Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-12-2010) 19-01-2011, n. 1410 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Napoli, investito ex art. 309 c.p.p., con ordinanza del 18.6.2010 confermava l’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, disposta a carico di P.M., per il reato di omicidio aggravato, in danno di A.G., per il reato di omicidio tentato in danno di M. A. e per altri reati satellite in materia di armi e ricettazione, con l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 commessi il (OMISSIS).

Il quadro indiziario veniva ritenuto integrato dalle indicazioni provenienti dai collaboratori di giustizia I.M. e Ia.Ro., che hanno illustrato la faida intercorsa in quegli anni tra i due clan avversi, l’uno facente capo ai fratelli L. e l’altro riconducibile a V.A. e M. G. ed hanno ammesso le loro responsabilità in ordine al fatto di sangue in contestazione. I. rappresentò che l’omicidio era stato materialmente consumato da un commando composto da i.

p., che guidava un’auto Audi 3 – effettivamente ritrovata sul locus commissi delicti – IA.Ro. che era armato con un fucile a pompa, D.G., armato di pistola cal. 7,65 Beretta, munita di silenziatore, arma che aveva fornito lui I., a sua volta con funzioni di staffetta sul luogo dell’agguato. Il collaborante assumeva che il P. era stato richiesto di intervenire sul luogo in cui abitava la vittima designata, fingendosi pittore del cancello di abitazione di una persona anziana che abitava di fronte al vicolo attraverso cui si accedeva all’abitazione della vittima, espediente che era stato adottato, attesa la difficoltà riscontrata in un mese di appostamenti nell’intercettare la vittima designata quando usciva di casa. Alla rappresentazione dello I., seguì quella dello IA., chiamato in causa dallo stesso I. come coautore dell’omicidio, sostanzialmente sovrapponile a quella del primo, per quanto riguarda il ruolo rivestito nell’occorso dal P.. La conferma che l’agguato alle due vittime si inseriva nella contrapposizione tra gruppi, si era già avuta nell’immediatezza del fatto, attraverso le prime indagini, nell’ambito delle quali era stata rilevata impronta papillare sullo specchietto dell’auto Audi 3 rubata, usata dagli aggressori, riconducibile a R.S., appartenente pacificamente al clan Lago, che poi i due collaboranti indicheranno come correo nel fatto di sangue in oggetto. Non solo, i dati balistici rilevati nell’immediatezza del fatto confermavano che erano stati utilizzati per l’agguato una pistola cal. 7,65 ed un fucile ad anima liscia. Ad ulteriore conforto delle dichiarazioni accusatorie pervenivano le indicazioni dei coindagati VE.En., già uomo di fiducia di B., (accusato di aver organizzato l’agguato da casa sua, dove era agli arresti domiciliari) e VE.An., figlio di E.. Proprio Ve.An., per quanto non attinto da misura cautelare, confessava la sua partecipazione al fatto di sangue, attribuendosi il ruolo di segnalatore dei movimenti della vittima e confermava la parte assunta dal P. nell’occasione, quale finto pittore di un’inferriata, riconoscendolo in fotografia.

Il compendio veniva ritenuto solido e convergente quanto all’accusa mossa al P., soggetto notoriamente , tante nel gruppo criminale dei Lago, già coinvolto in vicende delittuose riconducibili al sodalizio menzionato. Ciò posto è stato ritenuto ineludibile la misura estrema, attesa la pericolosità del soggetto e la gravità dei fatti a lui addebitati.

2. Avverso detta ordinanza, ha interposto ricorso per Cassazione l’interessato personalmente, per dedurre genericamente violazione di legge e vizi della motivazione. In particolare viene contestata la , ta del quadro indiziario, sul presupposto che non vi sarebbero riscontri, non potendo essere considerati tali gli accertamenti di Polizia. I collaboratori farebbero riferimento ad un tale Mi., ma il nome di Battesimo non è sufficiente per individuare la persona; I. del resto non venne mai chiamato ad operare una individuazione, così come non lo fu Ia.. Si evidenzia che N.G., nipote del titolare della casa dove il P. si finse pittore della cancellata, è stato scarcerato dal Tribunale del riesame, il che significa che il racconto dei pentiti secondo cui fu G. ad aver indicato come specchiettista lui P., non è stato creduto. Viene aggiunto che Ve.En. disse che a fungere da specchiettista nell’occasione furono dei ragazzi di (OMISSIS). Su Ve.An., che invece lo individuò e lo indicò come colui a cui fu assegnato detto ruolo, l’indagato adombra che sia stato aiutato nell’individuazione, richiamando il fatto che dal verbale si evince che inizialmente ebbe delle esitazioni, poi vi fu una pausa di 21 minuti, a seguito della quale intervenne l’individuazione. Viene poi contestato che non sia stato indicato l’anno in cui la foto sottoposta all’attenzione del Ve. venne scattata, con il che vi sarebbero carenze investigative. Non solo, ma il Pm avrebbe dovuto sentire il proprietario della casa dove l’indagato avrebbe finto di lavorare come pittore, avrebbe dovuto riscontrare se N. avesse abitato effettivamente in quei luoghi all’epoca dei fatti, avrebbe dovuto promuovere esperimento giudiziale per verificare se il finto pittore dalla posizione descritta fosse o meno stato in grado effettivamente di verificare i movimenti dell’ A. e coglierne gli spostamenti. Il quadro indiziario non assumerebbe quindi la connotazione della , ta, per tutte queste carenze investigative e perchè manca il riscontro individualizzante relativamente al P.. Quanto poi alle esigenze cautelari, sarebbe carente la motivazione sulla pericolosità dell’indagato, anche in ragione del tempo decorso dalla consumazione del fatto.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Il percorso argomentativo posto a base dell’impugnata ordinanza non presenta affatto i vizi motivazionali dedotti dal ricorrente, considerato che ha preso le mosse dalle indicazioni sovrapponigli, quanto al preciso contributo causale offerto dal P. alla verificazione del fatto di sangue in oggetto, di due chiamanti in correità, autonomi tra loro; indicazioni che si sono arricchite di altro contributo offerto negli stessi termini (quanto al ruolo giocato dal P.) da Ve.An., autoaccusatosi di partecipazione al reato, con il ruolo anche lui di osservatore delle mosse della designata vittima, essendosi posizionato sul terrazzo di una masseria con il binocolo.

Quanto alla identificazione del Mi. nell’attuale indagato, è stata ritenuta certa dai giudici di merito, non solo sulla base dell’individuazione operata positivamente da Ve.An., ma anche dal fatto che venne fatto riferimento ad un ragazzo di (OMISSIS), associato al clan Lago, circostanza confermata dai plurimi controlli di polizia (che hanno accertato la frequentazione del P. con esponenti del gruppo criminoso menzionato) e dal fatto che al P. vennero in passato trovate armi presso la sua abitazione ed una vettura blindata, riconducibili al clan Lago, circostanze che contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, sono state correttamente ritenute a rilievo confermativo dell’attendibilità della chiamata in correità. Le argomentazioni con cui vengono avanzati sospetti su una forzatura nell’individuazione del P. ad opera del Ve. oltre che esaurirsi in fatto, sono infondate; parimenti non hanno alcuna ricaduta, le doglianze avanzate sulle carenze investigative, atteso che i giudici di merito hanno correttamente e con ampia argomentazione ritenuto il tessuto indiziario assolutamente resistente, in quanto formato da una convergenza del molteplice che si sottrae a qualsivoglia ipotesi di deviazione dai canoni valutativi previsti dall’art. 192 c.p.p.. E’ infatti orientamento consolidato quello secondo cui per l’applicazione di misura cautelare, gli indizi sono , quando sono tali da lasciare desumere la qualificata probabilità di attribuzione del reato all’indagato: la chiamata in correità integra il grave indizio, ove abbia trovato riscontro in elementi esterni, anche di natura logica, e tali possono essere altra o altre dichiarazioni di collaborante, purchè convergenti e soprattutto autonome.

Anche la motivazione sulle esigenze cautelari non fa difetto, poichè è stato motivato non solo con riferimento alla gravità della condotta ed al contesto associativo in cui il P. ebbe ad operare, ma anche ai precedenti penali che impongono un giudizio di pericolosità sociale che rende inevitabile l’adozione di misura estrema, a fronte dell’assenza di allegazione di specifici elementi che facciano ragionevolmente escludere la pericolosità.

Il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria dovrà trasmettere copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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