Corte Costituzionale, Sentenza n. 107 del 2012, Sull’indennizzo per i danni subiti a cuasa della sottoposizione a vaccini non obbligatori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 18 del 2-5-2012

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 1, comma 1,
della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei
soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di
vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di
emoderivati), promosso dal Tribunale ordinario di Ancona, nel
procedimento vertente tra C. P. e L. E., nella qualita’ di genitori
di L.G., e il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche
sociali e la Regione Marche, con ordinanza del 21 dicembre 2010,
iscritta al n. 214 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale,
dell’anno 2011.
Udito nella camera di consiglio del 7 marzo 2012 il Giudice
relatore Paolo Grossi.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza del 21 dicembre 2010, il Tribunale ordinario di
Ancona ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3 e 32 della
Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo
1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore
dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa
di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di
emoderivati), «nella parte in cui non prevede che il diritto
all’indennizzo, istituito e regolato dalla stessa legge ed alle
condizioni ivi previste, spetti anche ai soggetti che abbiano subito
lesioni e/o infermita’, da cui siano derivati danni irreversibili
all’integrita’ psico-fisica, per essersi sottoposti a vaccinazione,
non obbligatoria ma raccomandata, contro il morbillo, la rosolia e la
parotite».
Premette il giudice a quo di essere stato investito, quale
giudice del lavoro, da un ricorso − per ottenere l’indennizzo
previsto dalla disposizione denunciata − proposto dai genitori di una
minore la quale, a seguito di vaccinazione contro morbillo, rosolia e
parotite (MPR; vaccino "Morupar", poi ritirato dal commercio, appena
pochi giorni dopo la somministrazione, nella vicenda di cui e’
causa), aveva riportato − secondo quanto accertato all’esito di
C.T.U. − una necrolisi epidermica tossica con trombosi venosa della
femorale iliaca sx, con postumi («esiti di intervento di drenaggio di
ascesso in fossa iliaca – regione inguinale sx in quadro di infezione
delle pelvi con linfadenite reattiva secondaria ad artrite settica
con persistenza di ostruzione della vena femorale comune ed iliaca,
estrinsecantesi con edema dell’arto inferiore sx rispetto al
controlaterale dx con plus di cm 2 alla coscia alla sura che si
estende al piede») ritenuti ascrivibili alla VII categoria della
tabella A annessa al decreto del Presidente della Repubblica 30
dicembre 1981, n. 834 (Definitivo riordinamento delle pensioni di
guerra, in attuazione della delega prevista dall’art. 1 della legge
23 settembre 1981, n. 533).
Rileva, al riguardo, il giudice rimettente che la domanda
proposta dalla parte ricorrente non puo’ trovare accoglimento alla
luce del quadro normativo vigente, dal momento che, pur tenendo conto
delle decisioni di illegittimita’ costituzionale di cui alle sentenze
n. 27 del 1998 e n. 423 del 2000 − con le quali venne esteso il
diritto all’indennizzo per quanti si fossero sottoposti a
vaccinazione antipolio o contro l’epatite B nel periodo antecedente a
quello in cui tali vaccinazioni, pur se gia’ raccomandate, erano
divenute obbligatorie −, i relativi dicta non possono trovare
applicazione nel caso di specie. Tali sentenze, infatti, integrano
ipotesi di pronunce additive per omissione (e non additive di
principio) che operano soltanto entro gli stretti confini
dell’oggetto specifico individuato dal relativo dispositivo: dunque,
con effetti circoscritti alle sole previsioni delle vaccinazioni
antipolio e antiepatite di tipo B. Da qui l’esigenza di sollevare, in
riferimento all’ipotesi di specie, il relativo dubbio di legittimita’
costituzionale, non essendo praticabile una interpretazione
adeguatrice nei sensi auspicati dalla parte ricorrente, anche se in
tal senso si sono espresse alcune pronunce di merito. Approdo
ermeneutico, quest’ultimo, peraltro contrastato dalla giurisprudenza
di legittimita’, la quale, evocando la natura assistenziale del
beneficio in parola, quale forma di solidarieta’ sociale, impone una
applicazione rigorosa della norma stessa.
Al riguardo, il giudice a quo sottolinea come la legge n. 210 del
1992 abbia introdotto una tutela in chiave solidaristica in favore di
soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni o
somministrazioni di emoderivati o a seguito di attivita’ di cura
promosse o gestite dallo Stato per la tutela della salute pubblica,
in ossequio ai principi tracciati da questa Corte nella sentenza n.
307 del 1990, ove si e’ evidenziata l’esigenza del necessario
bilanciamento tra il valore individuale della salute e la
solidarieta’ tra individuo e collettivita’, che sarebbe alla base del
trattamento obbligatorio. Pertanto, «in difetto di una prestazione
indennitaria, il soggetto danneggiato sarebbe costretto a sopportare,
da solo, tutte le conseguenze negative di un trattamento sanitario
effettuato non solo nell’interesse dell’individuo, ma anche
dell’intera societa’». In tale alveo si collocano, dunque, le
ricordate pronunce di questa Corte (n. 27 del 1998 e 423 del 2000), a
fondamento delle quali – come ricorda il rimettente – fu posto il
rilievo secondo cui differenziare il trattamento tra quanti hanno
subito la vaccinazione per imposizione di legge e quanti vi si sono
sottoposti aderendo ad un appello alla collaborazione ad un programma
sanitario, «si risolverebbe in una patente irrazionalita’ della
legge. Essa riserverebbe, infatti, a coloro che sono stati indotti a
tenere un comportamento di utilita’ generale per ragioni di
solidarieta’ sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che
vale a favore di quanti hanno agito in forza della minaccia di una
sanzione».
A proposito della rilevanza della questione, il giudice
rimettente osserva come risulti nella specie accertata − e comunque
non contestata ex adverso − la sussistenza del nesso di causalita’
tra la vaccinazione praticata alla figlia dei ricorrenti e i danni
alla integrita’ fisica della stessa; cosi’ come ugualmente
documentata e non controversa appare la circostanza che la
vaccinazione contro morbillo-parotite-rosolia abbia formato oggetto
di una intensa campagna di sensibilizzazione, come attestato dalle
circolari ministeriali e dai vari atti amministrativi analiticamente
passati in rassegna dal giudice rimettente. La domanda di indennizzo,
infine, e’ stata presentata entro i termini di legge.
Sulla non manifesta infondatezza della questione, il giudice
rimettente puntualizza come la funzione della legge n. 210 del 1992
debba essere ricercata essenzialmente nella esigenza di dare
attuazione a diritti inviolabili dell’uomo sanciti dalla Carta
fondamentale: segnatamente, dall’art. 2, in riferimento al
diritto-dovere di solidarieta’ sociale; dall’art. 3, sotto il profilo
del riconoscimento a tutti di pari opportunita’; dall’art. 32, che
tutela il diritto alla salute. Rievocati, poi, i principi che hanno
costituito il nucleo delle predette sentenze n. 27 del 1998 e n. 423
del 2000, il rimettente sottolinea come la giurisprudenza
costituzionale − viene richiamata, in particolare, la sentenza n. 226
del 2000 − si e’ attestata nel reputare che la «ragione
giustificativa dell’indennizzo debba rinvenirsi nella tutela
dell’interesse alla promozione della salute collettiva – che puo’
venire assunto ad oggetto di un obbligo legale o di una pubblica
politica di diffusione – e non gia’ e non tanto nell’obbligatorieta’
in quanto tale del trattamento, che costituisce mero strumento per il
perseguimento di siffatto interesse generale».
L’indennizzo previsto dalla normativa censurata presenterebbe,
dunque, una ratio correlata alla esigenza di attribuire al
solidaristico intervento della collettivita’ l’approntamento di
rimedi a fronte dei danni subiti dall’individuo per sottoporsi ad un
trattamento sanitario rivelatosi dannoso e praticato a beneficio
della stessa collettivita’. Nel conflitto tra interesse individuale
del singolo alla tutela della sua salute e tutela dell’interesse
collettivo della salute come bene della comunita’, il principio di
solidarieta’, se, da un lato, puo’ far prevalere l’interesse
collettivo su quello individuale, dall’altro lato «impone di
prevedere una riparazione adeguata per quanti abbiano ricevuto un
danno alla salute nell’adempiere i medesimi doveri di solidarieta’
che fondano il diritto all’indennizzo». Tale riparazione si
imporrebbe, dunque, anche nell’ipotesi di vaccinazione non
obbligatoria, ma «ampiamente caldeggiata dalle istituzioni
sanitarie», giacche’, altrimenti, «si finirebbe con il sacrificare il
contenuto minimo del diritto alla salute di quanti sono stati indotti
alla vaccinazione da ragioni di solidarieta’ sociale».
Nel caso di specie, il giudice a quo sottolinea come i ricorrenti
si siano determinati alla vaccinazione «per la tutela della salute
non solo della figlia, ma anche di quella altrui, in rapporto
all’elevato rischio di contagio, in eta’ scolare e prescolare; per il
coinvolgimento delle strutture pubbliche nelle fasi del controllo
farmacologico, della somministrazione e della propaganda».
Considerato, pertanto, che la vaccinazione e’ stata effettuata in
vista di un beneficio di carattere generale, «con conseguente
compressione del diritto alla salute della figlia minore in nome
della solidarieta’ verso gli altri», e’ ragionevole che debba essere
la collettivita’ stessa ad assumere i relativi costi. La mancata
estensione dell’indennizzo risulterebbe, quindi, per tali ragioni, in
contrasto con l’art. 2 Cost.
Il vuoto di tutela innanzi censurato violerebbe anche l’art. 3
Cost., per la irrazionale disparita’ di trattamento fra situazioni
assimilabili. Si e’, infatti, gia’ evidenziata − segnala il giudice a
quo − la comparabilita’ tra l’evento dannoso scaturito da un
trattamento obbligatorio rispetto a quello conseguito a un
trattamento sanitario raccomandato, sempre nell’interesse della
collettivita’: «lo Stato non puo’ ignorare o limitare la propria
responsabilita’ oggettiva nei confronti dei cittadini, per lo piu’
bambini, danneggiati da trattamenti scientificamente gravati da un
rischio di effetti collaterali, piu’ o meno gravi e permanenti, dopo
averne consigliato il trattamento sanitario».
Rievocando ancora una volta i dicta delle richiamate pronunce di
questa Corte, il giudice a quo ulteriormente e conclusivamente
segnala come «in difetto di un equo ristoro in favore del soggetto
passivo del trattamento sanitario raccomandato, si avrebbe
l’irrazionale risultato di concedere l’indennizzo a coloro i cui
genitori hanno adottato un comportamento di utilita’ generale dietro
la minaccia della sanzione e di negarlo, per contro, a coloro i cui
genitori hanno fatto ricorso alla vaccinazione per ragioni di
solidarieta’ sociale». Sussisterebbe, inoltre, un ulteriore profilo
di irrazionalita’ della norma impugnata, dal momento che essa estende
i benefici anche a fattispecie di trattamenti non obbligatori, quale
quello di cui al comma 4 dello stesso art. 1, ove e’ previsto
l’indennizzo anche in caso di vaccinazione effettuata «per potere
accedere ad uno Stato estero». Evenienza, questa, che non appare
ragionevolmente giustificare un diverso trattamento rispetto alla
vaccinazione raccomandata ed effettuata per ragioni di utilita’
sociale, visto che il viaggio all’estero puo’ dipendere da ragioni di
mero piacere.
Si denuncia, infine, violazione anche dell’art. 32 Cost., in
quanto la norma oggetto di censura vanificherebbe senza
giustificazione il diritto alla salute dei soggetti vaccinati, i
quali, «accettando la vaccinazione in nome della solidarieta’» nei
confronti dei consociati, hanno subito un danno irreversibile alla
loro salute «per un beneficio atteso dall’intera collettivita’».

Considerato in diritto

1.- Il Tribunale ordinario di Ancona ha sollevato, in riferimento
agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 1, comma 1, della legge 23 febbraio
1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da
complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni
obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), «nella
parte in cui non prevede che il diritto all’indennizzo, istituito e
regolato dalla stessa legge ed alle condizioni ivi previste, spetti
anche ai soggetti che abbiano subito lesioni e/o infermita’, da cui
siano derivati danni irreversibili all’integrita’ psico-fisica, per
essersi sottoposti a vaccinazione, non obbligatoria ma raccomandata,
contro il morbillo, la rosolia e la parotite».
Il Tribunale rimettente espone di essere chiamato a pronunciarsi,
quale giudice del lavoro, sul ricorso − per ottenere l’indennizzo di
cui alla disposizione denunciata − proposto dai genitori di una
bambina la quale, a seguito della vaccinazione contro
morbillo-parotite-rosolia (MPR), praticata mediante un vaccino poi
ritirato dal commercio pochi giorni dopo la somministrazione, aveva
subito gravi patologie, ritenute ascrivibili alla VII categoria della
tabella A) annessa al decreto del Presidente della Repubblica 30
dicembre 1981, n. 834 (Definitivo riordinamento delle pensioni di
guerra, in attuazione della delega prevista dall’art. 1 della legge
23 settembre 1981, n. 533). La vaccinazione, ancorche’ non
obbligatoria − e, dunque, non suscettibile di dar luogo, ove
generatrice delle complicanze previste dalla normativa denunciata,
all’indennizzo ivi previsto − si presentava, pero’, fortemente
incentivata dalle pubbliche autorita’, avendo essa formato oggetto di
una intensa campagna di sensibilizzazione, attestata da numerosi atti
emanati a tale riguardo dalla pubblica amministrazione. Sicche’
verrebbero in luce gli stessi principi in forza dei quali la
giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto estensibile l’indennizzo
previsto dalla normativa oggetto di censura in favore di categorie di
persone le quali avevano subito danni a seguito di vaccinazioni
effettuate in un periodo in cui queste non erano ancora obbligatorie,
ma solo raccomandate. Il tutto − ha soggiunto il giudice a quo − in
funzione di un adeguato risalto da annettere al principio
solidaristico, in ragione del quale la collettivita’ deve farsi
carico, attraverso uno specifico indennizzo, dei danni subiti dal
singolo, ove questi si sottoponga ad un trattamento sanitario in
vista della tutela della salute, non solo individuale, ma anche
collettiva.
Da qui, anzitutto, la denunciata violazione dell’art. 2 Cost.,
risultando priva di coerenza una normativa che non ricomprenda tra i
fruitori del beneficio quanti, come la figlia dei ricorrenti, abbiano
riportato menomazioni irreversibili per effetto di vaccinazioni che
siano state oggetto di una politica sanitaria incentivante per
esigenze di tutela della salute della intera collettivita’, come si
e’ dimostrato essere la vaccinazione contro il morbillo, la parotite
e la rosolia. Risulterebbe anche violato l’art. 3 Cost., in quanto,
in difetto di un equo ristoro in favore del soggetto passivo del
trattamento sanitario raccomandato, si avrebbe l’irrazionale
risultato di concedere l’indennizzo a coloro i cui genitori hanno
adottato un comportamento di utilita’ generale dietro la minaccia di
una sanzione e di negarlo, per contro, a coloro i cui genitori hanno
fatto ricorso alla vaccinazione per ragioni di solidarieta’.
Compromesso sarebbe, infine, anche l’art. 32 Cost., dal momento che
verrebbe ad essere ingiustificatamente vanificata la garanzia del
diritto alla salute dei soggetti vaccinati i quali, accettando la
vaccinazione in nome della solidarieta’ verso gli altri e dei vincoli
che li saldano alla collettivita’, si siano trovati a subire un danno
irreversibile alla loro salute per un beneficio atteso dall’intera
collettivita’.
2.- La questione e’ fondata.
3.- In tema di vaccinazioni obbligatorie o raccomandate, e di
diritto all’indennizzo per danni alla salute a seguito del
trattamento praticato, questa Corte ha avuto modo di affermare, sin
dalla sentenza n. 307 del 1990 − pronunciata in materia di
vaccinazione antipoliomielitica per i bambini entro il primo anno di
vita, all’epoca prevista come obbligatoria − che «la legge impositiva
di un trattamento sanitario non e’ incompatibile con l’art. 32 Cost.
se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o preservare lo
stato di salute di chi vi e’ assoggettato, ma anche a preservare lo
stato di salute degli altri, giacche’ e’ proprio tale ulteriore
scopo, attinente alla salute come interesse della collettivita’, a
giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo
che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto
fondamentale».
Ma se «il rilievo costituzionale della salute come interesse
della collettivita’» − si soggiunse − esige che, «in nome di esso, e
quindi della solidarieta’ verso gli altri, ciascuno possa essere
obbligato, restando cosi’ legittimamente limitata la sua
autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo
importi un rischio specifico», tuttavia esso «non postula il
sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli
altri». Ne deriva che «un corretto bilanciamento fra le due
suindicate dimensioni del valore della salute − e lo stesso spirito
di solidarieta’ (da ritenere ovviamente reciproca) fra individuo e
collettivita’ che sta a base dell’imposizione del trattamento
sanitario − implica il riconoscimento, per il caso che il rischio si
avveri, di una protezione ulteriore a favore del soggetto passivo del
trattamento. In particolare finirebbe con l’essere sacrificato il
contenuto minimale proprio del diritto alla salute a lui garantito,
se non gli fosse comunque assicurato, a carico della collettivita’, e
per essa dello Stato che dispone il trattamento obbligatorio, il
rimedio di un equo ristoro del danno patito».
La richiamata pronuncia costitui’, come e’ noto, la base su cui
venne, poco dopo, approvata la legge n. 210 del 1992 (si veda la
relazione al progetto di legge n. 4964 presentato alla Camera dei
deputati il 12 luglio 1990 e confluito, assieme ad altre iniziative
parlamentari, nei lavori preparatori della legge in esame),
risultando poi progressivamente acquisita − sul fermo presupposto
che, in ogni caso, la vaccinazione non sia «configurabile quale
trattamento coattivo» (sentenza n. 132 del 1992) − non solo la
stretta correlazione, nella «disciplina costituzionale della salute»,
tra diritto fondamentale dell’individuo (lato «individuale e
soggettivo») e interesse della intera collettivita’ (lato «sociale e
oggettivo») (sentenza n. 118 del 1996); quanto, soprattutto, la
necessita’ che, ove i valori in questione vengano a trovarsi in
frizione, l’assunzione dei rischi, relativi a un trattamento
"sacrificante" della liberta’ individuale, venga ricondotta ad una
dimensione di tipo solidaristico.
Ponendosi, inoltre, nella prospettiva di individuare la ratio
della provvidenza indennitaria in ogni situazione in cui il singolo
abbia esposto a rischio la propria salute per la tutela di un
interesse collettivo, si e’ in seguito affermato che dagli artt. 2 e
32 Cost. deriva l’obbligo, simmetricamente configurato in capo alla
stessa collettivita’, «di condividere, come e’ possibile, il peso
delle eventuali conseguenze negative» (sentenza n. 27 del 1998). Se
ne e’ fatto conseguire che non vi e’, dunque, ragione di
differenziare il caso in cui «il trattamento sanitario sia imposto
per legge» da quello «in cui esso sia, in base a una legge, promosso
dalla pubblica autorita’ in vista della sua diffusione capillare
nella societa’; il caso in cui si annulla la libera determinazione
individuale attraverso la comminazione di una sanzione, da quello in
cui si fa appello alla collaborazione dei singoli a un programma di
politica sanitaria». «Una differenziazione − si e’ precisato − che
negasse il diritto all’indennizzo in questo secondo caso si
risolverebbe in una patente irrazionalita’ della legge. Essa
riserverebbe infatti a coloro che sono stati indotti a tenere un
comportamento di utilita’ generale per ragioni di solidarieta’
sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a favore
di quanti hanno agito in forza di minaccia di sanzione» (sentenza n.
27 del 1998).
Ne e’, in sintesi, derivato che «la ragione determinante del
diritto all’indennizzo» e’ «l’interesse collettivo alla salute» e non
«l’obbligatorieta’ in quanto tale del trattamento, la quale e’
semplicemente strumento per il perseguimento di tale interesse»; e
che lo stesso interesse e’ fondamento dell’obbligo generale di
solidarieta’ nei confronti di quanti, sottoponendosi al trattamento,
vengano a soffrire di un pregiudizio (sentenze n. 226 e n. 423 del
2000).
4.- Su queste basi, si puo’ osservare, piu’ in dettaglio, che, se
nella profilassi delle malattie infettive appaiono decisive le
attivita’ di prevenzione, dirette a scongiurare e a contenere il
pericolo del contagio, e’ in ogni caso decisivo il rilievo assunto
dalle campagne di sensibilizzazione da parte delle competenti
autorita’ pubbliche allo scopo di raggiungere e rendere partecipe la
piu’ ampia fascia di popolazione. In questa prospettiva − nella quale
e’ perfino difficile delimitare con esattezza uno spazio "pubblico"
di valutazioni e di deliberazioni (come imputabili a un soggetto
collettivo) rispetto a uno "privato" di scelte (come invece
imputabili a semplici individui) − i diversi attori finiscono per
realizzare un interesse obiettivo − quello della piu’ ampia
immunizzazione dal rischio di contrarre la malattia −
indipendentemente da una loro specifica volonta’ di collaborare: e
resta del tutto irrilevante, o indifferente, che l’effetto
cooperativo sia riconducibile, dal lato attivo, a un obbligo o,
piuttosto, a una persuasione o anche, dal lato passivo, all’intento
di evitare una sanzione o, piuttosto, di aderire a un invito.
In presenza di diffuse e reiterate campagne di comunicazione a
favore della pratica di vaccinazioni e’, infatti, naturale che si
sviluppi un generale clima di "affidamento" nei confronti proprio di
quanto "raccomandato": cio’ che rende la scelta adesiva dei singoli,
al di la’ delle loro particolari e specifiche motivazioni, di per se’
obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell’interesse
collettivo.
Corrispondentemente a questa sorta di cooperazione involontaria
nella cura di un interesse obiettivamente comune, ossia
autenticamente pubblico, apparira’ naturale reputare che tra
collettivita’ e individui si stabiliscano vincoli propriamente
solidali, nel senso − soprattutto − che le vicende delle singole
persone non possano che essere riguardate anche sotto una prospettiva
"integrale", vale a dire riferita all’intera comunita’: con la
conseguenza, tra le altre, che, al verificarsi di eventi avversi e di
complicanze di tipo permanente a causa di vaccinazioni effettuate nei
limiti e secondo le forme di cui alle previste procedure, debba
essere, per l’appunto, la collettivita’ ad accollarsi l’onere del
pregiudizio individuale piuttosto che non i singoli danneggiati a
sopportare il costo del beneficio collettivo.
Sul piano dei valori garantiti, in Costituzione, dall’art. 2,
nonche’ dall’art. 32, lo sfumare, in altri termini, del rilievo delle
motivazioni strettamente soggettive (che possano aver indotto verso
le scelte imposte o auspicate dall’amministrazione sanitaria)
giustifica la traslazione in capo alla collettivita’ (anch’essa
obiettivamente favorita da quelle scelte) degli effetti dannosi
eventualmente conseguenti.
In un contesto di irrinunciabile solidarieta’, del resto, la
misura indennitaria appare per se stessa destinata non tanto, come
quella risarcitoria, a riparare un danno ingiusto, quanto piuttosto a
compensare il sacrificio individuale ritenuto corrispondente a un
vantaggio collettivo: sarebbe, infatti, irragionevole che la
collettivita’ possa, tramite gli organi competenti, imporre o anche
solo sollecitare comportamenti diretti alla protezione della salute
pubblica senza che essa poi non debba reciprocamente rispondere delle
conseguenze pregiudizievoli per la salute di coloro che si sono
uniformati.
In un quadro di riferimento quale quello accennato, e’ agevole
avvedersi di come la pratica della vaccinazione contro
morbillo-parotite-rosolia abbia formato oggetto, da piu’ di un
decennio, di insistite ed ampie campagne, anche straordinarie, di
informazione e raccomandazione da parte delle pubbliche autorita’
sanitarie, nelle loro massime istanze (con distribuzione di materiale
informativo specifico sia tra gli operatori sanitari sia presso la
popolazione); al punto che, nel sito informatico ufficiale dello
stesso Ministero della salute, tra le «vaccinazioni raccomandate»,
compare tuttora quella in questione, in linea con le determinazioni
di cui gia’ al decreto ministeriale 7 aprile 1999 (Nuovo calendario
delle vaccinazioni obbligatorie e raccomandate per l’eta’ evolutiva),
alla circolare n. 12 del 13 luglio 1999 (Controllo ed eliminazione di
morbillo, parotite e rosolia attraverso la vaccinazione), al Piano
nazionale per l’eliminazione del morbillo e della rosolia congenita
(approvato, per il periodo 2003-2007, dalla Conferenza Stato-Regioni
nella seduta del 13 novembre 2003 e ora, per il periodo 2010-2015,
con Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2011) nonche’ al Piano
nazionale vaccini (aggiornamento 2005). La ricognizione operata, sul
punto, dallo stesso giudice rimettente deve ritenersi pertanto
esaustiva ai fini della dimostrazione dell’assunto secondo il quale
la pratica in questione, pur non essendo obbligatoria ex lege, si
inserisce in quel filone di protocolli sanitari per i quali l’opera
di sensibilizzazione, informazione e convincimento delle pubbliche
autorita’ − in linea, peraltro, con i «progetti di informazione»
previsti all’art. 7 della stessa legge n. 210 del 1992 e affidati
alle unita’ sanitarie locali «ai fini della prevenzione delle
complicanze causate da vaccinazioni» e comunque allo scopo di
«assicurare una corretta informazione sull’uso di vaccini» − viene
reputata piu’ adeguata e rispondente alle finalita’ di tutela della
salute pubblica rispetto alla vaccinazione obbligatoria.

Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui non prevede il diritto ad un indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, nei confronti di coloro i quali abbiano subito le conseguenze previste dallo stesso articolo 1, comma 1, a seguito di vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia. Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2012. Il Presidente: Quaranta Il Redattore: Grossi Il Cancelliere: Melatti Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2012. Il direttore della cancelleria: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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