondo di proprietà del controinteressato, e quello oggi di proprietà del ricorrente, si sarebbe sempre trovato nel possesso del primo, per cui sarebbe evidente che sotto ogni profilo il progetto sarebbe assolutamente contrario alle norme del PRG.

La questione è stata oggetto, dapprima, di una verificazione e, dopo, di apposita consulenza tecnica d’ufficio, che la Sezione ha ritenuto di dover disporre, stante la sussistenza di un procedimento penale a carico del verificatore nominato proprio in riferimento a detta attività di consulenza.

Per quanto di interesse, rispetto alla questione in esame, con Ordinanza n. 569/09, il nominato CTU, è stato chiamato ad accertare tutte le circostanze già oggetto della verificazione disposta da questo Tribunale con la precedente Ordinanza n. 445/05, con la quale si era richiesto di verificare:

"a) la esistenza della stradella di confine tra le due proprietà del ricorrente e del controinteressato e la sua effettiva incidenza tra i fabbricati ai fini del rispetto delle distanze;

b) la possibilità che lo stato dei luoghi e la eventuale futura loro conformazione al progetto edilizio del ricorrente, siano entrambe compatibili con la eventuale costituzione di una servitù di passaggio a favore del controinteressato, anche in relazione alle modalità progettuali del realizzando edificio;

c) l’avvenuto rispetto o meno delle norme sulle distanze di cui al Regolamento edilizio ed alle NTA del PRG per come rappresentato nel ricorso incidentale e nella memoria del ricorrente depositata il 18/11/2005;

d) ogni altro aspetto tecnico o relativo alla situazione e rappresentazione dei luoghi contenuto nel ricorso incidentale e nelle memorie delle parti".

Ciò posto, come correttamente premette il CTU (cfr. pag 13 della relazione) "l’aspetto rilevante di tutta la vicenda è la esistenza o meno di una "stradella".

A seguito di disamina della documentazione in atti si concorda con quanto aveva riportato il verificatore ing. Calafiore, il quale aveva a sua volta recepito quanto riportato nella relazione del Tecnico dell’Ufficio Erariale geom. Veneziano, che così si esprimeva: I due lotti di proprietà Casto e Aruta (oggi proprietà Cavarra), in mappa catastale, confinano con una stradella di lottizzazione ancora intestata alla ditta Moncada Corrado; tuttavia la porzione antistante il lotto Aruta risulta in atto delimitata dal lato sud da un muretto in conci, non consentendo il passaggio al signor Casto per accedere alla sua proprietà. Dall’esame dei grafici allegati al progetto Casto, relativo alla prima concessione edilizia, si rileva la rappresentazione della stradella (rappresentata con una larghezza di m 3), come se fosse esistente".

Sicché, continua il CTU (pag. 14), "i funzionari dell’UTC rilasciarono la concessione edilizia al Casto in virtù della raffigurazione della stradella nel progetto stesso mentre, qualora non fosse stata rappresentata in progetto, il progetto non avrebbe potuto essere assentito in quanto il lotto era privo di accesso".

In riferimento alla concessione edilizia che qui assume rilievo, quella a favore del ricorrente e non del controinteressato, il CTU a pagg. 14 e 15, chiarisce che "la costruzione in progetto del P…. sul lato ovest confina con la famosa "stradella" divenuta proprietà di Casto in data 06/10/2004 (ALL. F), ed indicata anche nel progetto P. come "stradella", ad eccezione del fatto che nel progetto P. la stradella risulta essere di 4 metri (come calcolo per differenza delle indicazioni riportate nello stesso progetto metri: 10 – 6 = 4).

L’immobile in progetto del P. non prevede aperture al confine sia lato nord che lato sud; mentre prevede la realizzazione di una finestra per piano sul lato confinante con la "stradella" oggi di proprietà Casto. Si precisa che nel progetto di variante, non ancora approvato, le tre finestre sono state eliminate ed il balcone è stato arretrato rispetto al progetto originario, fino a raggiungere la distanza di metri 1,50 dal confine (ALL. G) ".

Precisa, inoltre, il CTU che "per quanto relazionato nel precedente paragrafo si può affermare che la stradella non risulta essere mai esistita e che avrebbe dovuto avere incidenza al momento del rilascio della CE n. 56/93 al sig. Casto. Infatti, come detto, la rappresentazione grafica della stradella è stata determinante ai fini del rilascio della CE n. 56/93, che, in carenza del citato accesso, avrebbe dovuto essere negata. Allo stato attuale la inesistenza della stradella non ha alcuna incidenza rispetto al fabbricato in progetto del P., che dista dieci metri dal fabbricato esistente del Casto; mentre per la parte costruita al confine si rimanda alle risposte successive".

L’inesistenza della stradella in questione viene confermata anche dalla CTU (cfr. pag. 4, ultimo rigo) disposta nel procedimento penale n. 6259/06 disposta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa.

Ciò posto, ritiene il Collegio, che si debba valutare la legittimità dell’operato amministrativo a prescindere dalla sussistenza o meno della stradella, concentrando l’attenzione sulle prescrizioni di pianificazione territoriale e sullo effettivo stato delle progettazioni.

Il Regolamento edilizio, all’art. 36, stabilisce quanto segue:

"Art. 36 Distanze e Altezze

1) distanze minime tra fabbricati.

In tutte le zone è prescritta la distanza minima tra pareti finestrate o parti di pareti finestrate, pari all’altezza del fabbricato più alto con un minimo assoluto di metri 10; questa norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata. La suddetta prescrizione si applica solo nel caso di prospicenza diretta tra pareti; per pareti (o parti di pareti) non finestrate non si applica. Inoltre per i suddetti interventi edilizi è prescritta una distanza dai confini del lotto pari alla metà dell’altezza dei fabbricati prospicienti i confini stessi con un minimo di metri 5.

Tale minimo può essere ridotto a metri 0,00 se trattasi di pareti non finestrate o se è intercorso un accordo con i proprietari confinanti o se preesiste una parete in confine.

Qualora esistano, nelle proprietà limitrofe, edifici costruiti anteriormente alla data del PRG, la cui altezza non consente il rispetto delle distanze previste dal presente paragrafo, le nuove costruzioni potranno soddisfare solo le distanze dei confini pari alla metà della propria altezza e con un minimo assoluto di metri 5.

2) distanze minime tra fabbricati fra i quali siano interposte strade.

Le distanze minime tra fabbricati fra i quali siano interposte zone destinate alla viabilità, con l’esclusione delle viabilità a fondo cieco a servizio di singolo edificio o insediamenti e fatte salve le maggiori prescrizioni disposte negli articoli successivi, debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiore di:

o metri 5 per lato per strade di larghezza inferiore a metri 7;

o metri 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra metri 7 e metri 15;

o metri 10,00 per lato per strade di larghezza superiore a metri 15.

Qualora le distanze computate tra i fabbricati, come sopra indicato, risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, tale distanze sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa.

Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei paragrafi 1) e 2) di questo articolo, nel caso di intervento urbanistico preventivo con previsione plani volumetrica.

3) distanze minime dei fabbricati dai confini di proprietà.

In tutte le nuove costruzioni la distanza minima dal confine di proprietà sarà di metri 5, ad esclusione delle costruzioni industriali che osserveranno una distanza minima di metri 10. Sono ammesse distanze inferiori nel caso di intervento urbanistico preventivo con previsione plani volumetrica.

E’ ammessa la costruzione in aderenza del confine di proprietà se preesiste parete o porzione di parete in aderenza senza finestre o in base a presentazione di progetto unitario per fabbricati da realizzare in aderenza.

Le distanze dai confini si misurano: dal limite esterno dei balconi e delle scale a giorno con aggetto superiore a m 1; dal muro dell’edificio per gli edifici esistenti di altezza inferiore a metri 12,50".

La costruzione in questione rispetta, secondo la ricostruzione del CTU e l’esame della cartografia allegata al ricorso, la distanza dei 10 metri tra pareti finestrate prevista dal comma 1 del detto art. 36.

La detta circostanza appare confermata anche dalla CTU disposta dalla Procura della Repubblica.

Dove le interpretazioni tra le due CCTTUU, sostanzialmente coincidenti nel dato tecnico, sembrano non coincidere è in ordine alla distanza dai confini.

Il comma 3 dell’art. 36 stabilisce che per le nuove costruzioni è previsto un distacco dal confine di proprietà di almeno cinque metri.

Ora, mentre la CTU disposta da questo Tribunale evidenzia che la distanza di progetto è di sei metri, quella disposta dalla Procura precisa, però, che la distanza effettiva è di 4,90 metri, posto che la costruzione da realizzare prevede, oltre che delle finestre, anche dei balconi il cui sviluppo esterno è pari a 1,10 metri.

Considerato che l’art. 36 u.c. stabilisce che le distanze dai confini si misurano dal limite esterno di questi ultimi, appare condivisibile la conclusione della CTU della Procura, non dissimile, però, in tal senso, dalla successiva integrazione di CTU disposta da questo Tribunale.

Inoltre, per come emerge dalla medesima CTU (pag. 21) ed in coerenza con il comma 1 del citato art. 36, può osservarsi "la seguente regola circa le distanze: i fabbricati possono essere edificati sia a cinque metri dai confini sia in aderenza, purché (in questo secondo caso) la distanza con i fabbricati limitrofi sia non inferiore a metri 10, ovvero nei casi di cui al 3° Cpv del 1° comma dell’art. 36 del RE.

Per quanto attiene la stradella di confine che nel 1994 era inesistente e, quindi, la necessità di distaccarsi di cinque metri (secondo il sig. Casto), si precisa, per quanto già riferito nel periodo precedente, che tale necessità può essere superata a condizione che la parete a confine con la stradella o proprietà Casto sia priva di finestrature.

Circostanza che si è verificata con la modifica di cui al progetto di variante presentato dal sig. P., non ancora approvato".

Ne deriva che il progetto originario, prima della modifica di variante presentata solo di recente, è affetto dall’ulteriore vizio della sussistenza di aperture finestrate poste al limite inferiore ai 5 metri dal confine.

Il CTU nominato da questo Tribunale ha ritenuto, però, di dover precisare che tutte le rappresentate circostanze (finestre nella parete parallela al confine e distanza di 4.90 sempre dal confine) non avrebbero dovuto impedire il rilascio sic et simpliciter della concessione edilizia, ma l’apposizione di prescrizioni volte a consentire la costruzione.

Quindi, in somma sintesi, la questione afferente la stradella non assume alcun rilievo, posto che le distanze vanno valutate a prescindere dalla sua sussistenza (e che, in effetti, la stessa non sussiste).

Il progetto non avrebbe potuto essere approvato così come presentato, ma, secondo la valutazione del CTU nominato dal Tribunale, avrebbe dovuto subire delle prescrizioni (invero di poco conto).

In riferimento alle ulteriori precisazioni presenti nella relazione depositata presso la Procura, e relative le prescrizioni derivanti direttamente dal codice civile, è da precisare che non sono oggetto del presente giudizio e, come tali, non vengono scrutinate.

Prima di giungere alla conclusione ritenuta corretta dal Collegio, resta da verificare un’altra questione, oggetto di reciproche contestazioni, ma scarsamente indagata dalle consulenze disposte dal Tribunale, vale a dire la sussistenza di una servitù di passaggio a favore del controinteressato – ricorrente incidentale gravante su l’area di allocazione dell’edificio in questione.

Al fine di non prolungare inutilmente il processo con ulteriori richieste istruttorie, il Collegio ha appositamente richiesto chiarimenti a tal proposito ai procuratori delle parti in sede di discussione dell’udienza pubblica del 16.12.2010.

Ebbene, dalle stesse è emerso che, come precisato dal procuratore del controinteressato, il progetto di cui alla concessione edilizia in esame, in parte si sovrappone al predetto diritto reale sulla proprietà. Il legale della ricorrente ha precisato, confermando quindi la detta circostanza, che la presente decisione potrebbe stabilire la legittimità della concessione di cui si discute, condizionata all’obbligo di rispettare la prescrizione della frattanto intervenuta sentenza di primo grado del Giudice ordinario, con la quale è stato riconosciuto il diritto reale sull’area in cui si intende realizzare l’immobile di che trattasi.

Occorre precisare che la servitù coattiva, pari a circa tre metri secondo la previsione contenuta nel progetto da assentire, è stata ritenuta dalla decisione civile ultima citata (sent. n.23/2010 del 10.2.2010 del Tribunale di Siracusa – Sezione di Avola -, depositata in giudizio dalla controinteressata il 28.9.2010), non solo necessaria, ma da realizzare con una larghezza pari a cinque metri, maggiore, quindi, di quella progettuale, pari, si ribadisce, a circa 3 metri.

Per quanto di interesse, è quindi necessario stabilire se rilevi nel presente processo una questione afferente ad una concessione edilizia, condizionata, però, dalla regolamentazione di interessi privati (appunto, la servitù coattiva e la sua estensione).

Con decisione resa da questa stessa Sezione (cfr. T.A.R. Catania, I, 28.4.2009, n. 803), si è posta "la questione di stabilire se e fino a che punto il comune, nel valutare la legittimità delle dichiarazioni di inizio attività e delle istanze di autorizzazione di interventi edilizi, debba spingersi nell’apprezzamento della sussistenza dal punto di vista civilistico dei titoli di legittimazione (titolarità dei diritti reali sul bene, assenza di vincoli di natura reale, servitù, consenso dei comproprietari, ecc.) e quindi dell’assenza di lesioni dei diritti reali dei terzi".

A questo proposito, ha ritenuto questo Tribunale "di dover aderire all’orientamento giurisprudenziale (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 19 giugno 2008, n. 6027) secondo il quale "grava sull’amministrazione l’obbligo di effettuare una sia pur non approfondita istruttoria per verificare la sussistenza di tutte le condizioni che realizzano un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene oggetto dell’autorizzazione. In sostanza, essendo possibile che un determinato intervento edilizio, pur se astrattamente conforme alle norme urbanistico – edilizie, si ponga in contrasto con diritti reali di godimento o con altre facoltà di terzi, la p.a., in sede di rilascio del titolo autorizzatorio edilizio, è tenuta a verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’area in questione, attività istruttoria, questa, rivolta non già a risolvere i conflitti tra le parti private in ordine all’assetto dominicale dell’area stessa, bensì ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente, sia per la notevole incidenza della concessione edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti, sia per evitare il grave contenzioso che deriverebbe dall’incauto rilascio di quest’ultima a soggetti non idoneamente legittimati. (Consiglio Stato, sez. V, 22 giugno 2000, n. 3525).

In applicazione di questi principi, il Consiglio di Stato ha affermato, nel caso al suo esame avente ad oggetto una questione di servitù altius non tollendi, che, sebbene non incomba alla p.a. procedente l’onere di verificare se l’area oggetto d’intervento sia o no gravata da servitù – anche al fine di non aggravare oltremodo il procedimento autorizzativo -, essa non può legittimamente esimersi dal considerare l’incidenza d’una servitù esistente e debitamente comprovata in sede istruttoria e tale da rendere impossibile l’attività edificatoria richiesta" ".

Anche nel caso sottoposto al vaglio della detta decisione, quindi, si trattava di un manufatto che avrebbe dovuto occupare un’area limitata da una servitù di passaggio, solo che su quest’ultima non vi erano contestazioni in ordine all’esistenza (e alle dimensioni).

E in quel caso, l’amministrazione comunale, pur essendo consapevole del dissenso del ricorrente, ha tuttavia ritenuto di non doverne trarre alcuna conseguenza in relazione alla legittimità della concessione, rinviando eventuali contenziosi sul punto dinanzi al giudice civile.

La sentenza 803/2009 di questo Tribunale ha chiarito che "siffatto modo di procedere è, per altro, impedito dall’art. 36 della l.r. 27/12/1978 n. 71, il cui comma 3, stabilisce che "la qualità di proprietario o di avente titolo deve essere documentata", con il che conclamando, per argomento a contrario, che una qualsiasi limitazione della disponibilità dell’area da occupare con la costruzione incide sul presupposto stesso richiesto per ottenere la concessione.

E ciò a prescindere dalla sussistenza di una servitù coattiva o meno, in quanto pur essendo funzionalmente diverse le due fattispecie, nessuna differenza sussiste in ordine alla limitazione della proprietà.

Né può sostenersi che all’amministrazione non spettasse un tale compito valutativo, atteso che non era richiesto alcun complicato accertamento né la risoluzione di controversie di natura civile ma solo di prendere atto della insussistenza di uno dei presupposti per la legittimità dell’intervento, e cioè la piena disponibilità dell’immobile su cui allocare la costruzione (cfr. T.A.R. Napoli, ult. cit.) ".

Facendo uso dei predetti argomenti, deve il Collegio concludere che la sussistenza di un’area di sovrapposizione progettuale rispetto ad un diritto reale altrui, impedisce la formazione di un titolo concessorio legittimo.

Deve, però, precisare la Sezione che il peso sull’altrui proprietà deve assumere il carattere della incontestabilità e questa, invero, non appare sussistere, quanto meno, al momento della formazione originaria del titolo edilizio.

Ne deriva che l’amministrazione comunale, sia pure comprensibilmente, malamente ha fatto uso del proprio potere, sospendendo una procedura autorizzativa sulla scorta di un provvedimento del tribunale civile ancora non consolidato.

Riconosciuta la sussistenza degli altri presupposti, avrebbe dovuto, semmai, porre una precisa condizione risolutiva, che avrebbe consentito, ove avveratasi, la successiva risoluzione del titolo edilizio per avveramento della stessa, trasponendo il rischio sul titolare stesso della concessione, il quale non avrebbe potuto opporre, ove la condizione si fosse avverata, neanche la necessità di motivare circa la sussistenza di un interesse pubblico all’annullamento.

Invero, il verificarsi della condizione avrebbe annullato ex se l’atto concessorio, senza possibilità di alcun scrutinio amministrativo, da limitare ad una semplice attività accertativa e dichiarativa, trasferendo il rischio della caducazione dell’atto, e dell’effetto della eventuale conseguente demolizione, a carico del soggetto destinatario della concessione condizionata.

Ritiene il Collegio che una diversa soluzione finirebbe con il frustrare il diritto di edificare, compromesso dalle ben note lungaggini della risposta giudiziale nelle ipotesi di controversie del tipo di quelle in esame.

Se così è, quindi, è possibile, a questo punto, sciogliere la riserva in ordine alla refluenza della acclarata mancanza di distanza dal confine, pari a 0,10 metri.

Il Collegio ritiene di poter apprezzare l’osservazione del CTU nominato da questo Tribunale circa la possibilità, stante l’esiguità delle difformità rilevate, di una concessione con prescrizioni.

Tuttavia, una valutazione di tal genere non rientra nei poteri del G.A., al quale attiene lo scrutinio di legittimità dell’atto, che, seppur con i predetti ristretti limiti, si presenta viziato.

Analoga valutazione va fatta per le finestre presenti nel progetto in esame e superate dalla proposta di variante depositata solo di recente.

In somma sintesi, il titolo concessorio non avrebbe potuto essere emanato per la sussistenza di violazioni all’attuale strumento urbanistico (mancato rispetto della distanza dal confine e parete finestrata a distanza inferiore a quella consentita dal confine).

Consegue, quindi, l’accoglimento del ricorso incidentale e il rigetto del ricorso principale.

Consegue, altresì, l’accoglimento del ricorso per motivi aggiunti depositati l’11.5.2006.

III. Ricorso per motivi aggiunti depositato il 27.7.2007.

Con provvedimento prot. 013334 del 2/5/2007 veniva revocata la predetta concessione edilizia n. 46/07, per non avere il ricorrente principale iniziato i lavori nei termini ivi previsti.

Con successivo provvedimento del 4/6/2007, prot. 017023, detta revoca veniva annullata.

Con ulteriore ricorso per motivi aggiunti, il controinteressato nel ricorso principale ha impugnato anche detto provvedimento.

Dalla ritenuta illegittimità della concessione edilizia n. 46/07 deriva la carenza di interesse ad una pronuncia volta a ritenere viziato l’agire amministrativo volto a far rivivere detto provvedimento, in precedenza revocato.

Conclusivamente, vanno accolti il ricorso incidentale e il ricorso per motivi aggiunti depositato l’11.5.2006 e, per l’effetto, rigettato il ricorso principale, Va, infine, dichiarato improcedibile il ricorso per motivi aggiunti depositato il 27.7.2007.

La complessità delle questioni prospettate e le valutazioni circa la non originaria assentibilità della costruzione del ricorrente incidentale inducono il Collegio a compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

Dalla soccombenza deriva, però, la condanna della parte ricorrente alle spese per la disposta verificazione e per la successiva consulenza tecnica d’ufficio.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, così definitivamente statuisce:

1) accoglie il ricorso incidentale e il correlato ricorso per motivi aggiunti depositato l’11.5.2006;

2) rigetta il ricorso principale;

3) dichiara improcedibile il ricorso per motivi aggiunti depositato il 27.7.2007;

4) compensa tra le parti le spese di giudizio;

5) condanna il ricorrente alle spese per la disposta verificazione e per la consulenza tecnica d’ufficio, che verranno liquidate, ove già non corrisposte, previa presentazione di apposita parcella, con decreto presidenziale motivato, ai sensi dell’art. 66, comma 4, c.p.a.;

6) manda alla Segreteria di inviare il fascicolo di causa al Presidente della Sezione per la liquidazione del compenso agli ausiliari del Giudice, ai sensi del medesimo art. 66, comma 4, c.p.a.;

7) manda alla Segreteria di curare la regolarizzazione fiscale dei ricorsi per motivi aggiunti presentati dalla parte controinteressata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *