Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-02-2011, n. 3235 Ordinanza ingiunzione di pagamento: opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso, ritualmente depositato, C.A., in proprio e nella qualità di legale rappresentante di Cestarollo Assicurazioni SAS, proponeva opposizione contro l’ordinanza, n. 1770/223/99, emessa l’11.03.2004 dalla Direzione Provinciale del Lavoro di Rovigo, che gli aveva ingiunto il pagamento della complessiva somma di Euro 150,34, per violazione della L. n. 112 del 1935, art. 3 e della L. n. 4 del 1953, art. 1 (ossia omessa completa registrazione sul libretto di lavoro della lavoratrice P. ed omessa consegna alla stessa del prospetto paga dal marzo 1994 al gennaio 1997). L’opponente contestava l’ordinanza – ingiunzione deducendo violazione della L. n. 241 del 1990, art. 2 per scadenza del termine di 30 giorni, della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12 – per sopravvenuta abolizione delle sanzioni amministrative per violazioni di norme sul collocamento formale, carenza dei requisiti previsti dalla L. n. 689 del 1981, infondatezza per carenza di prova, insussistenza del requisito della subordinazione. Si costituiva la Direzione Provinciale del Lavoro di Rovigo contestando le avverse deduzioni e chiedendo il rigetto dell’opposizione.

All’esito il Tribunale di Rovigo con sentenza n. 656 del 7.11.2005 rigettava l’opposizione e confermava l’ordinanza – ingiunzione, escludendo l’applicabilità al caso di specie della L. n. 241 del 1990, art. 2 e della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12 – e, nel merito, ritenendo pienamente provata – sulla base delle prove testimoniali – la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato tra il ricorrente e P.S. e delle contestate infrazioni.

Il C., in proprio e nella qualità indicata, ricorre per cassazione con tre motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

La Direzione Provinciale del Lavoro di Rovigo resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12 (art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il giudice di merito errato sia nel ritenere ancora possibile l’irrogazione delle sanzioni, pur essendo entrata in vigore fa richiamata norma abolitiva delle sanzioni amministrative, sia nell’interpretare la nozione di "collocamento formale", nel cui ambito non sarebbero rientrate le infrazioni contestate con l’ordinanza – ingiunzione. Le censure così articolate sono entrambe prive di pregio e vanno disattese.

Quanto alla prima censura – relativa alla portata retroattiva della norma in questione – va ricordato che la L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12 ha abolito le sanzioni amministrative relative a violazioni di disposizioni sul collocamento di carattere formale a decorrere dalla sua entrata in vigore, avvenuta il 1 gennaio 2001.

Orbene, anche a voler fa rientrare le infrazioni in esame nell’ambito del collocamento formale, l’assunto del ricorrente non è condivisibile. Invero questa Corte, dopo un iniziale orientamento favorevole all’immediata applicabilità della sopravvenuta norma abolitiva delle sanzioni a violazioni commesse prima della sua entrata in vigore, ha riesaminato la questione e affermato sulla base di diverso orientamento, a sui si aderisce pienamente, che la L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12 è applicabile solo a violazioni commesse dopo la sua entrata in vigore ed è esclusa qualsiasi forma di retroattività, restando irrilevante la data di notifica dell’ordinanza – ingiunzione (Cass. n. 16422 del 2005, Cass. n. 18761 del 2005 ed altre successive conformi).

Quanto alla seconda censura – errata interpretazione della nozione di collocamento formale – il primo giudice (cfr sentenza pag. 5) correttamente ha precisato che le infrazioni indicate nell’opposta ordinanza – ingiunzione (omessa registrazione della lavoratrice sul libro paga ed omessa consegna del prospetto paga) non integrano violazioni di norme sul collocamento formale, che come tali si riferiscono all’assunzione del lavoratore, mentre nella fattispecie concreta vengono in rilievo norme relative all’intero rapporto lavorativo già venuto ad esistenza con l’assunzione della lavoratrice e al profilo retributivo.

Così inquadrata e risolta la quaestio iuris, non è puntuale ed adeguato il quesito di diritto formulato ex art. 366 bis c.p.c. dal ricorrente (pagina 9 e pagina 10 del ricorso), laddove viene sostenuto che è "inconfigurabile una distinzione tra violazioni formali e sostanziali", in quanto la L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12 ha previsto l’abolizione delle sanzioni relative a "violazioni di norme sul collocamento formale", con ciò lasciando chiaramente intendere che le sanzioni riferibili a violazioni, avente carattere sostanziale, rimangono intatte (cfr. Cass. n. 65 del 2007;

Cass. n. 17421 del 2007; amplius Cass. n. 3857 del 15 febbraio 2008 argomenta sul criterio distintivo anzidetto e fa una completa elencazione delle violazioni di carattere sostanziale).

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 246 e 103 c.p.c., anche con riferimento all’art. 2697 Cod. Civ, sostenendo che il giudice di primo grado sarebbe incorso in errore nel valutare la ripartizione degli oneri probatori.

Il Tribunale, osserva il ricorrente, pur affermando in premessa che l’onere probatorio circa la sussistenza della locatio operarum gravava sulla parte ingiungente, in realtà sviluppa il proprio percorso argomentativo partendo dalle dichiarazioni rilasciate dalla lavoratrice P. agli ispettori, per poi ritenere suffragate le stesse deposizioni di B.M. e Br.Pa., concludendo, alla fine del ragionamento, che i documenti e le deposizioni dei testi di parte opponente non smentirebbero quelle rese dalla P.. Il motivo è infondato.

Il giudice di merito ha preso in esame gli elementi documentali (denuncia della P. all’INPS, il verbale di accertamento, le dichiarazioni rese dai lavoratori in sede amministrativa e sottoscritte dai lavoratori) e le deposizioni rese in sede giudiziale dagli stessi lavoratori ( P., B. e Br.) ritenendo che tra la P. e la C. fosse intervenuto un rapporto di lavoro subordinato.

Nè hanno giuridica consistenza i rilievi mossi dal ricorrente riguardanti l’interesse della lavoratrice P. a partecipare al giudizio e quindi incapacità della stessa a testimoniare ex art. 246 c.p.c., avendo ritenuto da tempo questa Corte che possano essere valorizzate le dichiarazioni – rese dal lavoratore in sede ispettiva confermate in sede giudiziale – e quindi non sussista alcuna incapacità a testimoniare dello stesso nel giudizio di opposizione a provvedimento irrogativo di sanzioni amministrative a carico del datore di lavoro.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 2094 Cod.. Civ., in relazione all’art. 2697 Cod. Civ., ribadendo i rilievi circa il non buongoverno del materiale probatorio e circa l’erroneo convincimento del giudice di merito circa la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato.

Al riguardo si richiamano le precedenti considerazioni svolte in sede di secondo motivo, con la puntualizzazione che è stato riscontrato da parte del giudice rapporto di lavoro dipendente in relazione alle mansioni svolte dalla P., alle direttive del datore di lavoro, allo stabile inserimento nell’organizzazione aziendale della lavoratrice e alla retribuzione fissa mensile da lei percepita.

Per contrastare la valutazione delle risultanze probatorie effettuata dal giudice di merito il ricorrente si è richiamato ad alcuni atti, come il contratto di collaborazione 1.07.1987 come produttrice e l’iscrizione della P. nel registro IVA o una serie di fatture, ma tali documenti non sono stati riportati o trascritti e comunque non assumono decisiva rilevanza nel quadro dell’ampia e coerente motivazione del giudice di merito in ordine alla sussistenza nel caso di specie del rapporto di lavoro di lavoro subordinato.

4. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 20,00 oltre Euro 2000,00 per onorari ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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