Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
La Soc. Gama 90 conveniva in giudizio la S.r.l. Centro Carta Roma (C.C.R.) per sentirla condannare all’immediato rilascio di alcuni locali ad uso magazzino detenuti senza titolo nonchè al risarcimento dei danni subiti a seguito del ritardato rilascio degli immobili medesimi, di sua esclusiva proprietà, già concessi in comodato alla convenuta.
La società convenuta resisteva alla domanda assumendo che era intervenuto un accordo per la protrazione del rapporto di comodato.
In via riconvenzionale deduceva che era stata costretta, per la fatiscenza degli immobili detenuti, ad eseguire esecuzione di lavori di straordinaria manutenzione, del cui importo chiedeva il rimborso.
Con sentenza non definitiva n. 6372 del 22.4.1993, l’adito tribunale di Roma qualificava il rapporto intercorso tra le parti come comodato senza determinazione di durata; dichiarava la srl Centro Carta Roma tenuta al rilascio dell’immobile a semplice richiesta della comodante, ex art. 1810 c.c.; considerava la stessa in mora a far data dal 5.6.1990 e la condannava, quindi, alla restituzione ed al risarcimento dei danni, per la cui quantificazione rinviava la pronuncia alla sentenza definitiva; rigettava la eccezione e la domanda riconvenzionali, rilevando che i lavori eseguiti non erano stati di straordinaria manutenzione e non potevano, in difetto di prova del consenso da parte del comodante, dare diritto al rimborso.
Contro tale decisione la convenuta proponeva riserva di appello.
Con sentenza definitiva n. 14107 del 9.4.2002 il tribunale di Roma, all’esito di c.t.u., condannava la srl C.C.R. al risarcimento del danno da occupazione senza titolo, che determinava in complessivi Euro 56.459,00 oltre accessori.
La srl C.C.R. proponeva appello, deducendo che la società Gama 90 non aveva provato il danno subito a seguito della ritardata restituzione dei locali oggetto di comodato, non potendosi ritenere mezzo di prova la esperita CTU. L’appellante lamentava, poi, che erroneamente il tribunale non aveva preso in considerazione le sue richieste istruttorie, omettendo di motivare circa le opere di miglioramento eseguite agli immobili in sua detenzione.
L’appellata società deduceva che il danno reclamato era in re ipsa e che, comunque, essa aveva dovuto rinunciare a precise proposte di locazione, sicchè, anche per tale aspetto, la prova del pregiudizio economico patito doveva ritenersi raggiunta.
La Corte territoriale, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda di risarcimento della Soc. Gama 90 nei confronti della C.C.R. s.r.l. e condannava la Gama 90 alla restituzione di quanto ottenuto in esecuzione della sentenza di primo grado.
Per la cassazione della sentenza la Gama 90 s.r.l. proponeva ricorso in base a due motivi, che illustrava anche con memoria.
Resisteva la C.C.R. s.r.l.
Motivi della decisione
Con il primo motivo parte ricorrente denuncia "Violazione e falsa applicazione di legge, art. 820, 832, 1223, 1226, 1591, 1810, 2043, 2056 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5".
Ritiene la Gama 90 s.r.l. che alla fattispecie in oggetto debba applicarsi l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, in caso di occupazione senza titolo di un immobile, il danno per il proprietario avente titolo al rilascio è in re ipsa, ricollegandosi esso alla semplice indisponibilità del bene, per cui alla sua determinazione opportunamente può pervenirsi in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., anche facendo riferimento al valore locativo dell’immobile.
Precisa, al riguardo, la società ricorrente che l’ipotesi del risarcimento da protratta illecita occupazione senza titolo di immobile, quanto alla configurabilità del danno che l’avente diritto al rilascio subisce, è ben diversa da quella regolata dall’art. 1591 cod. civ. in tema di danno da ritardata restituzione dell’immobile locato, per la quale soltanto vale la regola della rigorosa dimostrazione del maggior danno, dato che la norma riconosce comunque, con presunzione di legge, la sussistenza di un pregiudizio economico pari almeno alla misura dell’ultimo canone della locazione risolta.
Il motivo è fondato.
La giurisprudenza di questa Corte ripete, in indirizzo del tutto univoco (ex plurimis: Cass., n. 1507/2006; Cass., n. 13630/2001;
Cass., n. 649/2000; Cass., n. 1373/99), che in caso di occupazione senza titolo di un immobile altrui, il danno subito dal proprietario è da ritenere in re ipsa, discendendo esso dalla perdita della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità ricavabile in relazione alla natura normalmente fruttifera del bene. La determinazione del risarcimento del danno ben può essere, in tal caso, operata dal giudice sulla base di elementi presuntivi semplici, con riferimento anche al ed. danno figurativo e, quindi, con riguardo anche al valore locativo del bene usurpato.
Alla suddetta regula iuris – che è stata applicata anche con specifico riferimento alla fattispecie del ritardato rilascio dell’immobile a seguito dell’avvenuta risoluzione del contratto di comodato – il giudice del merito non si è attenuto, avendo in contrario, evidentemente in analogia non consentita con la diversa ipotesi del maggior danno da ritardato rilascio dell’immobile locato ai sensi della seconda parte della norma di cui all’art. 1591 cod. cìv. e senza cogliere la differenza tra detta fattispecie e quella in oggetto (nella quale la legge non prevede la misura di un danno presuntivamente parametrato al canone ultimo corrisposto dal conduttore, oltre il quale la determinazione del maggiore pregiudizio è sottoposta ad una più rigorosa indagine dimostrativa) ha esteso anche al caso in questione detto regime probatorio di maggior rigore.
In accoglimento del suddetto primo mezzo di doglianza, la sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata con rinvio per nuovo esame alla medesima Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che deciderà in applicazione del sopra enunciato principio di diritto e stabilirà all’esito anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.
Resta assorbito da detta pronuncia l’esame degli altri due motivi dell’impugnazione per cassazione.
P.Q.M.
LA CORTE accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri due motivi; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.
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