Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-10-2010) 20-01-2011, n. 1787 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con ordinanza del 3 luglio 2009 il Tribunale del riesame di Napoli rigettava l’appello proposto da B.P. avverso il provvedimento del GIP dello stesso Tribunale in data 11 maggio 2009 di rigetto della sua istanza intesa ad ottenere la revoca della misura cautelare della custodia in carcere, a lui applicata con precedente ordinanza del GIP di Napoli in data 28 aprile 2008, siccome indagato per i delitti di partecipazione ad associazione mafiosa e falso.

L’Accusa consisteva essenzialmente nel fatto che B.P. avrebbe favorito la latitanza del capo – clan I.A., fornendo al figlio di quest’ultimo I.O., che lo andava a trovare, la carta di identità del proprio figlio B.F. R., alla quale veniva sostituita la fotografia.

In accoglimento del ricorso del B. la Corte di Cassazione, con sentenza emessa in data 7 gennaio 2010, annullava con rinvio l’ordinanza impugnata sul presupposto che era necessario individuare altri indizi, dal momento che era rimasto provato che la carta di identità era stata regolarmente usata dal suo titolare B. F.R., figlio di B.P. e che, pertanto, illogica era la motivazione sull’uso in alcune occasioni della stessa carta di identità da parte di soggetto diverso.

Il Tribunale del riesame di Napoli, rivisitata la questione, con ordinanza del 23 aprile 2010 rigettava nuovamente l’appello in base alla considerazione che da una intercettazione telefonica risultava con chiarezza che il B.P., che stava conversando con D. N.R., aveva sostenuto che più volte aveva prestato la carta di identità di cui si discute ad I.O. e che si doleva del fatto che tale suo comportamento, per la scorrettezza di altra persona, divenisse di dominio pubblico, elemento questo che non poteva ritenersi superato dalla prova che B.F.R. avesse legittimamente utilizzato la sua carta di identità.

Con il ricorso per cassazione B.P. deduceva la manifesta illogicità della motivazione della ordinanza impugnata perchè non rispettosa del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, la quale aveva detto che era necessario trovare altri indizi a carico del B. dai quali desumere la sua intraneità alla associazione.

Rilevava inoltre il ricorrente che il fatto che dopo la telefonata intercettata – dalla quale si desumeva che la carta di identità era stata strappata – fosse stato rilasciato un duplicato senza preventiva denuncia non aveva significato posto che la nuova carta era stata rilasciata con denuncia presentata il 5 agosto 2004.

Inoltre non avrebbe potuto il Tribunale richiedere la prova della integrità del documento del B. trattandosi di prova diabolica e che non era vero che il dato della integrità fosse smentito dal giudicato cautelare, posto che la documentazione, quale elemento di novità a sostegno del gravame era stata prodotta in sede di appello.

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da B.P. non sono fondati.

Il problema da risolvere per il giudice di rinvio consisteva nel fatto che a sostegno della istanza di revoca della misura della custodia cautelare in carcere il B. aveva dimostrato che il figlio B.F.R. aveva utilizzato in alcune occasioni la carta di identità a lui stesso intestata, fatto ritenuto nuovo dalla Corte di Cassazione e sul quale non vi era stata adeguata motivazione da parte del Tribunale del riesame.

Tale fatto, secondo l’assunto del ricorrente, rendeva non possibile ritenere che la stessa carta di identità fosse stata usata da I.O. per andare a trovare il padre latitante I. A. senza essere fermato dalle forse di polizia. Ebbene il giudice di rinvio ha esaminato tale nuovo elemento unitamente agli altri elementi esistenti a carico del ricorrente ed ha rigettato nuovamente l’appello del B..

La motivazione dell’impugnato provvedimento non merita censure sotto il profilo della legittimità.

In effetti il Tribunale ha posto in evidenza che a carico del B. vi era una sua sostanziale confessione perchè, come si è già posto in evidenza, in una telefonata intercettata con tale D. N.R., aveva affermato che più volte aveva prestato la carta di identità di cui si discute ad I.O. perchè andasse a trovare il padre e che si doleva del fatto che altri fossero a conoscenza della circostanza.

Inoltre il B. aveva detto che per I.A., al quale voleva bene, avrebbe dato anche la vita.

Il valore indiziante di tale elemento appare molto significativo perchè il ricorrente ha sostanzialmente ammesso di avere favorito la latitanza del capo clan I.A., illustrandone le modalità, ed ha manifestato la sua completa disponibilità per le esigenze dello stesso.

Orbene soltanto una persona intranea al gruppo criminale poteva essere a conoscenza del luogo ove si nascondeva il capo di una organizzazione camorristica, latitante da numerosi anni e soltanto una persona completamente disponibile alle esigenze del latitante poteva usare uno stratagemma che avrebbe potuto coinvolgere anche i figli in gravi processi.

Del resto garantire la latitanza di un pericoloso capo clan ed assicurare gli incontri dello stesso con esponenti della famiglia significa certamente fornire un apporto considerevole e per nulla marginale alla sopravvivenza del gruppo malavitoso.

Orbene si tali elementi, dei quali oramai non più si discute, sono coperti dal giudicato cautelare perchè resi manifesti nella ordinanza impositiva della misura e convalidati dal Tribunale del riesame.

La circostanza che B.F.P. avesse usato in alcune circostanze la sua carta di identità non è circostanza tale da modificare quanto già acquisito. Intanto, come suggerisce il giudice di rinvio, l’uso del documento da parte del B. non esclude affatto che lo stesso documento possa essere stato utilizzato da I.O., potendo essere sufficiente cambiare fotografia sul documento stesso, cosa agevole per abili falsari.

Ma vi è di più, come messo in evidenza dal giudice di rinvio, perchè risulta che il ricorrente abbia richiesto ed ottenuto due duplicati della carta di identità in discussione, in un caso, a quanto pare, addirittura prima della denuncia di smarrimento.

Ma anche a volere ammettere che almeno uno dei documenti sia stato rilasciato dopo la denuncia di smarrimento o contemporaneamente alla presentazione della denuncia, come sembra sostenere il ricorrente, senza, quindi, che fossero stati esperiti accertamenti sulla veridicità della denuncia stessa, non vi è alcun elemento che autorizzi a ritenere veritiera la denuncia stessa. Quindi è ben possibile che il B. utilizzasse l’originale della carta di identità e lo I., contemporaneamente, il duplicato del documento debitamente falsificato.

Insomma ed in conclusione, come è stato correttamente e del tutto ragionevolmente ritenuto dal Tribunale del riesame, il presunto fatto nuovo costituito dall’uso, in alcune occasioni, della sua carta di identità da parte del titolare B.F.P. non mette assolutamente in discussione gli altri elementi indiziari esistenti a suo carico, sui quali si è formato giudicato cautelare, perchè non esclude affatto l’uso da parte di I.O. dello stesso documento, dopo la sostituzione della fotografia, o di un duplicato dello stesso opportunamente falsificato.

Per le ragioni indicate il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.

La Cancelleria è tenuta agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del procedimento;

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti previsti dall’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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