Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-01-2011) 20-01-2011, n. 1570

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza 1.2.2010 la Corte d’Appello di Roma confermava la condanna emessa il 14.7.09 dal Tribunale della stessa sede nei confronti di K.V. per i delitti di tentata rapina impropria, lesioni personali aggravate e resistenza a pubblici ufficiali, con la recidiva reiterata infraquinquennale.

Tramite il proprio difensore K.V. ricorreva contro la sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

a) errata qualificazione giuridica del reato di cui al capo A) dell’editto accusatorio, che si sarebbe dovuto qualificare come tentato furto, dovendosi escludere la tentata rapina impropria in caso di mancata sottrazione della cosa (merci in un negozio), come nel caso di specie; b) violazione dell’art. 133 c.p. laddove i giudici avevano negato le attenuanti generiche a cagione dei precedenti penali del ricorrente, trascurando la resipiscenza dimostrata dal K., le sue precarie condizioni economiche e l’aver messo a disposizione delle parti offese la somma di Euro 1.000,00; inoltre, con il riferimento ai precedenti penali i giudici del gravame avevano determinato un duplice aggravamento della pena vista la già contestata recidiva.

1- Il motivo che precede sub a) è infondato.

Ritiene infatti questa S.C. di aderire alla giurisprudenza – largamente maggioritaria (v., da ultimo, Cass. Sez. 2^ n. 22661 del 19.5.10, dep. 14.6.10, rv. 247431, Tushe; Cass. Sez. 2^ n. 23610 del 12.3.10, dep. 18.6.10, rv. 247292, Russomanno; Cass. Sez. 2^ n. 3769 del 16.12.08, dep. 27.1.09, rv. 242558, Solimeo) – secondo cui è configurabile il tentativo di rapina ed. impropria anche in assenza dell’elemento dell’avvenuta sottrazione della cosa, giacchè il capoverso dell’art. 628 c.p., dove è descritta la fattispecie del reato consumato, si integra necessariamente con la norma generale di cui all’art. 56 c.p., di guisa che non può escludersi che l’una o l’altra delle figure criminose unificate nella norma (il furto e la violenza o minaccia: cfr., ad es., Cass. Sez. 1^ n. 5189 del 18.3.96, dep. 25.5.96, rv 204666, Semeraro ed altro) possa presentarsi in astratto nella forma del tentativo e che non sia correlabile al fine specifico di assicurare al reo, o ad altri, se non il possesso della cosa, l’impunità della condotta. In altri termini, l’azione diretta alla sottrazione del bene, anche se incompiuta, assorbe, come nel reato consumato, l’azione violenta, strumentale alla sottrazione, ma non all’evento dell’impossessamento, perchè questo è previsto in alternativa, nella norma, al fine dell’impunità (Cass. 49213/2003, cfr. anche Cass. n. 47086/2003; n. 32445/2001).

2- La censura che precede sub b) è manifestamente infondata, noto essendo in giurisprudenza (della qual cosa lo stesso ricorrente si dimostra consapevole) che ai fini della determinazione della pena e dell’applicabilità delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p. non è necessario che il giudice, nel riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., li esamini tutti, essendo invece sufficiente che specifichi a quale di essi ha inteso fare riferimento. Ne consegue che con il rinvio ai precedenti penali dell’imputato, indice concreto della personalità del reo, l’impugnata sentenza ha adempiuto l’obbligo di motivare sul punto (cfr. ad esempio Cass. Sez. 1^ n. 707 del 13.11.97, dep. 21.2.98;

Cass. Sez. 1^ n. 8677 del 6.12.2000, dep. 28.2.2001 e numerose altre).

Le contrarie argomentazioni che cercano di far leva sull’asserita resipiscenza del K., le sue precarie condizioni economiche e sull’aver messo a disposizione delle parti offese la somma di Euro 1.000,00 scivolano sul piano del mero apprezzamento di merito, precluso in sede di legittimità.

Del pari da disattendersi è la doglianza sotto il profilo dell’asserita duplice valenza sanzionatoria attribuita ai precedenti penali, atteso che il diniego delle attenuanti generiche, anzichè aggravare la pena, serve soltanto ad escludere un possibile beneficio; infine, nulla vieta che una medesima circostanza di fatto possa essere presa in considerazione a plurimi fini.

3- Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente alle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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