Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 01-12-2010) 20-01-2011, n. 1803 Relazione tra la sentenza e l’accusa contestata; Modificazione dell’imputazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati T.M., T.C., D.P.G.R., A.M. per l’annullamento del decreto del Giudice per la udienza preliminare, che ha disposto il loro rinvio a giudizio, deducendo violazione di legge e abnormità del provvedimento.

In sunto, i primi due imputati hanno rilevano:

– che il Giudice ha modificato di propria iniziativa un capo di imputazione formulato dal Pubblico Ministero (da artt. 416 e 640 cod. pen. in artt. 416 e 515 c.p.) senza seguire le regole normativamente previste, cioè, sollecitare l’organo della accusa a correggere o integrare la imputazione oppure restituirgli gli atti;

– che, in tale modo, il Giudice ha esorbitato dai suoi poteri limitando le garanzie di difesa degli imputati tanto nel merito quanto nelle scelte processuali o del rito.

Oltre a quanto su riferito, gli imputati D. ed A. hanno dedotto:

– che,per la stranezza ed atipicità del contenuto e per avere il Giudice esercitato un potere che non gli competeva, la ordinanza in esame deve ritenersi affetta da abnormità strutturale.

Le censure sono manifestamente infondate.

L’art. 423 proc. proc. pen – la cui ratio va individuata nella necessità della corrispondenza tra la imputazione con quanto all’emerso all’esito della udienza preliminare – disciplina le seguenti situazioni: 1) risulta un fatto diverso da quello descritto nel capo di incolpazione o si riscontra una circostanza aggravante;

2) si evidenzia un reato in concorso formale o in continuazione con quello per cui si procede;

3) emerge carico dell’imputato un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio.

Nei primi due casi, il Pubblico Ministero modifica la imputazione e la contesta allo imputato presente o al suo difensore, se il primo è assente o contumace; nel terzo, il Giudice autorizza la nuova contestazione se la Pubblica Accusa ne fa richiesta e l’imputato acconsente.

Da quanto detto, consegue che la modifica del capo di imputazione è atto di esercizio della azione penale, quindi, potere – dovere attribuito all’organo della accusa e non al Giudice che, tuttavia, può dare al fatto contestato una diversa qualificazione giuridica.

La locuzione "fatto, inserita nell’art. 423 cod. proc. pen., deve essere intesa come accadimento umano, (cioè, come fattispecie concreta e non astratta) ed è collimante con l’elemento psicologico e materiale del reato in tutte le sue componenti attinenti alla condotta, al nesso causale ed all’evento.

Pertanto, l’ambito di operatività della norma va circoscritto al caso in cui il coacervo probatorio (risultante dalle indagini espletate dopo la richiesta rinvio a giudizio oppure già acquisite) non sia in sintonia con la struttura materiale della contestazione.

Dalla lettura dell’art. 423 cod. proc. pen., si rileva che il Giudice non può modificare il fatto oggetto della imputazione, ma può dare allo stesso il nomen juris che reputa più puntuale.

Sul tema, si rileva come il potere del Giudice di qualificare correttamente, sotto il profilo giuridico, il fatto sul quale è chiamato a pronunciarsi, risolvendosi in una esatta applicazione della legge, è connaturale allo esercizio della giurisdizione, non tollera limitazioni e non necessita di esplicita previsione (Sezioni Unite sentenza 16/1996).

Ciò si è verificato nella ipotesi in esame, nella quale il Giudice non ha modificato l’accadimento materiale ed il contenuto storico dell’accusa – rimasto immutato e qualificato dal Pubblico Ministero come truffa – e si è limitato a sussumerlo nel reato meno grave di frode nello esercizio del commercio.

Tale puntualizzazione non ha precluso agli imputati di esplicare una concreta azione difensiva anche in relazione alle scelte processuali di eventuali riti di sfittimento.

Alla inammissibilità dei ricorsi, consegue la condanna di ciascun proponente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma – che la Corte reputa congruo fissare in Euro mille – alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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