Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-12-2010) 19-01-2011, n. 1331 Vizi di mente

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza, deliberata il 17 marzo 2010, la Corte di assise di appello di Caltanisetta, per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità, ha confermato la condanna ad anni trenta di reclusione inflitta dal GIP del Tribunale di Enna, con sentenza 21 gennaio 2009, all’appellante S.D., ritenuto colpevole del delitto di omicidio in danno del suocero C.C., aggravato dalla premeditazione e dall’avere l’imputato agito per futili motivi (capo A) e dei concorrenti reati di detenzione e porto illegale di arma comune da sparo (capo B) e di contravvenzione alle prescrizioni della misura di prevenzione della sorveglianza speciale impostegli (capo C), tutti commessi in (OMISSIS).

1.1 I giudici di merito hanno infatti ritenuto, oltre ogni ragionevole dubbio, che fosse stato proprio l’imputato la persona che, il giorno (OMISSIS) – nell’abitato di (OMISSIS) – aveva esploso almeno quattro colpi di pistola, calibro 9 all’indirizzo della vittima, allorquando costui, come di consueto, stava prelevando dal proprio garage il motoscooter, impiegato per recarsi a lavoro, valorizzando a tal fine una notevole serie di elementi indizianti (tra cui le immagini riprese da un impianto di videosorveglianza) che in questa sede, per altro, neppure mette conto riferire analiticamente, tenuto conto che, sia pure soltanto nel corso del giudizio di appello, il S. ha spontaneamente dichiarato di essere lui, in effetti, l’assassino del suocero e che la difesa dell’imputato ha dichiarato di rinunciare al motivo di appello formulato con riferimento al tema della penale responsabilità.

Con riferimento ai motivi di appello ulteriori rispetto a quello della commissione del fatto, proposti nell’interesse dell’imputato e relativi:

a) alla mancata assoluzione per totale incapacità d’intendere e di volere, essendo lo stesso affetto da da disturbo da personalità borderline;

b) al mancato riconoscimento, quanto meno del vizio parziale di mente;

c) all’entità della pena irrogata, ritenuta eccessiva;

d) alla mancata esclusione delle circostanze aggravanti ed al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche; la Corte territoriale ha così motivato:

aa) la difesa, nei rassegnare le sue conclusioni orali al termine del giudizio di secondo grado, aveva dichiarato di rinunciare anche al motivo di appello relativo all’accertamento di un vizio totale di mente, sicchè, avendo l’imputato, presente in aula, tacitamente aderito a tale rinuncia, il gravame sul punto andava dichiarato inammissibile, non senza rilevare, per altro, che le condizioni psichiche del S. avevano formato oggetto nel primo grado del procedimento, di numerosi accertamenti clinici specialistici…..e che tranne una iniziale diagnosi di totale incapacità avanzata dal primo consulente della difesa, tutte le altre indagini scientifiche disposte dai Giudici, dal P.M. e dalla stessa difesa, avevano all’unisono escluso che il S. potesse essere considerato totalmente non imputabile in quanto la patologia di cui era risultato affetto disturbo di personalità borderline non era di intensità tale da escludere la totale incapacità di intendere e di volere dell’agente al momento della commissione dei fatti dei quali è stato chiamato a rispondere;

bb) già la perizia collegiale disposta dal GIP a seguito di incidente probatorio aveva diagnosticato che la patologia da cui era affetto il S. non poteva essere causa di diminuzione della capacità di intendere e di volere dell’agente, escludendo, altresì, che l’uso/abuso di cocaina da parte dell’imputato avesse inciso sulla capacità d’intendere e di volere; tale diagnosi era stata confermata anche dall’ulteriore perizia collegiale disposta dal GUP nel corso del giudizio abbreviato, avendo il nuovo collegio medico affermato, in base ai dati offerti dall’osservazione scientifica e dalla documentazione clinica, che il periziato non presentava malattie, infermità o menomazioni riferibili all’Asse 1 del DSM-IV-TR, vale a dire rispetto ad un elenco di malattie e disturbi psichiatrici; non era in stato di intossicazione acuto – cronica di sostanze stupefacenti, non avendo manifestato, in ordine ai fatti per cui si procede, segni e sintomi riconducibili a tale stato di intossicazione acuta – cronica; era strutturato secondo "un’organizzazione borderline di personalità" che non è automaticamente indicativa di "disturbo di personalità che non si è determinata con fenomeni che, per consistenza, intensità, rilevanza e gravità, si sarebbero potuti rappresentare in grado di compromettere la consapevolezza e la libera determinazione del suo agire", espressamente precisando altresì, che anche le modalità esecutive del delitto, le quali si caratterizzano per la predisposizione di un lucido progetto omicidiario e per la predisposizione di un accurato programma di latitanza, interrotto esclusivamente per scelta dello stesso latitante, inducevano a ritenere il S. persona integralmente imputabile;

cc) andava riaffermata la sussistenza della circostanza aggravante della premeditazione, in quanto le modalità esecutive dell’omicidio, la scelta dell’ora notturna che favoriva l’agguato, il preventivo sopralluogo eseguito dal S. sul sito del delitto, l’attesa – durata più di un’ora come attestano le registrazioni video – che la vittima, come era abitudine nota allo stesso assassino, uscisse da casa per recarsi al lavoro, l’assenza di un pur breve contatto tra i due che possa far ritenere che l’omicidio abbia rappresentato l’evoluzione non prevista di uno scontro nato sul momento e immediatamente degenerato, la programmazione della fuga e della latitanza, il porto di una pistola carica rappresentavano tutte circostanze che, esaminate nel loro insieme, dimostravano che l’assassinio del C., così come richiede l’art. 577 c.p., comma 1, n. 3, è stato sorretto da una risoluzione ferma ed irrevocabile dell’agente che permaneva, malgrado il lasso di tempo intercorso tra le due presenze sul luogo del delitto avesse consentito di riflettere sulla decisione presa e recedere dal proposito criminoso; che correttamente era stata ritenuta sussistente, altresì, l’aggravante dei motivi futili, in quanto il processo aveva fatto emergere in maniera chiara la mancanza di proporzione tra l’omicidio ed il movente, che contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, trovava origine nei dissapori che ormai avvelenavano i rapporti tra il S., la moglie ed i parenti di lei e che rendevano lo stesso S. eccessivamente violento e minaccioso, tale abnorme sproporzione denunciando l’indole aggressiva dell’imputato che ha cercato l’occasione per scaricarla contro il suocero, reo ai suoi occhi di prendere le difese della figlia nei dissapori coniugali scaturiti e continuati anche durante la separazione, sicchè l’omicidio rappresentava, in effetti il tragico culmine di una aggressività montante che dal settembre 2006, attraverso vari atti di minacce, prevaricazioni ed aggressioni, giungeva alla "soluzione finale";

dd) l’imputato non era meritevole della concessione delle attenuanti generiche, a ciò ostandovi, la gravità dell’omicidio consumato – caratterizzato dalla presenza di più circostanze aggravanti e privo di "giustificazione" per ammissione dello stesso imputato, in quanto commesso a danno di un onesto lavoratore che aveva come unica "colpa"quella di avere accolto la figlia separata e di averla protetta dalle azioni aggressive del genero, e la negativa personalità del S., gravato da numerosi precedenti penali e persona sottoposta a sorveglianza speciale, infrangendo la quale, ha commesso i reati contestatigli, nonchè l’intensità del dolo, della quale è specchio la premeditazione del delitto, nessuna decisiva incidenza assumendo, in particolare, la tardiva confessione dell’Imputato, resa mediante spontanea dichiarazione solamente nel corso del giudizio di secondo grado ed in presenza di un quadro schiacciante che deponeva, malgrado i dinieghi dell’interessato, per la sicura responsabilità del reo, che anzi, le ultime parole pronunciale dal Salariano contro la consorte ("mio suocero non meritava questo. Se c’era qualcuno che doveva morire in quella fine era proprio lei"), consentivano di annotare criticamente come il soggetto, malgrado il tempo trascorso, non avesse ancora iniziato un positivo processo di rivisitazione dell’azione illecita compiuta.

2. – Ricorre per cassazione il S., col ministero del difensore di fiducia, avvocato Giuseppina Monastra, mediante atto recante la data del 23 luglio 2010, depositato l’11 giugno 2010, con il quale sviluppa due motivi d’impugnazione.

2.1 – Con il primo, il ricorrente dichiara di denunziare, à sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. d) ed e), l’illegittimità della decisione impugnata con riferimento agli artt. 88 e 89 e 133 cod. pen., deducendo, al riguardo, che dall’istruttoria dibattimentale è emerso che il S. al momento di commettere i fatti a lui contestati non era in grado d’intendere e di volere e che soltanto la totale assenza di lucidità per molti mesi e la totale assenza di ricordi precisi dei giorni della sua latitanza, antecedente all’omicidio, versando egli in una fase apicale di intossicazione sia alcolica che di stupefacenti, aveva impedito di prospettare una qualunque tesi difensiva, in ipotesi anche confessoria.

In particolare parte ricorrente, premesso il carattere assolutamente pacifico della circostanza in fatto che il S. risulta affetto da un grave disturbo di personalità, riconducibile nella specifica categoria diagnostica della personalità borderline, sostiene, per un verso, attraverso la trascrizione di alcuni significativi passaggi motivazionali della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9163 del 25 gennaio – 8 marzo 2005 (Rv.

230317, ric. Raso), che un siffatto disturbo, seppure non classificabile come una tipica malattia mentale, deve ritenersi senz’altro rilevante sul piano dell’imputabilità, e sotto altro profilo, facendo espresso riferimento alle classificazioni del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali dell’American Psychiatric Association (DSM-IV), che quello diagnosticato all’imputato è di per sè un disturbo grave, proprio perchè riconducibile ad un funzionamento della personalità borderline.

2.2 – Con il secondo motivo, il ricorrente dichiara di denunziare, à sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) – mancanza e manifesta illogicità della motivazione – l’illegittimità della decisione in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e conseguentemente del trattamento sanzionatorio, avendo i giudici di appello, in ragione di un aprioristico giudizio di colpevolezza, illogicamente svalutato le spontanee dichiarazioni dell’imputato nelle quali costui riconosceva la propria responsabilità, spiegando con dovizia di particolari tutto l’evolversi della vicenda così colmando qualsiasi dubbio e carenza investigativa e si mostrava sinceramente dispiaciuto per il grave gesto compiuto, senza considerare in alcun modo l’esacerbatissimo conflitto familiare in atto, valorizzando, di contro, il carattere premeditato dell’omicidio, in realtà insussistente, non essendo l’episodio omicidiario il primo in cui il S. aveva portato con sè un’arma.

2.3 – Con i motivi nuovi proposti con atto depositato il 26 novembre 2010, il ricorrente contesta diffusamente, infine, la sussistenza sia della aggravante della premeditazione, sia di quella dei futili motivi nonchè l’esclusione del vizio parziale di mente.

In particolare nel ricorso si evidenzia, quanto alla sussistenza della prima aggravante, che la decisione impugnata aveva incongruamente valorizzato degli elementi relativi esclusivamente alla fase esecutiva del fatto criminoso, e segnatamente la circostanza, desunta dalle riprese dell’impianto di videosorveglianza, che l’imputato aveva atteso per circa un’ora l’arrivo della vittima, senza considerare che la stessa risulta di per sè inidonea a dare contezza della sussistenza dei due requisiti, cronologico ed ideologico, pure necessari per la configurabilità della premeditazione, che va nettamente distinta, sul piano concettuale, dalla preordinazione, che concerne le modalità di esecuzione del disegno criminoso, sicchè, in tale prospettiva, il possesso dell’arma, l’attesa sul luogo del delitto e la successiva fuga, rappresentando elementi che attengono alla fase esecutiva dell’omicidio, devono ritenersi non decisivi per affermare la sussistenza dell’aggravante, e ciò a prescindere dall’assenza nell’impugnata sentenza di qualsiasi valutazione in ordine all’incidenza dello stato patologico in cui versava l’imputato al momento dell’insorgere del proposito omicidiario.

Quanto poi all’aggravante dei motivi futili, con i motivi nuovi si contesta il riferimento compiuto dai giudici di appello all’asserita sproporzione tra omicidio e movente, affermando al riguardo il ricorrente che appare illogico relegare nel novero dei motivi futili, quelli riconducibili alla crisi di un rapporto coniugale sfociata nella separazione; che ai fini del giudizio sulla futilità del motivo, deve comunque tenersi conto delle connotazioni culturali del soggetto giudicato, nonchè del contesto sociale in cui si è verificato il tragico evento. In relazione infine all’esclusione del vizio parziale di mente, da parte della difesa dell’imputato si ribadisce la infondatezza della tesi su cui si fonda la decisione impugnata, secondo il disturbo della personalità, non costituendo un vero e proprio stato patologico, non inciderebbe sulla capacità d’intendere e di volere, ricollegandosi la stessa a concezioni ormai superate, essendo ormai acclarato che il disturbo di personalità può rientrare nel concetto di "infermità", che deve ritenersi integrato anche da uno stato emotivo e passionale, dovuto alla stress conseguente alla crisi del rapporto coniugale, certamente in grado di determinare, come nel caso in esame, una compromissione della capacità di volere.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse di S.D. è basata su motivi infondati e va quindi rigettata.

La sentenza della Corte territoriale, motivata adeguatamente, resiste, infatti, a tutte le censure sviluppate in ricorso, che ripropongono, in definitiva, deduzioni difensive che i giudici di merito hanno disatteso con argomentazioni adeguate ed immuni da vizi logici o giuridici.

1.1. – Ed invero, con specifico riferimento alla decisione dei giudici di merito di escludere la configurabilità di un vizio di mente, sia totale che parziale, va qui ribadito il condivisibile principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui lo stabilire se l’imputato, riconosciuto affetto da infermità mentale, fosse al momento del fatto totalmente privo di capacità d’intendere e di volere ovvero avesse tale capacità, ma grandemente scemata, costituisce una questione di fatto la cui valutazione, mercè l’ausilio delle risultanze della perizia psichiatrica, compete esclusivamente al giudice di merito, il giudizio del quale si sottrae al sindacato di legittimità quante volte, anche con il solo richiamo alle condivise valutazioni e conclusioni delle perizie, divenute tuttavia consustanziali alla motivazione, risulti essere esaurientemente motivato, immune da vizi logici di ragionamento, garantito da una continua osservazione del soggetto, e conforme a corretti criteri scientifici di esame clinico e di valutazione (in termini Sez. 1, Sentenza n. 2883 del 24/1/1989, Rv. 180615 e più di recente Sez. 1, Sentenza n. 42996 del 21/10/2008, Rv. 241828);

principio questo, che non vi è ragione di disattendere nel caso in esame, ove si consideri che la Corte territoriale ha spiegato in modo esauriente le ragioni per cui le conclusioni formulate da ultimo nel l’espletata consulenza tecnica collegiale dovevano ritenersi affidabili e pienamente condivisibili, evidenziando a tal fine la estrema accuratezza e completezza della acquisita relazione, aderente pienamente all’anamnesi del soggetto e frutto di una attenta e diretta disamina della personalità del S..

Incongrue si rivelano, in particolare, le pur articolate argomentazioni difensive che, muovendo dalla nota sentenza n. 9163 del 25 gennaio 2005 delle Sezioni Unite – la quale ha stabilito, com’è noto, che anche i "disturbi della personalità", come quelli da nevrosi e da psicopatie, possono costituire causa idonea ad escludere o grandemente scemare, in via autonoma e specifica, la capacità di intendere e di volere del soggetto agente, ai fini degli artt. 88 e 89 c.p. – segnalano l’assoluta rilevanza che avrebbe dovuto assumere, nel presente giudizio, la diagnosi di personalità borderline formulata relativamente all’imputato, dovendo confermarsi anche in riferimento al presente giudizio, la validità del principio affermato, anche di recente, da questa Corte di legittimità (Sez. 6, Sentenza n. 43285 del 27/10/2009 dep. 12/11/2009, imp. Bolognini, Rv.

245253), secondo cui in tema di imputabilità, ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, i disturbi della personalità possono rientrare nel concetto di infermità, purchè siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere dell’autore del reato, e a condizione che sussista un nesso eziologico per effetto del quale il fatto di reato possa ritenersi causalmente determinato dal disturbo mentale»; eventualità queste, si ripete, i giudici del merito hanno motivatamente escluso con due decisioni sintoniche, le quali risultano significativamente convergere, del resto, con le valutazioni espresse da tutti i diversi consulenti tecnici di ufficio, investiti della questione.

1.2 Prive di fondamento devono ritenersi, altresì, le argomentazioni difensive, sviluppate nel ricorso e nella memoria contenente motivi nuovi, per denunciare l’illegittimità della sentenza impugnata, relativamente alla conferma di quella di primo grado con riferimento alla ritenuta sussistenza delle contestate aggravanti.

1.2.1. In particolare, quanto alle censure mosse con riferimento alla ritenuta sussistenza della contestata aggravante dei motivi futili, per apprezzarne la infondatezza è sufficiente rammentare che la giurisprudenza di questa Corte è univoca nel ritenere che il motivo è futile quando la spinta al reato manca di quel minimo di consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento accettabile sul piano logico con l’azione commessa, in guisa da risultare assolutamente sproporzionato all’entità del fatto e rappresentare, quindi, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto, un’occasione per l’agente di dare sfogo al suo impulso criminale (così, ex multis, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 719 del 3/02/1997, Rv. 206662), sicchè, nessun effettivo profilo di illegittimità può fondatamente ravvisarsi nella decisione impugnata, laddove i giudici di appello, con logica argomentazione, hanno valutato che l’aver il Ca. preso le difese della figlia al momento della separazione della stessa dal proprio coniuge, costituiva un motivo assolutamente sproporzionato rispetto alla gravità della condotta dell’imputato, così da destare riprovazione nella generalità dei consociati, specie ove si consideri che la proditoria aggressione di cui il S. si è reso autore, doveva considerarsi originata da un patologico e distorto rapporto di possesso rivendicato dall’imputato nei confronti della moglie e dei figli, asseritamente violato dal comportamento accondiscendente del suocero nei confronti della propria moglie.

1.2.2. Quanto poi alle deduzioni difensive in tema di premeditazione, a prescindere dalla loro irrilevanza sul piano del trattamento sanzionatorio una volta confermata la sussistenza dell’aggravante ex art. 61 cod. pen., n. 1, per apprezzarne l’infondatezza relativamente al merito, giova premettere che, secondo la giurisprudenza assolutamente consolidata di questa Corte, per la concretizzazione dell’aggravante di cui all’art. 577 c.p., comma 1, n. 3, occorrono la risoluzione criminosa effettuatasi da parte del reo in momento apprezzabilmente antecedente nel tempo a quello della commissione del reato, e la persistenza di detta decisione in maniera ferma ed irrevocabile nell’animo di costui; e cioè i cosiddetti elementi cronologico ed ideologico.

Ciò posto, è agevole rilevare che mentre le sintoniche argomentazioni svolte sul punto da entrambi i giudici di merito, si rivelano del tutto logiche e coerenti e pienamente aderenti alle risultanze processuali, avendo valorizzato dei fatti estrinseci di sicuro valore sintomatico, quali le pregresse minacce, formulate dall’imputato sin dal settembre 2006 (di cui si fa menzione a pag.

16, sia pure per illustrare il carattere violento e minaccioso dell’imputato), la consapevolezza dello stesso di avere con sè un mezzo idoneo (la pistola) da utilizzare per il delitto; l’aver atteso il suocero nei pressi del garage dove lo stesso si recava quotidianamente, prima di recarsi al lavoro, appostandosi per sorprenderlo al suo arrivo; l’apprezzabile lasso di tempo trascorso prima dell’esecuzione dell’omicidio, ritenuto certamente sufficiente per rimeditare il proposito criminoso, recedere da esso e fare dunque prevalere le ragioni di resipiscenza sul proposito, rimasto invece fermo, di sopprimere la vittima; le deduzioni svolte sul punto negli scritti difensivi, si risolvono, invece, in una apodittica contestazione del valore sintomatico dei menzionati fatti estrinseci in quanto afferenti prevalentemente alla fase esecutiva del reato, senza considerare che, ferma la distinzione concettuale tra premeditazione e preordinazione, questa Corte ha da tempo precisato come in tema di omicidio premeditato, il nesso tra elemento psicologico ed elemento cronologico può esistere anche se la preordinazione dei mezzi viene disposta all’ultimo momento (in termini Sez. 1, Sentenza n. 12787 del 5/12/1995, dep. 29/12/1995 ric. P.G. in proc. Longo, Rv. 203147).

1.2.3. – Ugualmente infondato deve ritenersi, infine, anche l’ultimo motivo di impugnazione relativo al diniego delle attenuanti generiche, ove si consideri il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (così ex multis Cass., sez. 2, sentenza n. 2285 dell’11/10/2004 – 25/1/2005, riv. 230691 ric. Alba ed altri); obbligo di motivazione che deve ritenersi certamente assolto nel caso in esame, avendo i giudici di appello ritenuto ostativa alla concessione delle attenuanti di cui trattasi, una pluralità di ragioni, tra cui la gravità del reato e la spiccata capacità a delinquere dell’imputato quale desumibile dai numerosi e gravi precedenti penali e dalla sua condizione di sorvegliato speciale.

2. Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc. pen. in ordine alla spese del presente procedimento, nonchè la condanna del ricorrente alla refusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, liquidate come In dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla refusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, liquidate nella somma complessiva di Euro 4000,00 (quattromila/00), di cui Euro 2500,00 (duemilacinquecento/00) oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, a favore dell’avvocato Giovanni Palermo e di Euro 1500,00 (millecinquecento/00) a favore dello Stato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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