Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-12-2010) 20-01-2011, n. 1569 Competenza per territorio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 15 ottobre 2009, la Corte di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, confermava la sentenza del Gup presso il Tribunale di Tempio Pausania, in data 7/12/2004, che aveva condannato B.C. alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, G.O., M.G. e T. P. alla pena di anni due e mesi sei reclusione, oltre al risarcimento dei danni nei confronti delle costituite parti civili per i reati di associazione per delinquere, sostituzione di persona ed innumerevoli truffe, la maggior parte delle quali aggravate per il danno patrimoniale di rilevante entità.

La Corte territoriale respingeva tutte le censure mosse con gli atti d’appello, sia in rito che nel merito e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità degli imputati in ordine ai reati a loro concorsualmente ascritti, ed equa la pena inflitta.

Avverso tale sentenza propongono ricorso con due atti separati, B.C., G.O. e M.G. per mezzo del comune difensore di fiducia, e T.P. per mezzo del difensore di fiducia.

B.C., G.O. e M.G..

Sollevano quattro motivi di gravame.

Con il primo motivo deducono inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità con riferimento al momento determinativo della competenza per territorio riguardo al reato di ricettazione originariamente contestato, nonchè con riferimento alla individuazione del luogo di commissione del reato di associazione per delinquere. Al riguardo si dolgono del mancato accoglimento dell’eccezione di incompetenza territoriale con riferimento all’imputazione di ricettazione originariamente contestata, reato più grave che attraeva la competenza di tutti gli altri reati connessi. In particolare ripropongono le doglianze già sollevate con i motivi d’appello, obiettando che la diversa qualificazione del fatto (come falso in certificazione amministrativa, anzichè come ricettazione) operata dal Gup non poteva incidere sulla questione preliminare di competenza territoriale e che la Corte territoriale ha errato nel considerare accertato ad Olbia il fatto contestato come ricettazione in quanto la prima volta che la B. si era servita della carta di identità falsa era stato presso l’agenzia delle entrate di Montichiari, al fine di ottenere l’attribuzione del numero della partita IVA. In via subordinata deducono l’incompetenza territoriale, con riferimento al reato di cui all’art. 416 c.p. eccependo che l’accordo criminoso era avvenuto presso l’abitazione della B. e del marito G. in (OMISSIS).

Con il secondo motivo deducono inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità per violazione del principio di correlazione fra l’imputazione contestata e la sentenza, con riferimento alla condanna degli imputati per il reato di cui all’art. 416 c.p., comma 1, laddove il capo di imputazione (di cui al capo z) riguardava il reato di cui all’art. 416 c.p., comma 2. Al riguardo ripropongono l’eccezione già sollevata con i motivi d’appello, obiettando che il P.M. aveva contestato a tutti gli imputati il reato di partecipazione ad una associazione per delinquere, mentre i giudici di merito hanno dichiarato tutti gli imputati colpevoli del reato di aver costituito, promosse e diretto l’associazione per delinquere.

Con il terzo motivo deducono erronea applicazione della legge penale nella parte in cui la Corte ha ravvisato gli elementi costitutivi del reato di associazione per delinquere anzichè del concorso eventuale di persone nei reati di truffa e falso.

Con il quarto motivo deducono la contraddittorietà ed illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta esistenza del vincolo associativo fra gli imputati. In particolare contestano le considerazioni sviluppate nella motivazione con riferimento agli stretti e continui legami esistenti fra gli imputati, all’attività degli imputati successiva all’ultima delle truffe realizzate, al ravvisato vincolo delle continuazione fra tutti i reati contestati, alle condotte contestate agli imputati come descritte al capo A) dell’imputazione.

T.P..

Solleva tre motivi di gravame con i quali deduce:

1) Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità con riferimento alla determinazione della competenza per territorio riguardo al reato di associazione per delinquere. Al riguardo eccepisce che l’inizio dell’attività delittuosa è avvenuto con l’apertura di una partita IVA, a nome della ditta "Costa casa di Berni Antonella", rilasciata dalla Agenzia delle Entrate di Montichiari (BS), per cui la competenza territoriale a giudicare dell’associazione e degli altri reati connessi spettava al Tribunale di Brescia, anzichè di Tempio Pausania;

2) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale nella parte in cui la Corte ha ravvisato gli elementi costitutivi del reato di associazione per delinquere anzichè del concorso eventuale di persone nei reati di truffa e falso, nonchè nella parte in cui ha applicato al T. il reato di cui all’art. 416, comma 1, anzichè art. 416 c.p., comma 2;

3) Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alle questioni dedotte con il motivo secondo.

Motivi della decisione

Entrambi i ricorsi sono inammissibili in quanto basati su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.

B.C., G.O. e M.G..

Le eccezioni di incompetenza territoriale sollevate con il primo motivo di ricorso ripongono le analoghe questioni già sollevate con i motivi d’appello e respinte dalla Corte territoriale con motivazione congrua e priva di vizi logico-giuridici. Per quanto riguarda l’eccezione di incompetenza territoriale con riferimento all’imputazione di ricettazione originariamente contestata è assorbente il rilievo che la posizione processuale della B., relativamente a tale imputazione, sia pure diversamente qualificato il fatto sotto il profilo giuridico dal Gup, è stata separata e pertanto non è oggetto del presente giudizio. Di conseguenza non è possibile concepire che la competenza territoriale dei reati per i quali si procede sia attratta da un fatto reato giudicato separatamente.

Per quanto riguarda la determinazione della competenza territoriale, occorre fare riferimento al luogo di commissione del reato di associazione.

Secondo l’insegnamento di questa Corte:

"Il delitto di associazione per delinquere, reato di natura permanente, si consuma nel momento e nel luogo di costituzione del vincolo associativo diretto allo scopo comune; ove difetti la prova relativa al luogo e al momento della costituzione della associazione, soccorre il criterio sussidiario e presuntivo del luogo del primo reato commesso o, comunque, del primo atto diretto a commettere i delitti programmati; ove non sia possibile ancora determinare la competenza per territorio secondo le regole innanzi descritte, è decisivo il luogo ove fu eseguito l’arresto, emesso un mandato o decreto di citazione ovvero il luogo in cui fu compiuto il primo atto del procedimento" (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 35229 del 07/06/2005 Cc. (dep. 30/09/2005) Rv. 232081).

E’ stato quindi osservato che: "La competenza territoriale per il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti si radica nel luogo in cui si è realizzata l’operatività della struttura criminosa, assumendo rilevanza il luogo di commissione dei singoli delitti commessi in attuazione del programma criminoso nel caso in cui, per numero e consistenza, essi rivelino il luogo di operatività dell’associazione" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4104 del 08/10/2009 Ud. (dep. 01/02/2010) Rv. 246064).

Nella fattispecie la Corte territoriale ha rilevato (con un accertamento in fatto che non è censurabile in questa sede) che il sodalizio criminoso si era costituito in (OMISSIS), mentre l’operatività della struttura criminosa si era verificata in Olbia.

Entrambi i criteri individuati confermano la competenza territoriale del Tribunale di Tempio Pausania, essendo irrilevante, pertanto, se alcuni atti preparatori siano stati compiuti altrove.

Anche l’eccezione di mancata correlazione fra l’imputazione contestata, con riferimento al reato di cui all’art. 416 c.p., e la sentenza, dedotta con il secondo motivo di ricorso, ripropone l’analoga questione già sollevata con i motivi d’appello che la Corte territoriale ha respinto con motivazione congrua e priva di vizi logico-giuridici.

Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte:

"In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010 Ud. (dep. 13/10/2010) Rv. 248051).

Nel caso di specie non può dubitarsi che gli imputati si siano trovati nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione. Al riguardo è sufficiente rilevare che nella contestazione, anche se non si fa espresso riferimento all’art. 416 c.p., comma 1 tuttavia viene descritta una condotta (associarsi allo scopo di commettere più delitti) che imputa ai prevenuti di aver costituito l’associazione criminosa in questione. Questo è il fatto reato oggetto della contestazione rispetto al quale gli imputati hanno potuto espletare ogni possibilità di difesa nel corso del dibattimento.

Per quanto riguarda il terzo e quarto motivo, le censure sollevate attengono alla sussistenza dei presupposti del reato di associazione e la configurabilità della responsabilità dei prevenuti.

Tali censure postulano, al di là dei vizi formalmente denunciati, una rivalutazione di merito di risultanze processuali già esaurientemente e coerentemente esaminate dalla sentenza impugnata nella operata ricostruzione dei fatti e nella puntuale indicazione degli elementi confermativi dell’accusa formulata e risultano destituite di fondamento. In particolare la sentenza impugnata ha correttamente individuato, nella fattispecie, gli elementi costitutivi del delitto di associazione per delinquere e che distinguono l’associazione dal semplice concorso di persone nella commissione di più reati, con motivazione precisa, congrua e priva di vizi logico-giurdici.

E’ il caso di aggiungere che la sentenza di secondo grado va necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, pronunciata in prime curo, derivandone che i giudici di merito hanno spiegato, in maniera adeguata e logica, le risultanze confluenti nella certezza del pieno coinvolgimento degli imputati nella commissione dei reati ritenuti a loro carico.

T.P..

Per quanto riguarda il primo motivo, in punto di incompetenza territoriale, l’eccezione deve essere respinta sulla base delle considerazioni già svolte rispetto all’analoga eccezione svolta dagli altri ricorrenti.

Per quanto riguarda il secondo ed il terzo motivo, le censure riguardano la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di associazione e la responsabilità del prevenuto. Anche tali motivi risultano manifestamente infondati e devono essere respinti sulla base delle considerazioni rispetto alle analoghe eccezioni svolte dagli altri ricorrenti.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille/00) ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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