Cass. civ. Sez. III, Sent., 11-02-2011, n. 3464 Prelazione e riscatto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Bari, con la sentenza ora impugnata per cassazione, ha confermato la prima sentenza che aveva accolto la domanda di rilascio proposta dalla soc. COGESCA di relativamente ad immobili detenuti dalla Coop. Vitivinicola s.r.l. ed aveva respinto la domanda di quest’ultima per il riscatto ed il risarcimento del danno. In particolare, il giudice d’appello ha escluso il diritto di prelazione della Coop. rilevando che il rapporto in virtù del quale questa deteneva gli immobili era da qualificarsi come affitto d’azienda e che, peraltro, la detenzione successiva alla scadenza contrattuale del 30.9.1993, da parte della Coop. stessa, era da ritenersi di mero fatto.

Propone ricorso per cassazione la Coop. a mezzo di due motivi.

Rispondono con controricorso la COGESCA e la Società Gestione per il Realizzo spa in liquidazione. Queste ultime hanno depositato memorie per l’udienza.

Motivi della decisione

Il primo motivo contiene due quesiti (richiesti a pena d’inammissibilità in relazione alla data di deposito della sentenza impugnata) che attengono alla qualificazione di affitto d’azienda data dal giudice d’appello al rapporto intercorrente tra le parti. In questi quesiti la ricorrente valorizza una serie di elementi la cui valutazione – sostiene la stessa – avrebbe portato all’accertamento che, invece, tra le parti era intercorsa una locazione, con conseguente diritto al riscatto.

A tal riguardo bisogna innanzitutto osservare che i quesiti posti attengono all’interpretazione del contratto, sicchè il motivo avrebbe dovuto censurare la violazione dei canoni legali ermeneuti nei quali sia eventualmente incorso il giudice; invece, l’impugnazione è stata posta con riguardo ai vizi della motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Per altro verso, la stessa letterale impostazione dei quesiti pone l’accento sulla "valutazione" delle clausole contrattuali e di una serie di elementi a corredo che, secondo la tesi difensiva, porterebbero a riconoscere l’esistenza effettiva di una locazione e non di un "nominalistico" affitto d’azienda. Sennonchè, è agevole rilevare a riguardo che tutto ciò che concerne la valutazione degli elementi probatori emersi accede al giudizio di merito e sfugge da quello di legittimità, almeno che non si sia verificata l’omessa valutazione di un punto controverso che, se correttamente valutato, avrebbe condotto ad una diversa conclusione del processo. Ipotesi, quest’ultima, che, secondo la prospettazione contenuta nello stesso ricorso, non si è in concreto verificata, posto che gli elementi segnalati dalla parte, confrontati con altri, non sono stati ritenuti dal giudice idonei ad accertare la concreta sussistenza di un rapporto diverso da quello che le stesse parti hanno definito come affitto d’azienda. Convincimento che è stato espresso attraverso motivazione congrua e logica, sottraendosi, così, alla censura di legittimità.

Il secondo motivo concerne il punto della sentenza in cui s’afferma che la detenzione degli immobili da parte della società, successivamente alla scadenza contrattuale, era da considerarsi come di mero fatto. Anche in questo caso il ricorso prospetta questioni di fatto, tendenti ad un diverso accertamento del merito della controversia.

Il ricorso deve essere, dunque, respinto, con condanna della ricorrente a rivalere le controparti delle spese sopportate nel giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida, in favore di ciascuna delle contro ricorrenti, in complessivi Euro 5200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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