Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-01-2011) 20-01-2011, n. 1573 Omicidio colposo nesso causale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

All’esito di rito abbreviato, con sentenza del 1.4.09 il GUP del Tribunale di Roma condannava S.A. per plurime rapine aggravate, lesioni personali aggravate, ricettazione ed omicidio colposo ai sensi del combinato disposto dell’art. 586 c.p. e art. 589 c.p., comma 1.

Con sentenza 29.1.10 la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, riconosciuto il concorso formale tra la rapina rubricata al capo F) e l’omicidio colposo ex art. 586 c.p. e art. 589 c.p., comma 1 di cui al capo G), rideterminava la pena complessiva a carico dell’imputato in anni 6 e mesi 6 di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, confermando nel resto.

Questi, in sintesi, i fatti come ricostruiti in sede di merito: nel commettere plurime rapine mediante la collaudata tecnica di somministrare alle vittime, con l’inganno, sostanze soporifere, lo S. si impossessava di denaro e oggetti vari sottratti ai soggetti passivi approfittando del loro stato di incoscienza. In una di questa rapine, perpetrata ai danni di una coppia di turisti presso la stazione ferroviaria di (OMISSIS) nella notte del (OMISSIS), P.F., cittadino (OMISSIS), di anni 75, risvegliatosi dopo il sonno indottogli dallo S., si era incamminato barcollando in stato confusionale lungo i binari, finendo con l’essere investito da un treno in corsa (donde l’imputazione di omicidio colposo, a carico dell’imputato, ai sensi dell’art. 586 c.p. e art. 589 c.p., comma 1).

Personalmente lo S. ricorreva contro la sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

a) l’impugnata sentenza aveva del tutto omesso di accertare la colpa in concreto del ricorrente in relazione al delitto di cui al capo G) della rubrica, essendosi limitata a ritenere sussistente il nesso causale e l’astratta prevedibilità dell’evento non voluto, senza alcuna valutazione ex ante di prevedibilità soggettiva ed evitabilità dell’evento in base al comportamento che sarebbe stato tenuto da un omologo agente modello nella reale situazione di fatto, ancor più tenendo presente che, proprio alla stregua di quanto asserito in sentenza, lo S. aveva "collaudato" la propria tecnica di rapina, in precedenza posta in essere ai danni di altri soggetti passivi senza cagionare alcun decesso prima di allora;

d’altronde, secondo le stesse dichiarazioni della vedova, il P. godeva di ottima salute e nulla lasciava supporre una qualche conseguenza irreversibile per effetto dell’azione del farmaco soporifero somministratogli dallo S., per di più a circa sette ore di distanza, di guisa che nella specie poteva parlarsi di evento determinatosi a seguito di un decorso causale atipico;

b) l’omesso accertamento dell’elemento psicologico del reato concretizzava anche un vizio di motivazione della gravata pronuncia;

inoltre, la ct. medico-legale non aveva neppure accertato il nesso causale fra la somministrazione dolosa dello psicofarmaco e il decesso, mentre quella tossicologica, in un eccesso di zelo ed invadendo il campo delle cognizioni medico-legali, aveva precisato che le indagini erano state effettuate solo su campione ematico prelevato in sede encefalica, in quanto le condizioni del cadavere (dilaniato dal treno in corsa) non avevano consentito di repertare altri campioni biologici quali il contenuto gastrico; ad ogni modo, eventuali perplessità si sarebbero potute superare con una perizia, che la Corte territoriale aveva illogicamente omesso di disporre, preferendo basarsi sulle mere supposizioni avanzate da uno solo dei due consulenti tecnici officiati, trascurando le ipotesi avanzate nell’atto d’appello, come una non inverosimile interazione fra la sostanza soporifera e i farmaci antipertensivi che assumeva la vittima o, ancora, un malore insorto autonomamente, data l’età e le patologie di cui soffriva.

1- I due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente perchè fra loro connessi, sono infondati.

In primo luogo va chiarito che il non aver disposto la Corte territoriale una perizia sul nesso causale tra la condotta dello S. e l’evento addebitatogli ex art. 586 c.p. costituisce censura incompatibile con la celebrazione del processo de quo con rito abbreviato.

Infatti, fin dal celebre arret delle Sezioni Unite n. 930 del 13.12.95, dep. 29.1.96, rv. 203427, Clarke (seguito da uniforme giurisprudenza, fra cui – ad es. – Cass. Sez. 1^ n. 7246 del 5.3.99, dep. 8.6.99, rv. 213702, Brollo), questa Corte Suprema ha statuito che "Nel processo celebrato con la forma del rito abbreviato al giudice di appello è consentito, a differenza che al giudice di primo grado, disporre d’ufficio i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari per l’accertamento dei fatti che formano oggetto della decisione, secondo il disposto dell’art. 603 c.p.p., comma 3; in tale fase, peraltro, non può configurarsi alcun potere di iniziativa delle parti in ordine all’assunzione delle prove in quanto, prestando il consenso all’adozione del rito abbreviato, esse hanno definitivamente rinunciato al diritto alla prova".

Di conseguenza, non può ora il ricorrente lamentare un mancato approfondimento istruttorio.

Si premetta ancora che, per costante insegnamento giurisprudenziale di questa Corte Suprema, cui va data continuità, ai fini dell’applicabilità dell’art. 586 c.p. è necessario, oltre al legame eziologico, che l’evento non voluto (morte della vittima di una rapina, nel caso di specie) sia conseguenza prevedibile del delitto base (cfr, ad es., Cass. Sez. 5^ n. 1795 del 6.7.06, dep. 22.1.07), ovvero è necessario che sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta del delitto base) accompagnata da prevedibilità ed evitabilità dell’evento, da valutarsi alla stregua dell’agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale (in tal senso v. altresì, sia pure in relazione al diverso caso specifico di morte dell’assuntore di sostanza stupefacente imputabile alla responsabilità del cedente, Cass. S.U. n. 22676 del 22.1.09, dep. 29.5.09).

A sua volta il nesso eziologico non deve necessariamente essere provato (solo) da indagini di tipo tecnico-peritale, soprattutto allorquando la loro completezza – e, quindi, affidabilità – risulti già in partenza compromessa dall’impossibilità di idonei reperti:

nel caso di specie sia l’impugnata sentenza che il ricorso danno atto che le condizioni del cadavere della vittima (dilaniato dall’impatto con un treno in corsa) non erano tali da consentire reperti in sede gastrica, ma solo in sede encefalica.

La ritenuta non esaustività, per tale ragione, dell’indagine dei consulenti tecnici costituisce motivato apprezzamento in punto di fatto eseguito dai giudici del merito, non censurabile mediante ricorso per cassazione.

Inoltre, la gravata pronuncia afferma che nel sangue della moglie della vittima sono state rinvenute – appunto – tracce di sostanze soporifere e che le modalità dell’azione dello S. erano tali da dover necessariamente porre in stato di incoscienza entrambi i predetti coniugi.

D’altronde, neppure il ricorrente nega di aver somministrato ai soggetti passivi le sostanze de quibus, di guisa che l’accertamento della presenza di tracce di sostanze soporifere anche nel sangue della vittima è, in realtà, un falso problema alla stregua dei logici rilievi opposti dall’impugnata sentenza e della constatazione che neppure l’odierno ricorrente nega di aver somministrato al P. le sostanze soporifere di cui al capo di imputazione.

Dunque, partendo da tale dato pacifico, il problema diviene diverso, ovvero di accertamento del nesso causale tra la dolosa somministrazione della sostanza soporifera (in cui si è concretata la condotta delittuosa posta in essere dall’odierno ricorrente nella consapevole volontà di porre in essere una rapina ai danni della coppia di turisti stranieri) e il decesso della vittima che, subito dopo aver ripreso coscienza, in preda a stordimento e vertigini si è allontanato barcollando, incamminandosi poi lungo i binari senza rendersi conto del sopraggiungere di un treno quantunque i macchinisti avessero azionato i dispositivi di frenata rapida e i segnali acustici per evitare l’impatto.

Tale contegno, sempre ad avviso dei giudici del merito, non era ascrivibile a preesistenti menomazioni psicofisiche (negate dalla moglie della vittima) o a velleità autolesionistiche (di cui nessuno ha parlato, risultando, anzi, nella motivazione dell’impugnata sentenza che la vittima era persona piena di vita ed in viaggio di piacere con la moglie), di guisa che detto comportamento è stato eziologicamente ricondotto, con motivazione immune da vizi logico- giuridici, allo stordimento residuato alle sostanze soporifere somministrategli dallo S. con la dolosa offerta di un cappuccino.

E’ noto in dottrina e giurisprudenza che in tema di accertamento della causalità commissiva si procede, nel quadro di riferimento della teoria condizionalistica accolta dall’art. 41 c.p., secondo il metodo cd. dell’eliminazione mentale, in forza del quale si considera causa (o concausa) dell’evento dannoso quella che non si potrebbe eliminare mentalmente senza, nel contempo, escludere il verificarsi dell’evento dannoso.

L’impugnata sentenza ha concluso che, senza i postumi dei farmaci soporiferi di cui al capo di imputazione, il P. non avrebbe mai agito in maniera tanto sconsiderata.

In sostanza, in un’ipotesi di causalità commissiva come quella in esame, i giudici del merito, una volta accertata la dolosa somministrazione di sostanze soporifere ad opera dello S., hanno correttamente proceduto dapprima con il verificare se il contegno della vittima potesse essere ricollegabile a differente ed autonoma serie causale (tale sarebbe stata la preesistenza di particolari patologie tali da influire ex se sul normale stato di vigilanza della vittima, anche senza la somministrazione delle sostanze de quibus), poi con il dare atto che l’evento lesivo (morte per l’impatto con un treno in corsa) non si sarebbe potuto verificare se la vittima, mantenendo il controllo delle proprie normali facoltà di controllo e di discernimento, non si fosse incamminato senza motivo apparente lungo i binari ignorando il sopraggiungere del treno nonostante la rapida frenata e i segnali acustici azionati dai macchinisti.

Le stesse osservazioni svolte in ricorso circa il carattere non letale del sovradosaggio dei somministrati benzodiazepinici (a differenza di quanto accade per i barbiturici), idoneo a provocare al risveglio solo torpore, afasia, confusione mentale e simili, confermano che nel caso di specie il decorso causale non è stato affatto atipico: il P. (sul punto l’impugnata sentenza richiama le dichiarazioni della moglie) ha accusato – appunto – stordimento e confusione mentale, tanto da camminare barcollando e da non accorgersi di procedere sui binari nè del sopraggiungere di un treno. A questo punto, l’investimento è stato del tutto coerente con lo sviluppo causale in atto, giacchè ci si trovava all’interno di una stazione, di notte (al momento della somministrazione dei soporiferi) e, poi, alle prime luce dell’alba (al momento del risveglio e dell’incidente).

In altre parole, se è vero che l’azione (somministrazione di psicofarmaci benzodiazepinici) non era tipicamente idonea a cagionare l’evento in astratto, lo era in concreto nel particolare contesto di svolgimento della condotta, vale a dire di notte, in una stazione ferroviaria, ai danni di una persona anziana.

La congettura (avanzata dall’odierno ricorrente) d’un malore autonomamente insorto nella vittima costituisce soltanto un’ipotesi alternativa, come tale non spendibile ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), noto essendo che, affinchè sia ravvisabile una manifesta illogicità argomentativa denunciabile per cassazione, non basta rappresentare la mera possibilità di un’ipotesi alternativa rispetto a quella ritenuta in sentenza (a riguardo la giurisprudenza di questa S.C. è antica e consolidata: cfr. Cass. Sez. 1^ n. 12496 del 21.9.99, dep. 4.11.99; Cass. Sez. 1^ n. 1685 del 19.3.98, dep. 4.5.98; Cass. Sez. 1^ n. 7252 del 17.3.99, dep. 8.6.99; Cass. Sez. 1^ n. 13528 dell’11.11.98, dep. 22.12.98; Cass. Sez. 1^ n. 5285 del 23.3.98, dep. 6.5.98; Cass. S.U. n. 6402 del 30.4.97, dep. 2.7.97;

Cass. S.U. n. 16 del 19.6.96, dep. 22.10.96; Cass. Sez. 1^ n. 1213 del 17.1.84, dep. 11.2.84 e numerosissime altre).

Nè giova al ricorrente l’ulteriore supposizione – espressa nel motivo di doglianza che precede sub b) – di una non inverosimile interazione fra la sostanza soporifera e i farmaci antipertensivi che assumeva il soggetto passivo, poichè essa, lungi dall’escludere il nesso causale, dimostrerebbe – anzi – proprio l’efficienza concausale (sufficiente ai fini dell’art. 41 c.p.) delle sostanze soporifere somministrate dallo S..

In breve, la gravata pronuncia ha, con motivazione immune da censure, accertato il nesso causale tra condotta ed evento (morte) diverso da quello voluto, come conseguenza d’un delitto doloso (rapina).

Resta da verificare il coefficiente colposo necessario ai fini dell’applicabilità dell’art. 586 c.p., consistente – come sopra si è anticipato – nella violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta del delitto base) e nella prevedibilità ed evitabilità dell’evento, da valutarsi alla stregua dell’agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale.

Si premetta che, versandosi in tema di doppia conforme quanto all’affermazione di penale responsabilità dello S. per il delitto sub G) della rubrica, le motivazioni delle due sentenze di merito vanno ad integrarsi reciprocamente, saldandosi in un unico complesso argomentativo (cfr. Cass. Sez. 2^ n. 5606 del 10.1.2007, dep. 8.2.2007; Cass. Sez. 1^ n. 8868 del 26.6.2000, dep. 8.8.2000; v. altresì, nello stesso senso, le sentenze n. 10163/02, rv. 221116; n. 8868/2000, rv. 216906; n. 2136/99, rv. 213766; n. 5112/94, rv.

198487; n. 4700/94, rv. 197497; n. 4562/94, rv. 197335 e numerose altre).

Ciò detto, non risponde al vero che i giudici del merito non abbiano valutato la colpa in concreto dell’odierno ricorrente: anzi, con motivazione congrua ed immune da censure, hanno fatto leva su circostanze fattuali ben conosciute dal soggetto agente, vale a dire l’età avanzata della vittima ed il contesto topico-temporale dell’azione (una stazione ferroviaria, di notte) per desumere che era anche soggettivamente prevedibile che un uomo di 75 anni, assumendo sostanze soporifere (di rapido effetto, visto che la coppia si era addormentata nell’arco di un quarto d’ora, come poi riferito dalla moglie), potesse accusare al risveglio un malore o uno stordimento (per la qualità delle sostanze e/o la loro possibile interazione con farmaci propri dell’età) tali da non renderlo in grado di percepire il pericolo insito nella vicinanza di binari e nel transito dei treni proprio di una stazione ferroviaria.

2- Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente alle spese processuali, ma non anche quella al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile B., in quanto offesa e danneggiata da reati – rubricati sub D) e sub E) dell’editto accusatorio – diversi da quelli devoluti a questa S.C. per effetto del ricorso in esame, per i quali, dunque, si era già formato il giudicato.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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