Cass. civ. Sez. II, Sent., 09-02-2011, n. 3185 Cessazione della materia del contendere

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 15 luglio 2003 il dr. B. L., curatore del fallimento di T.L., conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Avellino i sigg. T. W., G., L., I. e Gi., germani del fallito, per sentir disporre la divisione del complesso immobiliare sito in (OMISSIS), con l’attribuzione di singole quote – pari ad un sesto dell’intero per ciascun comproprietario – ovvero, in caso di ravvisata non materiale divisibilità dell’intero bene, per sentir ordinare la vendita all’incanto dell’immobile con formazione successiva di separate masse liquide da ripartire tra i singoli condividenti, il tutto con spese a carico della massa e, in caso di infondate contestazioni, a carico degli opponenti.

A seguito dell’udienza di prima comparizione e di trattazione, con ordinanza del 31 marzo 2005, depositata il 20 aprile 2005, l’adito Tribunale, in composizione monocratica, dichiarava la non comoda divisibilità del dedotto complesso immobiliare sito in (OMISSIS), pervenuto in successione a T.L., W., G., L., I. e Gi., attribuendo l’intera proprietà di tale complesso immobiliare "pro indiviso" a T.W., G., L., I. e Gi. e condannando questi ultimi al pagamento, in favore del Fallimento T.L. ed a titolo di conguaglio per l’eccedenza, della somma di L. 323.112,83, già rivalutata all’attualità, oltre interessi legali dalla data del provvedimento all’effettivo soddisfo.

Avverso la suddetta ordinanza, notificata loro personalmente in forma esecutiva il 9 giugno 2005, hanno proposto ricorso per cassazione, ex art. 111 Cost., comma 7, T.W., G., L., I. e Gi., articolato su due motivi, al quale ha resistito con controricorso l’intimato fallimento di T. L..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno censurato l’impugnato provvedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 720, 2697, 2909 e segg. c.c., artt. 99, 101, 112, 115 e segg., 187 e segg., 784 e segg., 789 c.p.c. e art. 195 disp. att. c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) nonchè per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

2. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 720, 2697 e 2909 c.c., artt. 61 e segg., 112, 115 e segg., 187 e segg., 191 e segg., 784 e segg., 789 c.p.c e art. 195 disp. att. c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e prospettato l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

3. Ritiene il collegio che sussistono le condizioni, nel caso di specie, per pervenire, in relazione al ricorso proposto, alla declaratoria di cessazione della materia del contendere.

Invero, risulta depositata in atti, in data 10 gennaio 2011, atto di rinuncia al ricorso da parte del difensore dei ricorrenti, cui è allegato atto pubblico, intercorso tra le parti, per notar D’Amore del 19 dicembre 2008, relativo ad intervenuta "transazione con cessione di quota immobiliare a seguito di ordinanza giudiziale di attribuzione" (coincidente proprio con il provvedimento oggetto di impugnazione nella presente sede di legittimità). Anche il difensore del controricorrente, comparso all’udienza pubblica del 13 gennaio, ha provveduto a depositare copia autentica del medesimo atto di transazione, così prospettando che era venuto meno l’oggetto del contendere. Del resto, dal contenuto del prodotto atto di transazione (cfr. punto 5.1) si evince che l’avv. Acone, nella qualità di nominato procuratore speciale dei ricorrenti, si era impegnato a far estinguere i giudizi in corso con dichiarazioni di rinunzia agli atti o in altro modo, nel mentre il dr. B., nella qualità di curatore del fallimento controricorrente, si era impegnato ad accettare le rinunzie; peraltro, lo stesso avv. Acone aveva già manifestato la volontà di rinuncia a qualsiasi effetto di un’eventuale pronuncia che fosse stata emessa da questa Corte, qualora la rinunzia non fosse stata ritenuta idonea all’estinzione del processo. Inoltre, sempre con gli accordi raggiunti mediante l’intervenuta transazione, le parti (cfr. punto 5.2) avevano stabilito che l’acquisto della quota di T.L. da parte di W., G. e Tr.Gi., di Giusto Gianluca, quale erede di T.I., nonchè di B., P. e C.A., quali eredi di T.L., si sarebbe dovuto considerare, ad ogni effetto, definitivo, così riconoscendosi l’incontrovertibilità dell’ordinanza del Tribunale di Avellino del 20 aprile 2005, che aveva costituito oggetto di impugnazione.

Alla stregua di tali risultanze, pur non potendosi giungere a pronunciare l’estinzione (in forma tipica) del giudizio intrapreso dinanzi a questa Corte per difetto delle complete condizioni previste dall’art. 390 c.p.c. con riferimento alla formulazione di una rituale rinuncia al ricorso principale debitamente accettata, è evidente che ricorrono i requisiti per ritenere che sia sopravvenuta la cessazione della materia del contendere, alla stregua del definitivo assetto del rapporto sostanziale raggiunto da tutte le parti (ivi compresi gli eredi di quelle decedute nelle more) con la suddetta intervenuta transazione in relazione alla divisione immobiliare costituente oggetto della controversia. In proposito si ricorda che la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., S.U., 28 settembre 2000, n. 1048 e, più recentemente, Cass. 4 giugno 2009, n. 12887, nonchè Cass. 25 marzo 2010, n. 7185) è pacificamente orientata nel ritenere che si venga a configurare la cessazione della materia del contendere (che deve essere dichiarata dal giudice anche d’ufficio e che, in sostanza, costituisce, nel rito contenzioso davanti al giudice civile, una fattispecie di estinzione del processo creata dalla prassi giurisprudenziale, e, quindi, atipica) quando sopravvenga una situazione che elimini la ragione del contendere delle parti, facendo venir meno l’interesse ad agire e a contraddire, e cioè l’interesse ad ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, da accertare avendo riguardo all’azione proposta e alle difese svolte dal convenuto.

Pertanto, all’emanazione di una sentenza di cessazione della materia del contendere consegue, l’inidoneità della sentenza stessa ad acquisire efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, limitandosi tale efficacia di giudicato al solo aspetto del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio. In definitiva, nell’ipotesi di accordo transattivo che determini cessazione della materia del contendere, il nuovo assetto pattizio voluto dalle parti si sostituisce alla regolamentazione data dal provvedimento impugnato, che resta travolto (cfr., proprio con riferimento ad un’ipotesi in cui era sopravvenuta una transazione tra le parti, Cass. 3 marzo 2006, n. 4714).

4. In conseguenza dell’esito della controversia determinato dall’incidenza della richiamata transazione, del comportamento delle parti e della loro volontà indirizzata a regolare completamente i loro rapporti con la transazione stessa senz’altro nulla pretendere gli uni nei confronti dell’altro (e viceversa), si ravvisa la sussistenza di idonei e giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara cessata la materia del contendere e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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