Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 17-01-2011, n. 24 Edilizia ed urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1) – Con ricorso notificato il 24 maggio 2004, i signori An.Fu., Fr.Fu., Gr.Ba., Pi.Fi., Le.In., An.In., Pi.In., Pa.Ia. e Gi.Co. adivano il T.A.R Sicilia, sede di Palermo, chiedendo l’annullamento dei provvedimenti della Sovrintendenza di Agrigento, prot. n. 2401 e 2402, notificate mediante raccomandate del 25 marzo 2004 e aventi a oggetto il diniego del nulla osta per le istanze di sanatoria relative a due edifici residenziali ubicati nel territorio del Comune di Realmonte, contrada (…).

2) – Con sentenza n. 143 del 1 febbraio 2008, il T.A.R. respingeva il ricorso.

Quanto al primo motivo di censura, concernente la violazione dell’art. 17, comma 11, della legge regionale siciliana 16 aprile 2003, n. 4, a mente del quale "il parere dell’autorità preposta alla gestione del vincolo è richiesto, ai fini della concessione o autorizzazione edilizia in sanatoria, solo nel caso in cui il vincolo sia stato posto antecedentemente alla realizzazione dell’opera abusiva", il giudice adito faceva presente che tale disposizione legislativa era stata dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza n. 39 dell’8 febbraio 2006.

Era, altresì, respinto il secondo motivo di censura, con il quale i ricorrenti contestavano il potere della Soprintendenza di emanare provvedimenti limitativi del diritto di edificare in relazione a immobili la cui realizzazione (ancorché non ultimata) era cominciata in data anteriore a quella di imposizione del vincolo paesaggistico sull’area interessata.

Il T.A.R. faceva presente in proposito che lo stesso giorno in cui i lavori avrebbero dovuto essere avviati (secondo la comunicazione dei proprietari), il 14 maggio 1993, il Comune di Realmonte aveva diffidato i ricorrenti dall’intraprendere i lavori, emanando il successivo 19 maggio l’ordinanza di sospensione dei lavori.

Da tale momento – soggiungeva il T.A.R. – fino all’atto dell’imposizione del vincolo paesaggistico, nessuna sopravvenienza aveva mutato la situazione di fatto o di diritto in senso favorevole ai ricorrenti, si da consentire loro di poter legittimamente censurare i provvedimenti impugnati.

Il T.A.R. respingeva, infine, il terzo motivo di censura con il quale i ricorrenti contestavano il contenuto della scelta valutativa operata dall’Amministrazione preposta alla tutela del paesaggio, richiamando l’orientamento giurisprudenziale in base al quale "il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione deve pur sempre essere circoscritto nell’ambito di vizi della legittimità, non potendo sfociare nella pura e semplice sostituzione della scelta operata dall’amministrazione – se plausibile, corretta e tecnicamente accettabile – con la scelta tecnica del giudice".

3) – I ricorrenti hanno proposto appello contro la summenzionata sentenza.

Resiste all’appello l’intimata Amministrazione regionale.

4) – Con il primo motivo di censura, gli appellanti ripropongono la tesi secondo cui i vincoli paesaggistici, e comunque afferenti alle bellezze naturali, non operano retroattivamente, non risultando applicabili alle opere già autorizzate ed iniziate prima dell’imposizione dei vincoli medesimi.

In particolare, gli appellanti sostengono di avere realizzato i manufatti esistenti sui terreni di loro proprietà nel giorno 14 maggio 1993 e durante il periodo di tempo intercorrente fra il 1 settembre e il 30 settembre 1993, sulla scorta di concessioni edilizie pienamente valide ed efficaci.

La censura è infondata.

Come rettamente obiettato dall’Avvocatura dello Stato, tale doglianza costituisce – di fatto – la proposizione, sotto altra veste, del primo motivo originario d’impugnazione, respinto in prime cure e in questa fase di appello abbandonato, relativo alla dedotta violazione dell’art. 17 comma 11, della legge regionale siciliana 16 aprile 2003, n. 4. Sennonché, in virtù della sentenza n. 39/2006 della Corte costituzionale, tale norma è stata espunta dall’ordinamento giuridico.

Più in dettaglio, come ricordato da questo C.G.A. nella recente decisione 18 novembre 2009, n. 1091, la Corte Costituzionale ha specificato che: "l’interpretazione autentica dell’art. 23, comma 10, della legge regionale n. 37 del 1985, fornita dallo stesso legislatore regionale con l’art. 5, comma 3, della legge n. 17 del 1994, ha contribuito al consolidarsi a livello regionale di una interpretazione omogenea e incontrastata di una disposizione che altrimenti avrebbe potuto produrre applicazioni difformi. D’altra parte, a livello nazionale, si è venuta affermando una soluzione analoga in sede di interpretazione giurisprudenziale dell’art. 32 della legge statale n. 47 del 1985, specie dopo l’intervento dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza del 22 luglio 1999, n. 20".

Ne consegue che, ai sensi dell’art. 23, comma 10, della legge regionale n. 37/1985, come autenticamente interpretato dall’art. 5, comma 3 della Legge regionale n. 17/1994, la concessione edilizia in sanatoria è subordinata al preventivo nulla osta della Soprintendenza anche per opere abusive realizzate in data antecedente all’imposizione del vincolo.

Ad ogni modo, nella fattispecie in esame deve escludersi che il vincolo sia stato apposto successivamente all’ultimazione dell’opera abusiva, risultando dalla documentazione in atti che il provvedimento della Commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali del 15 giugno 1993 (che ha esteso il vincolo paesaggistico gravante sulla zona alle aree di proprietà degli appellanti) è stato affisso sull’albo pretorio del Comune di Realmonte in data 16 luglio 1993, quando, cioè, era stato realizzato soltanto "una parte dello sbancamento necessario per la realizzazione delle fondamenta degli edifici".

5) – Con il secondo motivo di appello si ripropone il terzo motivo di impugnazione originaria con il quale gli appellanti avevano dedotto la censura di eccesso di potere per difetto di motivazione.

In particolare, si ripropone il contenuto di una consulenza tecnica nella quale si cerca di dimostrare come i fabbricati in questione "non rechino alcun disturbo al panorama del promontorio di Lido Rossello".

La censura è infondata.

Come rettamente osservato dal giudice di prime cure, la valutazione tecnico-discrezionale che si pretende di censurare è cosa diversa dalla soggettiva ricognizione del "disturbo" al "panorama", essendo correlata ad un più complesso ed articolato procedimento valutativo, peraltro analiticamente riprodotto nella strutturata motivazione dei provvedimenti gravati. Detta motivazione, per vero, richiama un fenomeno di "disturbo ambientale", causato dal fabbricato considerato per effetto della sua frapposizione all’interno del cono visuale che unisce Capo Rossello con la Scala dei Turchi, ma lo collega, opportunamente, a "quegli aspetti singolari che il vasto panorama costiero con i suoi promontori suscitano a chi voglia ammirare in modo unitario lo splendore del panorama, che con ritmo serrato mostra il succedersi di forme e colori…".

A ben vedere, dunque, la pretesa di sindacare il merito della valutazione paesaggistica si infrange, prima ancora che contro i caratteri del sindacato giurisdizionale di tali poteri, contro i limiti di una critica non obiettiva e, soprattutto, non unitaria dello stato dei luoghi e delle connesse caratteristiche paesaggistico – ambientali.

6) – Con il terzo motivo di appello è riproposta la doglianza volta a censurare la parte motiva dei provvedimenti impugnati nella parte in cui la Soprintendenza aveva ritenuto di soffermarsi anche su questioni strettamente attinenti alla geologia e paleontologia con argomentazioni – come sostengono gli appellanti – che sarebbero state di esclusiva competenza dell’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste il quale, nel caso di specie, aveva rilasciato il proprio nulla osta alla realizzazione degli interventi edilizi.

In particolare, la critica si appunta avverso la parte delle premesse dei provvedimenti impugnati in cui la Soprintendenza riferiva che "il sito in questione analogamente a punta Maiata e alla più celebre Scala dei Turchi è considerato, dal punto di vista delle condizioni lito-stratigrafiche di particolare pregio, di singolarità di tipo geologico con la presenza di calanchi argillosi il cui tipico aspetto è la sintesi di processi millenari determinati dagli aspetti esogeni; esso è parte integrante di una fascia in cui è riscontrabile una stratigrafia con peculiarità sedimentologiche e paleontologiche di notevole interesse a riferimento regionale e interregionale".

La censura è infondata.

Contrariamente a quanto sostenuto nella consulenza tecnica di parte deve escludersi che la Soprintendenza abbia voluto "prospettare una condizione di pericolo per la stabilità della formazione arrecata o comunque correlata con la presenza dei fabbricati".

Il giudizio espresso dalla Soprintendenza sul punto s’inserisce pur esso nella valutazione ambientale che si è sopra esposta.

7) – Gli appellanti hanno, infine, sostenuto l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha ritenuto di disporre la loro condanna al pagamento delle spese di lite.

A loro avviso, il T.A.R. aveva omesso di considerare che il primo motivo di impugnazione, a mezzo del quale era stata dedotta la violazione dell’art. 17, comma 11, della L.R. n. 4/2003, pur fondato, non aveva potuto trovare accoglimento in quanto la richiamata disposizione di legge era stata dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 39/2006 della Corte Costituzionale.

La censura è infondata, perché non considera che, come si ricava dall’art. 136 Cost. e dalla legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, le sentenze di accoglimento di un’eccezione di illegittimità costituzionale hanno effetto retroattivo, con l’unico limite delle situazioni consolidate per essersi il relativo rapporto definitivamente esaurito (cfr., di recente, Cass. Civ., sez. III, 5 marzo 2007, n. 5074).

8) – In conclusione, per le suesposte considerazioni, l’appello deve essere respinto, con assorbimento di ogni altro motivo od eccezione, in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

Le spese e gli onorari del giudizio sono posti a carico degli appellanti e sono liquidati a favore dell’Amministrazione appellata nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, respinge l’appello.

Condanna gli appellanti al pagamento a favore dell’Assessorato ai Beni Culturali e Ambientali della Regione Siciliana delle spese, competenze e onorari del giudizio che liquida complessivamente in Euro 4.000,00 (quattromila/00) oltre accessori di legge.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo il 16 marzo 2010, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Chiarenza Millemaggi Cogliani, Guido Salemi, estensore, Filippo Salvia, Pietro Ciani, componenti.

Depositata in Segreteria il 17 gennaio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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