Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-02-2011, n. 3268

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Svolgimento del processo

Con il decreto impugnato, depositato l’8/10/2008, la corte d’appello di Lecce ha respinto la domanda di Q.F., intesa ad ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, per la durata irragionevole del giudizio promosso dallo stesso Q. nei confronti dell’Inps, per il pagamento dell’indennità di disoccupazione agricola, oltre interessi e spese, iniziato con ricorso depositato il 21/10/2003 e concluso all’udienza del 13/10/2006, con ordinanza di estinzione.

Secondo la corte territoriale, la domanda era infondata, dovendosi escludere ogni ripercussione negativa nei confronti del ricorrente, attesa la durata di tre anni del giudizio, senza dubbio ragionevole, e considerate le motivazioni dei rinvii, spesso determinati dalle parti (così i rinvii delle udienze dal 13/5/05 al 10/3/06, dal 10/3/06 al 7/4/06, dal 7/4/06 al 13/10/06), e nell’interesse del ricorrente, per verificare se e quando l’indennità richiesta fosse stata erogata, tanto più che il Q. aveva adito il giudice del lavoro quando gli era stata già riconosciuta l’indennità.

Ricorre il Q. sulla base di un unico articolato motivo.

Resiste il Ministero della Giustizia, che ha depositato controricorso.

Motivi della decisione

1.1.- Con l’unico motivo del ricorso, il Q. denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, e dell’ art. 6, par. 1, della CEDU e dell’art. 111 Cost., in ordine ai criteri per la determinazione della ragionevole durata, nonchè degli artt. 34 e 35 CEDU; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Secondo il ricorrente, la corte d’appello ha correttamente fatto riferimento ai principi ermeneutici consolidati in materia, per poi disattenderli nel caso, ha considerato erroneamente che tutti i rinvii erano stati chiesti dalle parti o accordati nell’interesse del ricorrente, e che il Q. aveva ottenuto il riconoscimento del diritto già prima del giudizio, mentre lo stesso aveva agito giudizialmente per ottenere la differenza tra quanto dovuto e quanto già corrisposto, nè infine la corte ha indicato i quale sia stato il vantaggio ricavato dal ricorrente per effetto della irragionevole durata del processo, nel caso da escludersi.

Il Ministero ha eccepito la carenza del quesito di diritto e l’infondatezza del ricorso.

2.- Il ricorso deve ritenersi inammissibile.

Ed invero, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto, con decorrenza dal 2/3/2006 dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr. L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5), allorchè il ricorrente denunzi la sentenza impugnata per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, che, come ritenuto dalla giurisprudenza di questa corte, "deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa o affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame" (così la sentenza delle sezioni unite, n. 20360 del 2007, e in senso conforme, la successiva ordinanza n. 2658 del 2008 e la sentenza resa a sezione semplice, n. 20360 del 2007).

Quanto alla denuncia del vizio di motivazione, la norma processuale richiede, sempre a pena di inammissibilità,che l’illustrazione del motivo deve contenere "la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione": la giurisprudenza di questa corte, come da ultimo ribadito nella pronuncia 27680/2009, ha affermato che "ciò importa che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi(omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603)… non è sufficiente che tale fatto sìa esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata".

Ebbene, nel caso di specie è di palese evidenza la carenza del quesito di diritto e del momento di sintesi, essendosi limitato il ricorrente ad una mera espositiva di censure, ora prospettate come violazione di legge, ora come vizio di motivazione, all’interno dell’unico motivo fatto valere.

Va pertanto dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Le spese di lite del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità a favore del Ministero, spese che liquida in Euro 1000,00, oltre le spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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