Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-02-2011, n. 3038 Lavoro subordinato straordinario e notturno Orario di lavoro Retribuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La controversia ha per oggetto la richiesta di due dipendenti con funzioni direttive di una società di costruzioni, i signori R. A. e Re.Sa. (impiegato di settimo livello con mansioni direttive il primo ed impiegato tecnico con la qualifica di capo cantiere il secondo), di condanna della datrice di lavoro società Lo Todaro s.r.l., ora in liquidazione, al pagamento di alcune competenze aggiuntive (a titolo di lavoro straordinario, indennità per il superamento dell’intervallo minimo tra una prestazione e l’altra, e quote di incidenza delle stesse sulle mensilità aggiuntive e sul TFR).

Costituitosi il contraddittorio ed effettuata l’istruttoria, il giudice di primo grado respingeva la domanda, e questa decisione veniva confermata in sede di impugnazione (anche se con una diversa motivazione) dalla Corte d’Appello di Palermo.

La sentenza rilevava che i dipendenti, rientrando nel personale direttivo, non erano sottoposti a limitazioni dell’orario di lavoro, e che avevano già percepito una speciale indennità prevista per il personale non soggetto a limitazioni di orario dall’art. 47 del contratto collettivo di categoria.

Riteneva perciò che non potessero richiedere anche la maggiorazione per il lavoro straordinario, perchè non era stato dimostrato che loro prestazioni avessero superato il limite della ragionevolezza in rapporto alla tutela della loro salute, e della loro integrità fisiopsichica.

Avverso la sentenza d’appello, depositata in cancelleria il 21 giugno 2006, e notificata il 21 settembre successivo, i due interessati hanno proposto ricorso per cassazione, con tre motivi di impugnazione, notificato, in termine, il 20 novembre 2006.

L’intimata società Lo Todaro s.r.l. in liquidazione ha resistito con apposito controricorso, notificato, in termine, il 28 dicembre 2006.

Tutte le parti hanno depositato memorie difensive.

Motivi della decisione

1. Nel primo motivo di impugnazione i ricorrenti lamentano l’insufficiente e contraddittoria motivazione, anche in relazione all’art. 116 c.p.c., circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La sentenza avrebbe attribuito una valenza solo quantitativa alla maggiore quantità di lavoro svolta, senza avere apprezzato il fatto che le modalità di lavoro erano variate tra un primo periodo, fino al 31 ottobre 1995, ed il periodo successivo, quello cui si riferivano le richieste dei ricorrenti.

Per il primo periodo la retribuzione, proposta dalla società ed accettata dai lavoratori, e comprensiva anche della speciale indennità prevista dall’art. 47 della contrattazione collettiva, era stata sufficiente a compensare le ordinarie eccedenze di lavoro di un impiegato con mansioni direttive, e perciò gli interessati non avevano avanzato nessuna pretesa.

La situazione si era radicalmente modificata nel secondo periodo, cui si riferivano invece le loro rivendicazioni.

Erano stati aggiunti loro ulteriori compiti, con l’incarico di controllare, dirigere, impostare e realizzare altri programmi di lavoro in tutta Italia ed anche all’estero, obbligandoli così a continui spostamenti.

Non potevano, però, essere richieste loro ulteriori prestazioni, senza alcun limite ed alcun riconoscimento.

Nel secondo motivo di impugnazione i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione dello stesso art. 116 c.p.c., lamentando specificamente che il giudice avesse omesso di esaminare e valutare documenti che attestavano la quantità e la qualità delle prestazioni, e la loro particolare gravosità.

Infine, nel terzo motivo di impugnazione, i due lavoratori deducono la violazione dell’art. 47 del contratto collettivo di categoria, del R.D.L. n. 692 del 1923, art. 1, convertito in L. 17 aprile 1923, n. 478 (sui limiti dell’orario di lavoro), art. 2108 c.c. (sull’aumento della retribuzione per il lavoro straordinario) e art. 36 Cost. (sul diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato).

La maggiorazione prevista dall’art. 47 del contratto collettivo si limitava soltanto alla normale prestazione de dirigente, ma non escludeva un ulteriore compenso per l’attività svolta con le caratteristiche della maggiore usura e gravosità ed oltre i limiti della ragionevolezza della prestazione.

2. Il primo motivo di impugnazione, con cui è stato denunziato un vizio di motivazione, è infondato.

La motivazione della sentenza impugnata è congrua e corretta, e, d’altra parte, il ricorrente ripropone inammissibilmente questioni di fatto (in particolare sulla quantità e sulle modalità del lavoro svolto, sulla sua sostenibilità, sulle sue variazioni nel tempo sotto il profilo quantitativo) che, appunto perchè tali, non sono suscettibili di riesame in questa fase di legittimità.

Nè è fondata la censura relativa alla produzione di alcuni documenti da parte dei due dipendenti.

Correttamente la Corte d’Appello li ha ritenuti ammissibili, nonostante che l’azienda avesse contestato la ammissibilità in giudizio sotto il profilo della illegittimità del possesso di essi da parte dei due dipendenti, con violazione dell’obbligo di fedeltà cui erano tenuti.

La produzione, invece, doveva ritenersi legittima, per la ragione assorbente che, come sottolineato da questa Corte, "il lavoratore che produca, in una controversia di lavoro intentata nei confronti del datore di lavoro, copia di atti aziendali che riguardino direttamente la sua posizione lavorativa, non viene meno ai suoi doveri di fedeltà, di cui all’art. 2105 c.c., tenuto conto che l’applicazione corretta della normativa processuale in materia è idonea a impedire una vera e propria divulgazione della documentazione aziendale e che, in ogni caso, al diritto di difesa in giudizio deve riconoscersi prevalenza rispetto alle eventuali esigenze di segretezza dell’azienda" (Cass. civ., 4 maggio 2002, n. 6420; nello stesso senso, 7 luglio 2004, n. 12528).

Sulla base della valutazione delle prove testimoniali, e sul dato pacifico che i due lavoratori in esame non rientravano tra quelli soggetti a limiti di orario (anche perchè il loro lavoro era contraddistinto da pause di attesa e di inoperosità) il giudice del merito ha ritenuto che i due dipendenti non avessero diritto allo straordinario perchè non era stato provato – da quanto emerso nel corso del giudizio – che avessero lavorato oltre i necessari criteri della ragionevolezza; secondo i principi generali in materia di prove gravava sugli stessi interessati l’onere di provare il contrario.

Era risultato che il R. ed il Re. prestavano la loro attività lavorativa che si protraeva fino alle ore serali, a Siracusa, oppure nel territorio nazionale, e talvolta anche all’estero, ma (come si legge alle pagg. 8 e 9 della motivazione) queste circostanze non erano di per se idonee "a dimostrare che la durata delle loro prestazioni superava il limite della ragionevolezza in rapporto alla tutela della salute e della loro integrità fisiopsichica, tenuto conto – come precisato dai giudici di legittimità – non tanto dell’elemento quantitativo, quanto dell’elemento qualitativo relativo all’impegno fisico ed intellettuale loro richiesto". 3. Anche il secondo motivo di impugnazione è infondato, sostanzialmente per ragioni analoghe.

La sentenza, infatti, come si è detto, ha fatto un uso corretto del materiale istruttoria, e la sua valutazione in concreto (se sostenuta da una adeguata motivazione, così come è avvento in questo caso) rientra nei poteri discrezionali riservati al giudice del merito.

4. Il terzo motivo di impugnazione, infine, è inammissibile.

I ricorrenti lamentano la violazione di una norma della contrattazione collettiva, ma non fornisce al giudice di legittimità i necessari elementi per verificarlo; non riporta il testo completo del contratto collettivo di riferimento, e neppure quello della singola disposizione (l’art. 47) che si assume violata, nè, infine, indica le norme generali in materia di interpretazione dei negozi giuridici (di cui all’art. 1362 c.c., e segg.), che sarebbero stati a loro volta violati a seguito dell’errata interpretazione del testo contrattuale.

5. Il ricorso, perciò deve essere rigettato siccome infondato.

Le spese, liquidate così come in dispositivo, seguono la soccombenza in danno dei ricorrenti.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, che liquida in Euro 24,00, oltre ad Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari, oltre a spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *