Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-12-2010) 20-01-2011, n. 1809

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Bologna, con sentenza del 2/12/08, all’esito di giudizio abbreviato, affermava la penale responsabilità di B. H. in ordine ai reati di violenza sessuale, rapina, lesioni personali, commessi in danno di M.I., e lo condannava alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione.

La Corte di Appello di Bologna, chiamata a pronunciarsi sull’appello avanzato nell’interesse dell’imputato, ha confermato il decisum di prime cure.

Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato con i seguenti motivi:

– erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 43 c.p.;

– erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 609 bis c.p., comma 3.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

La argomentazione motivazionale si palesa del tutto logica e corretta, avendo il giudice di merito ricostruito i fatti in modo pienamente aderente alle risultanze processuali, così da pervenire al giudizio di penale responsabilità del prevenuto.

La Corte territoriale, quanto alla violenza sessuale, rileva che la difesa non ha contestato gli accadimenti come descritti dalla parte offesa, ponendo solo in dubbio la sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie delittuosa: infatti, sul punto, la predetta difesa avanzava l’ipotesi secondo la quale l’imputato non abbia recepito la volontà della meretrice di revocare il consenso al rapporto sessuale, esplicitamente accordato in fase di pattuizione.

Con la censura di cui al primo motivo di ricorso viene ribadita la identica doglianza mossa con l’appello, cioè il B. non avrebbe compreso il dissenso della donna a continuare il rapporto, così da escludere la volontà dello stesso a compiere violenza, e il giudice di seconde cure non avrebbe affrontato, ovvero avrebbe risolto con esiti contraddittori il problema.

La contestazione è del tutto priva di pregio, in quanto, dal vaglio di legittimità a cui è stato sottoposto il discorso giustificativo adottato dal decidente, emerge, ictu oculi, che la condotta posta in essere dall’imputato, non solo concretizza il reato di cui alla contestazione, ma esclude che non si possa ritenere la volontarietà dell’azione, considerando, a giusta ragione, che il B. interruppe l’atto sessuale solo quando ebbe dalla p.o. la assicurazione che esso sarebbe ripreso subito dopo; che la violenza sessuale già in quel momento si era concretizzata ed era, anzi, in corso; che la richiesta di una pausa, seguita dalla promessa di riprendere il rapporto nella immediatezza, non fu che un espediente della M., che aveva visto vanificati i tentativi di sottrarsi alla presa dell’uomo per farla cessare.

Il decidente, di poi, evidenzia la insostenibilità della tesi, secondo la quale l’imputato non abbia capito il sopravvenuto dissenso, in quanto allorchè la donna cercò di sfuggirgli fisicamente, con la forza e con la sopraffazione, l’uomo la ostacolò, afferrandola per i capelli, spingendole il busto verso il basso, così da penetrarla nuovamente da tergo, elementi tutti che denotano la piena consapevolezza della contraria volontà del partner.

Del pari manifestamente infondata è la seconda censura con cui si contesta la mancata c oncessionedella attenuante dell’art. 609 bis c.p., comma 3 rilevato l’esatto ed esaustivo riscontro da parte della Corte distrettuale al relativo motivo di appello, con il sottolineare come il particolare tipo di violenza e le modalità cruente della stessa escludano, all’evidenza, la possibilità di configurare la ipotesi attenuata invocata.

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il B. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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