Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-11-2010) 20-01-2011, n. 1792 Indagini preliminari; Mezzi di prova

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

D.R.F. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello de l’Aquila confermava la decisione del tribunale di Avezzano che lo aveva condannato per il reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., art. 609 bis e ter c.p., n. 1 in danno di minori nella scuola media in cui svolgeva l’attività di bidello.

Deduce in questa sede il ricorrente:

1) l’erronea falsa applicazione della legge penale con riferimento all’art. 373, art. 136, comma 2 in relazione all’art. 191 c.p.p. e vizio di motivazione per mancata verbalizzazione delle domande rivolte alle persone chiamate a rendere sommarie informazioni;

2) erronea e falsa applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 2 e art. 530 c.p.p., comma 2 risultando omessa l’effettuazione del rigoroso controllo delle dichiarazioni accusatorie provenienti dalla parte offesa.

Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

Sul primo motivo ha già correttamente risposto la corte d’appello.

Quest’ultima ha evidenziato in premessa che il giudizio di primo grado si era svolto nelle forme del rito abbreviato e che l’originaria richiesta, subordinata all’audizione dei testi le cui dichiarazioni erano state verbalizzate senza indicazione delle domande, era stata superata dalla volontà dell’imputato di accedere al rito senza condizione alcuna.

Ha poi aggiunto che se è vero che l’art. 136 cpv. c.p.p., prevede che nel verbale debbano essere riprodotte anche le domande, è altresì evidente che la sanzione di nullità è comminata dall’art. 142 solo per le ipotesi di assoluta incertezza sulle persone.

Ciò posto è anzitutto innegabile che, come più volte affermato da questa Corte, con la scelta del rito abbreviato l’imputato ha rinunciato al diritto di interrogare o fare interrogare a sua volta il teste, accettando l’utilizzazione delle dichiarazioni già in atti.

L’unico limite per l’utilizzazione è rappresentato dall’inutilizzabilità cd. "patologica" della prova ma nel caso di specie si è evidentemente fuori da tale tematica.

In proposito va infatti ricordato come sul piano generale che le Sezioni Unite di questa Corte, richiamando la decisione della Corte Costituzionale n. 34/73, abbiano già puntualizzato che nel descritto fenomeno rientrano solo le prove oggettivamente vietate e cioè quelle comunque formate o acquisite in violazione – o con modalità lesive – dei diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione e, perciò, assoluti e irrinunciabili, a prescindere dall’esistenza di un espresso o tacito divieto al loro impiego nel procedimento contenuto nella legge processuale (Sez. U, n. 16 del 21/06/2000 Rv. 216246).

Ora se è vero che anche le modalità acquisitive delle dichiarazioni possono in talune ipotesi – specificamente regolamentate – essere decisive per l’utilizzabilità di esse, come nel caso dell’art. 141 bis che definisce le modalità di documentazione dell’interrogatorio di persona in stato di detenzione all’evidente fine – più volte sottolineato anche dalle decisioni delle Sezioni Unite di questa Corte – di verificare la genuinità e la spontaneità delle dichiarazioni, è altresì evidente che tale tematica viene impropriamente richiamata nel caso di specie.

L’art. 136 c.p.p. ha come unico scopo, infatti, quello di individuare sul piano generale il contenuto del verbale tant’e che il successivo art. 142 sanziona con la nullità solo le mancanze che rendono la verbalizzazione incerta sulla persona che ha reso le dichiarazioni o che ha redatto l’atto.

Nessuna nullità o inutilizzabilità può derivare, quindi, in assenza di una specifica previsione, dalla mancata indicazione delle domande.

Nè appare decisiva al riguardo la considerazione del ricorrente secondo cui l’omissione della indicazione delle domande non consente di verificare (e, di conseguenza, di valutare) l’eventuale carattere suggestivo delle domande poste o la pertinenza delle stesse al decisum.

In questo modo si finisce, infatti, per trascurare e non considerare, alcuni punti oramai fermi nella giurisprudenza di legittimità.

Il primo è che il divieto di porre domande suggestive di cui all’art. 499 cod. proc. pen. non si applica alle dichiarazioni rese dalla persona offesa al P.M. durante le indagini preliminari in quanto la norma riguarda il dibattimento e non le indagini preliminari (Sez. 3, n. 43837 del 29/10/2008 Rv. 241686).

Il secondo, nella specie assorbente del primo, è che in tema di assunzione ed utilizzazione delle prove, non da luogo alla sanzione di inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 191 cod. proc. pen., la violazione delle regole per l’esame fissate dall’art. 498 c.p.p., comma 1, e art. 499 cod. proc. pen., poichè non si tratta di prove assunte in violazione di divieti posti dalla legge, bensì di prove assunte con modalità diverse da quelle prescritte. E deve essere, del pari, esclusa la ricorrenza di nullità, atteso il principio di tassatività vigente in materia e posto che l’inosservanza delle norme indicate non è riconducibile ad alcuna delle previsioni delineate dall’art. 178 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 39996 del 14/07/2005 Rv. 232941; Sez. 3, n. 35910 del 25/06/2008 Rv. 241090).

E dunque nemmeno sul piano degli effetti è possibile pervenire alla conclusione che l’omessa indicazione delle domande possa comportare l’inutilizzabilità, per di più patologica, delle dichiarazioni verbalizzate.

Quanto al secondo motivo si deve rilevare che l’attendibilità della vittima risulta adeguatamente motivata con l’esclusione della prova di intenti calunniosi o di anomalo protagonismo nella vittima della quale logicamente viene invece sottolineata la riservatezza del carattere e la prudenza e la maturità dimostrata.

Correttamente si evidenzia inoltre il numero degli episodi contestati e si argomenta sulla plausibilità dell’iniziale turbamento della bambina che tuttavia – come da questi ultimi confermato – aveva riferito ai compagni ed alla professoressa D..

Adeguatamente scrutinato appare anche il comportamento della Preside e l’esclusione di una "psicosi di gruppo" che avrebbe favorito l’insorgere delle accuse.

Le doglianze del ricorrente, che tra l’altro contesta l’univocità degli elementi di accusa e la certezza degli episodi, anche con riferimento alle dichiarazioni della dottoressa M., si sostanziano in rilievi di merito che in questa sede non possono trovare accesso essendo inibita la nuova valutazione degli elementi di prova.

Al rigetto del ricorso consegue per il ricorrente l’onere del pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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