T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, Sent., 14-01-2011, n. 64 Amministrazione pubblica; Espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il sig. B.B. asserisce di aver abitato, in forza di un contratto di locazione con l’INPS ente proprietario dell’immobile, da certo sig. G.R. in un appartamento sito in Messina al numero civico 2 di Via Consolare Valeria.

Già dal 1779 il sig.B.B. si sarebbe trasferito presso un" appartamento (sito in Messina Via Consolare Valeria n.2), condotto in locazione dai suoi nonni signori R., insieme alla propria moglie signora R. (poi deceduta).

Deceduta la moglie del sig. B., questi avrebbe iniziato la convivenza con la signora D. nell’immobile predetto.

Nel 1983 sono morti entrambi i nonni del sig. B. e nello stesso anno questi ha trasferito la propria residenza anagrafica nell’appartamento ed avrebbe provveduto a volturare a proprio nome tutte le utenze (acqua,luce, gas) ed a continuale a corrispondere i canoni di locazione all’INPS, nonché a chiedere il proprio subentro nella locazione dell’immobile e la richiesta di acquisto dello stesso.

L’Istituto, però non avrebbe mai riscontrato dette richieste.

In data 13/10/2008 l’Università di Messina comunicava di aver acquistato l’immobile de quo dall’INPS, con atto di trasferimento del 10/2/1982, ed intimava lo sloggio dall’appartamento al signor B. e D..

Questi, in data 8/7/2008, ha presentato atto di citazione in giudizio, presso il Tribunale Civile di Messina, nei confronti dell’Università degli Studi di Messina, chiedendo al Giudice civile adito la dichiarazione di intervenuta usucapione dell’immobile da essi occupato (sito in Via Consolare Valeria n. 2), ed in data 8/7/2998 hanno presentato ricorso ex art. 700 c.p.c. per la disapplicazione del provvedimento di rilascio dell’immobile emesso dall’Università intimata in data 13/10/2008, che, però, veniva rigettata dal G.O.

Premesso ciò, il ricorrente, con il ricorso in epigrafe, chiede l’annullamento dei provvedimenti nella stessa epigrafe indicati proponendo tre articolati motivi di gravame con cui formula le censure di:

1) Violazione e falsa applicazione degli artt.823,comma 2, 828,e 830 del c.c. di legge.

L’Università avrebbe agito in via Amministrativa in carenza di potere, in quanto l’alloggio su cui si controverte non può qualificarsi né bene demaniale, né bene appartenente al patrimonio indisponibile dell’Università.

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e seguenti della L. n. 241/1990.

In violazione delle garanzie partecipative prevista dalla L. n. 241/1990 il provvedimento impugnato non sarebbe stato preceduto dalla comunicazione di avvio di procedimento.

3) Violazione sotto vari profili della L. n. 431/1998 dell’art.1 L.r: n.11/2002 e degli artt. 1,3, e 5 della L n.392/1978.Eccesso di potere sotto il profilo della carenza dei presupposti, difetto di istruttoria ed illogicità manifesta.

3a) Premesso che il sig. B., sarebbe stato possessore da oltre trenta anni dell’immobile su cui si controverte, esso avrebbe acquistato la proprietà per usucapione del bene per cui è causa. Né avrebbe alcuna rilevanza, ai fini dell’usucapione dell’immobile la presunta destinazione ad uso pubblico che l’Università avrebbe conferito al bene in sede di esproprio nei confronti dell’INPS, avuto riguardo al lunghissimo tempo trascorso dall’atto di immissione in possesso (8/5/1972) con conseguente sottrazione dell’immobile alla destinazione pubblica.

3b) In subordine, a voler ammettere che non si fosse verificata l’usucapione in capo al ricorrente, s le condizioni di legge per il subentro nella conduzione in locazione dell’immobile ai sensi dell’art. 12 del DPR n. 1035/1971, in quanto il sig. B. era convivente del proprio nonno sig.R. alla data di decesso di quest’ultimo.

3c) In ipotesi ulteriormente subordinata il subentro sarebbe consentito dalla L.r. n. 11 del 2002.

In data 30.10.2008 il ricorrente ha depositato ricorso per motivi aggiunti (prima ritualmente notificato) contro l’avviso di rilascio dell’immobile.L’Avvocatura Distrettuale dello Stato ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.

Con ordinanza cautelare del 20/11/2008 questo TAR ha rigettato, per carenza di presupposti, la domanda di sospensione dei provvedimenti impugnati.

Con memoria del 24/6/2010 il ricorrente ha ribadito le censura formulate con il ricorso introduttivo e, con nota del 13/10/2010 ha prodotto documentazione afferente la richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato relativa alla dimostrazione della propria situazione di difficoltà economica.

Il difensore della ricorrente, avv. Carmelo Torre, ha presentato la parcella in relazione alla delibera del 29/9/2008 della Commissione per il patrocinio a spese dello Stato di ammissione provvisoria della ricorrente al beneficio di legge.

Alla pubblica udienza del giorno 10/11/2010 il ricorso è passato in decisione.

Motivi della decisione

Il primo motivo di gravame è infondato atteso che nella fattispecie è incontestabile la natura di bene pubblico indisponibile dell’alloggio su cui si controverte.

Sul punto, va preliminarmente rilevato che la pendenza di tale vertenza innanzi al Tribunale Civile di Messina, non incide sulla presente decisione, in quanto l’art.8, comma 1, del C.P.A. (D.lgs. n. 104/2010) consente al giudice amministrativo di pronunciare "incidenter tantum" anche su questioni relative a diritti, qualora la loro soluzione si atteggi come pregiudiziale necessaria per decidere la questione principale affidata alla sua cognizione (vedasi in tal senso la giurisprudenza formatasi in relazione agli omologhi artt. 8 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e art. 28 del T.U. 26 giugno 1924, n. 1054: Cons. Stato, V Sez., 13 settembre 1999 n. 1052; Cass. Civ. SS.UU. 5 maggio 2003, n. 6767).

Ed è pertanto entro i limiti della predetta pregiudizialità che in questa sede il Collegio prende in esame il ricorso e la questione relativa all’usucapione dedotta in questo giudizio.

Invero, detto immobile, come si rileva dagli atti allegati dall’Amministrazione resistente fa parte di un gruppo di immobili siti in Messina Via Consolare Valeria angolo Via Gazzi ubicati ai margini dell’area del Policlinico Universitàrio di Messina già in proprietà dell’INPS.

Detto Istituto, avuto riguardo al fatto che l’area predette era oggetto di una procedura espropriativa in corso della quale l’Università, oggi resistente, la quale peraltro ne aveva già preso possesso, con verbale datato 8/5/1972, con atto pubblico rogato il 10/2/1988 ha ceduto volontariamente, dietro compenso forfetario, le predette aree all’Università degli Studi di Messina (e ciò ovviamente in applicazione del principio di leale collaborazione tra istituzioni pubbliche, tenuto conto che le aree sarebbero state destinate – in forza di un finanziamento statale all’Università di Messina ai sensi della L. n. 574/1965 – alla costruzione di padiglioni da adibire a cliniche universitarie).

Atteso ciò, passando, quindi, all’assunto di fondo da cui muove parte ricorrente (ossia quello relativo alla natura di bene "patrimoniale disponibile" dell’area oggetto delle ordinanze impugnate), il Collegio ritiene di non poterlo condividere, sia per ragioni di ordine generale, sia per ragioni di ordine specifico.

Quanto alle prime, è da dire che l’effetto del provvedimento con il quale la P.A. dispone l’espropriazione per ragioni di p.u. conferisce al bene che ne è oggetto una specifica destinazione pubblicistica (che poi è la ragione stessa del potere ablativo della P.A. a tenore dell’art. 42, comma 3, Cost.); di guisa che, una volta verificatasi l’ablazione (per effetto dell’emissione del decreto di esproprio, o come nella specie di altro atto negoziale equivalente), il bene entra a far parte del patrimonio indisponibile dell’amministrazione (cfr. Cons. St., Ad. Gen. parere n. 4 del 29 marzo 2001; Cons. St., Sez. IV, 22 maggio 2000, n. 2939; cfr. anche Corte Cost. sent. 23 aprile 1998, n. 135 in tema di destinazione al patrimonio indisponibile del comune di terreni espropriati ex art. 35 L. 22 ottobre 1971 n. 865, entro i piani di edilizia residenziale pubblica da cedere successivamente in proprietà o in diritto di superficie ad enti od a privati per realizzare abitazioni economiche e popolari).

Alla base di un tale effetto sta la previsione di cui all’art. 826, comma 3, cod. civ., secondo cui "fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio"; categoria residuale, quest’ultima, nella quale non possono non farsi rientrare anche i beni espropriati in vista di un pubblico interesse, ancorché non ancora materialmente appresi dalla P.A. e\o trasformati nell’opera pubblica progettata.

D’altronde, già da tempo la prevalente dottrina ha ritenuto che alla formula "servizio pubblico" utilizzata dall’art. 826 si debba attribuire un significato residuale ed estensivo tale da comprendere qualunque attività degli enti pubblici rispetto alla quale il bene costituisca semplice mezzo, con esclusione dei soli casi in cui il bene sia semplicemente destinato alla produzione di un reddito e quindi risulti nel "dominium" della P.A. con valore e fini esclusivamente patrimoniali e privatistici.

Uno specifico referente normativo in tal senso è contenuto nel D.P.R. n. 327/2001 (T.U. sulle espropriazioni per pubblica utilità) laddove, all’art. 48, comma 4, è previsto che le aree "non utilizzate per realizzare le opere oggetto della dichiarazione di pubblica utilità" possono essere acquistate, con diritto di prelazione, dal comune territorialmente competente ed entrano a fare "parte del patrimonio indisponibile". Disposizione, questa, che sarebbe del tutto illogica ed incomprensibile se, per principio, si riconoscesse (così come postulato in ricorso) natura patrimoniale "disponibile" alle aree in ipotesi occupate dall’Università in data 8/5/1972 nell’ambito di un procedimento di espropriazione delle stesse.

Evidentemente, la norma citata muove dal presupposto che (in base ai principi) il procedimento espropriativo conferisca al bene appreso dalla P.A. una connotazione giuridicodominicale del tutto nuova, intrinsecamente finalizzata al soddisfacimento dell’interesse pubblico che sta alla base del procedimento medesimo, che nella fattispecie era costituito dalla destinazione derivante dal finanziamento assegnato all’Università di Messina ai sensi della L. n. 574/1965 per la progettata costruzione di padiglioni universitari da destinare a cliniche Universitàrie.

Una volta intervenuto (come nel caso di specie) il provvedimento ablativo che nella fattispecie è costituito dall’occupazione del bene da parte dell’Università e dalla successiva cessione del bene all’Università da parte dell’INPS, il bene stesso è entrato, comunque, a far parte del patrimonio "indisponibile" della P.A. e tale sua connotazione, ormai, potrebbe perdere solamente a seguito degli appositi procedimenti a tal fine previsti dalla legge, "retrocessione" totale o parziale, o "vendita", ex artt. 46 e segg. del T.U. n. 327/2001 (in precedenza ex artt. 60 e segg. L. 2359/1865).

In generale, si deve ritenere che, proprio per le finalità pubblicistiche che ne hanno giustificato l’occupazione in data 8/5/1972 in danno dell’INPS, ed il successivo atto di cessione del 10/2/1982 del bene espropriato:

– l’alloggio non può rientrare in nessun’altra categoria di beni se non in quella dei beni del patrimonio indisponibile amministrativo, salva richiesta di "retrocessione" o attivazione degli altri procedimenti previsti in favore dei soggetti espropriati o degli aventi ragione ai sensi degli artt. 46 e segg. del T.U. n. 327/2001, o degli artt. 60 e segg. L. 2359/1865 per i procedimenti soggetti alla pregressa normativa;

– soggiace alle norme di cui al successivo art. 828 cod. civ. secondo cui "i beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano", con conseguente irrilevanza delle nome di diritto comune (quali quelle richiamate in ricorso);

– l’amministrazione ben può esercitare, "erga omnes", il potere di autotutela previsto per i beni demaniali dall’art. 823, comma 2, Cod. civ. (Cfr. Cons. Stato, IV Sez., 30 luglio 1974 n. 561; T.A.R. Lombardia, Milano, 11 giugno 1987, n. 316).

Sul quest’ultimo aspetto, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di precisare che:

– il potere di autotutela spettante alla P.A. per i beni demaniali, disciplinato dall’art. 823 c.c., può essere esercitato anche quando un immobile abbia natura di bene "patrimoniale indisponibile", in quanto resta all’amministrazione stessa il potere di controllo e di intervento di imperio, sia per proteggere il bene da turbative sia per eliminare ogni situazione di contrasto con l’interesse pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. V, 01101999, n. 1224);

– l’autotutela amministrativa prevista dall’art. 823, 2° comma c.c. ha un ambito di applicazione generale, costituendo ipotesi autonoma rispetto alle singole disposizioni di legge che prevedono particolari procedimenti a tutela dei beni demaniali (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20042000, n. 2428).

Si aggiunga, peraltro, che, nei casi in cui il bene espropriato non sia immediatamente utilizzato resta comunque, esercitabile il generale potere di autotutela (ordine di "reductio in pristino stato").

Da quanto detto discende che legittimamente i provvedimenti impugnati intimano lo sgombero dell’alloggio detenuto dal convivente dell’odierna, siccome bene che, finalisticamente collegato ad un pubblico finanziamento per la realizzazione di Padiglioni universitari, è entrato a far parte del patrimonio indisponibile dell’Università intimata, suscettibile di essere salvaguardato da quest’ultima con atti di natura autoritativa ed in autotutela come quelli impugnati col ricorso in esame.

Né, per le medesime considerazioni che hanno condotto il Collegio a rigettare il primo motivo di gravame, sono condivisibili le censure formulate con il terzo motivo.

Infatti, appare del tutto irrilevante la norma invocata dalla ricorrente al punto 3 b del 3° motivo di gravame (art. 12 del DPR n. 1035/1972), che afferisce alla disciplina di altre e diverse fattispecie. Di contro, va ribadito che la natura di bene patrimoniale indisponibile dell’appartamento di cui in causa esclude ogni giuridico pregio al terzo motivo ed all’istituto del diritto di subentro subentro ex DPR 1035/1972 o alla concessione in sanatoria ex L.r. n. 11 del 2002.

Per le considerazioni che precedono il ricorso in epigrafe va rigettato.

Quanto, infine, all’istanza di liquidazione della parcella del difensore della ricorrente, ammessa al patrocinio a spese dello stato, ne va disposta la revoca, stante la nonevidenziata esistenza (tanto alla Commissione gratuito patrocinio, quanto a questo Collegio deputato a valutare in via definitiva la sussistenza dei presupposto di ammissione al beneficio di legge – cfr. art. 136 DPR 115/2002) di altra contestuale richiesta di patrocinio a spese dello Stato da parte della convivente del ricorrente, sinora D., in altro analogo ricorso n. 1620/2008 trattato in questa stessa odierna udienza e per lo stesso immobile di via Consolare Valeria n. 2, di Messina (tanto più che sulla medesima vicenda risulterebbero incoati altri giudizi in sede civile, per i quali non è escluso sia stata chiesto – tanto dal ricorrente che dalla convivente D. Sebastiana – il beneficio del patrocinio a carico dello Stato).

Tale dato di fatto ed il connesso ingiustificato onere che ne deriverebbe a carico dell’Erario, si pone in palese contrasto con la "ratio" della norma contenuta nel combinato disposto degli artt. 80 e 91 D.P.R. 115/2002:

– l’art. 80 comma 1 prevede espressamente che "Chi è ammesso al patrocinio può nominare un difensore scelto tra gli iscritti negli elenchi degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato…";

– l’art. 91 comma 1, lett. b), stabilisce che "L’ammissione al patrocinio è esclusa… b) se il richiedente è assistito da più di un difensore; in ogni caso gli effetti dell’ammissione cessano a partire dal momento in cui la persona alla quale il beneficio è stato concesso nomina un secondo difensore di fiducia, eccettuati i casi di cui all’articolo 100".

Tali disposizioni ben evidenziano che:

– il beneficio in parola, per gli impegnativi riflessi di natura finanziaria che può comportare a carico dello Stato, deve essere applicato nella misura che sia strettamente necessaria alla difesa dei meno abbienti (ossia con la nomina di uno ed un solo difensore);

– che il relativo eventuale abuso (chiaramente rinvenibile nel caso di specie, stante il vincolo di convivenza che lega i ricorrenti e quel che più rileva la unicità dell’interesse da essi azionato verso un unico provvedimento che per di più è relativo ad un unico e medesimo immobile) non può non sanzionarsi con la perdita dell’ammissione al patrocinio in applicazione estensiva della lett. b) dell’art. 91 cit..

Le spese di giudizio possono tuttavia compensarsi tra le parti avuto riguardo alla natura della controversia ed alla peculiarità della vertenza.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando rigetta il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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