Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 17-01-2011, n. 26 Regolamento di giurisdizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al T.A.R. Palermo, la società "Pesce Azzurro Cefalù" ha impugnato: a) il provvedimento prot. n. 1845/02, con il quale l’Assessorato regionale del lavoro – Dipartimento regionale lavoro – Servizio interventi per l’occupazione e l’impiego ha rigettato l’istanza di erogazione del contributo di cui all’art. 9 della L. n. 27/01; b) la nota prot. n. 6462/2001/Gab.Cert.Ant. del 13.9.2002, con la quale l’Ufficio Territoriale del Governo ha evidenziato, nella "c.d. certificazione antimafia", che nei confronti della società istante erano emersi, ai sensi dell’art. 10, comma 2, del D.P.R. n. 152/98, elementi relativi a tentativi di infiltrazioni mafiose tendenti a condizionarne le scelte e gli indirizzi. A sostegno del gravame proposto, deduceva le censure di: I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998 n. 252. Eccesso di potere sotto i profili del difetto dei presupposti e della violazione di circolari ed istruzioni;

II) Violazione dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990 n. 241 e dell’art. 3 della L. 30 aprile 1991 n. 10.

Eccesso di potere per omessa e/o insufficiente motivazione.

Con successivi motivi aggiunti del febbraio 2003 articolava l’ulteriore motivo di: III) Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del D.Lgs. 8 agosto 1994 n. 490 e dell’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998 n. 252. Eccesso di potere sotto i profili del difetto dei presupposti e della violazione di circolari ed istruzioni, nonché ribadita la censura di difetto di motivazione.

Parte ricorrente sosteneva sostanzialmente che i provvedimenti impugnati si ponevano in contrasto con le disposizioni di legge e di quelle regolamentari che disciplinano il potere esercitato dalla Amministrazione.

Si costituiva l’Avvocatura dello Stato, per le amministrazioni intimate, per resistere al ricorso, depositando fascicolo di documenti.

Con sentenza n. 1106/09, il T.A.R. Palermo ha respinto il superiore gravame.

Con l’appello in epigrafe, la società "Pesce Azzurro Cefalù" ha ribadito i seguenti motivi, dedotti con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, con i quali ha censurato i provvedimenti impugnati:

– violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del D.Lgs. n. 490/1994 e dell’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998 nonché eccesso di potere sotto i profili del difetto dei presupposti e della violazione di circolari ed istruzioni e difetto di motivazione.

L’Amministrazione avrebbe chiesto all’U.T.G. la "c.d. informativa antimafia" pur non ricorrendone i presupposti, considerato che l’importo dei singoli contributi annuali, essendo inferiore alla prescritta soglia di 300.000.000 di lire, escludeva l’obbligo per l’Amministrazione di richiedere le informazioni di cui al D.Lgs. n. 490/94 ed al D.P.R. n. 252/1998 sopra richiamati. L’Amministrazione, inoltre, ammesso che avesse tale facoltà, avrebbe comunque dovuto motivare tale decisione nell’atto impugnato;

– violazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990 e dell’art. 3 della L. n. 10/1991 nonché eccesso di potere per omessa e/o insufficiente motivazione.

Nella nota dell’U.T.G. di Palermo, prot. n. 6462/2001 del 13.9.2002, con la quale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 10, comma 2, del citato D.P.R. n. 252/98, si comunica alla Regione che dalle verifiche disposte e per quanto risulta agli atti di quella Prefettura sono emersi elementi relativi a tentativi di infiltrazioni mafiose tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della Società Pesce Azzurro Cefalù, mancherebbero indicazioni circa la fattispecie legale cui l’Amministrazione ha fatto riferimento nonché elementi di riscontro oggettivo alla valutazione espressa;

– l’Amministrazione, avendo scelto di chiedere le informazioni antimafia pur non ricorrendone l’obbligo, non potrebbe esimersi, nel caso di rigetto dell’istanza di contributo, dal motivare circa l’uso in concreto del potere discrezionale esercitato richiedendo tale informativa;

– la valutazione contenuta nell’informativa prefettizia impugnata si baserebbe su elementi di fatto talmente insufficienti da renderla, peraltro, irragionevole e sostanzialmente illogica.

Con apposita memoria, la difesa Erariale ha chiesto il rigetto dell’appello, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a decidere sulla controversia de qua nonché deducendone l’infondatezza nel merito.

Alla pubblica udienza del 16 marzo 2010, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Preliminarmente, va esaminata la censura con cui la difesa Erariale ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Invero, il Collegio, rilevando che l’eccezione, non proposta davanti al Giudice di prime cure, è stata sollevata non con il rituale appello incidentale avverso la sentenza di primo grado, ma con memoria volta a contestare i motivi del ricorso in appello, ritiene che essa sia inammissibile. D’altra parte, vero è che l’art. 37 c.p.c. stabilisce che: "Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali è rilevato, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo", tuttavia, va rilevato che, con la sentenza 9 ottobre 2008, n. 24883, le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno fornito una interpretazione innovativa, restrittiva e costituzionalmente orientata del suddetto art. 37 c.p.c.

In sintesi la Corte di Cassazione a SS.UU. ha affermato che la questione di giurisdizione non è più sollevabile (né dalle parti, né ex officio) allorquando nei precedenti gradi di giudizio non sia stato posto il problema in modo esplicito e, di conseguenza, sia proseguito l’iter giudiziario innanzi al giudice "apparentemente" munito di giurisdizione.

L’art. 276, comma 2, c.p.c. prevede che: "Il Collegio decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e quindi il merito della causa", sicché l’emanazione di una decisione nel merito comporta, di per sé, che ogni questione inerente la giurisdizione sia stata risolta positivamente anche se non esplicitamente affrontata. In altri termini, ogni decisione assunta nel merito della causa presuppone necessariamente che il giudice abbia preventivamente e positivamente stimata sussistente la propria potestas iudicandi sulla controversia; il ché significa che anche nelle decisioni in cui la questione di giurisdizione non venga espressamente affrontata si forma una statuizione sul punto, con la conseguenza che la mancata proposizione di appello implica una acquiescenza sulla questione e determina la formazione di un giudicato implicito, intangibile in Cassazione al pari di quello esplicito.

Nel merito, l’appello va respinto per infondatezza.

L’odierno ricorrente eccepisce sostanzialmente che l’Amministrazione avrebbe chiesto la c.d. "Informativa antimafia" pur non essendone obbligata, considerati i singoli importi di contributo annualmente richiesti e che i provvedimenti impugnati sarebbero illegittimi perché privi di motivazione ovvero insufficientemente motivati.

Si osserva, al riguardo, che l’importo complessivo del contributo dovuto alla società ricorrente, oggetto del provvedimento impugnato, superava la soglia al di sopra della quale l’Amministrazione è tenuta a richiedere l’informativa antimafia, pertanto non pare che il comportamento assunto dall’Amministrazione nella specifica circostanza possa ritenersi censurabile, a nulla rilevando il fatto che i singoli importi di contributo annuale dalla stessa richiesti siano stati cumulati in un ammontare complessivo per motivi estranei alla volontà della società.

Inoltre, anche a voler ammettere che l’Amministrazione avrebbe dovuto considerare i singoli importi richiesti annualmente dall’odierno ricorrente al fine di stabilire se ricorresse l’obbligo di richiedere l’informativa antimafia, non si può escludere che una tale iniziativa, rientrante nelle prerogative della P.A., sia legittima, anche laddove l’obbligo in argomento non sussista normativamente.

Per quel che concerne l’impugnato provvedimento n. 1845/2002 con cui l’Assessorato appellato, sulla base della c.d. "informativa antimafia", di cui alla nota n. 6462/2001 dell’U.T.G., anch’esso impugnato in primo grado, ha rigettato l’istanza di erogazione del contributo richiesto dalla società ricorrente, va evidenziato che il D.Lgs. n. 490/1994 ed il D.P.R. n. 252/1998, alla stregua della complessiva normativa antimafia, prevedono misure di natura preventiva particolarmente severe e, tuttavia, legittime perché volte a contrastare l’elevato pericolo che il fenomeno mafioso costituisce per l’ordinato sviluppo economico e sociale non solo della Sicilia, ma dell’intero Paese.

Le misure interdittive ivi previste non devono necessariamente avere quale presupposto l’esistenza di fatti penalmente rilevanti, accertati in via giurisdizionale, ma ben possono trovare fondamento nella valutazione della sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa desunti dal Prefetto dagli elementi in suo possesso relativi all’impresa che viene in considerazione. Orbene, nel caso di specie, dalle informazioni trasmesse al Prefetto di Palermo dai competenti organi investigativi emerge, con riferimento alla società ricorrente, una serie di elementi che, se singolarmente considerati, possono ritenersi insufficienti a comprovare la sussistenza dei presupposti per l’adozione dei provvedimenti interdittivi in questione; tuttavia, qualora valutati nel loro insieme, consentono di tratteggiare un quadro invero preoccupante, sufficiente a giustificare la valutazione del Prefetto, assunta sulla base dei suddetti presupposti normativi, circa la sussistenza degli estremi per l’applicazione delle misure di carattere preventivo in concreto disposte.

Invero, non pare che si possa dubitare della legittimità dei provvedimenti ex adverso impugnati solo che si consideri l’esito del contesto informativo, di seguito riportato, emerso dalle investigazioni svolte, dagli organi di polizia a ciò deputate, nei confronti dei soggetti a vario titolo riconducibili alla società appellante.

Il Presidente del Consiglio di amministrazione, Serio Giuseppe, è stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, perché ritenuto responsabile dei reati di cui all’art. 648 c.p. e art. 7 del D.L. n. 152/91, anche se non va sottaciuto che lo stesso è stato poi prosciolto.

Il socio To.To. è cognato di Gu.Ca.Sa., ritenuto dagli organi di polizia "indiziato mafioso".

Il socio Pileri Giovanni ed i signori Co.An., Me.Gi. e Tr.An. sono ritenuti inseriti in ambienti mafiosi e malavitosi.

Il sindaco effettivo Fi.An. ed il sindaco supplente Pi.Gi. sono sospettati di mafiosità, a nulla rilevando che essi, nel corso del presente giudizio, abbiano rassegnato le dimissioni dall’incarico. Il suddetto Fi.An. è cognato di Im.Gi., pregiudicato per estorsione, truffa e danneggiamento, a sua volta cugino acquisito del defunto Fe.Gi., pluripregiudicato, già inserito nel contesto dell’organizzazione mafiosa Maronita.

Alla luce delle suddette evidenze, non pare dubitabile che il provvedimento impugnato, adottato dal Prefetto di Palermo nell’ambito dei suoi poteri discrezionali, sia rispondente ai presupposti normativi posti a suo fondamento e sia, pertanto, legittimo, così come lo è il conseguente provvedimento impugnato dell’Assessorato regionale del lavoro.

In conclusione, il ricorso va respinto.

Ritiene il Collegio che ogni altro motivo od eccezione possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe. Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 16 marzo 2010, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Chiarenza Millemaggi Cogliani, Paolo D’Angelo, Filippo Salvia, Pietro Ciani, estensore, componenti.

Depositata in Segreteria il 17 gennaio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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