Cass. civ. Sez. I, Sent., 11-02-2011, n. 3400 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il curatore del Fallimento S.M.U.T. s.r.l., dichiarato nel marzo del 1993, chiamò in giudizio la Banca di Cividale s.coop. davanti al Tribunale di Udine, chiedendo la revoca di tre versamenti di natura solutoria, per complessive L. 74.559.765, eseguiti dalla società – poi dichiarata fallita – nel periodo sospetto compreso tra l’aprile e l’ottobre 1992, in pagamento di un debito scaduto già nel luglio 1991. Il Tribunale di Udine accolse la domanda con sentenza 9 luglio 2001.

Contro di essa la banca propose appello, che la Corte d’appello di Trieste respinse con sentenza in data 29 gennaio 2005. Esaminando i motivi di gravame la corte osservò che:

– già nel luglio del 1991 la banca aveva messo in mora la società debitrice, la quale versava in uno stato di illiquidità protrattosi sino all’aprile successivo senza che intervenisse alcun pagamento e che la creditrice cominciasse alcuna azione esecutiva, essendo consapevole della sua inutilità;

– la consapevolezza dello stato economico della società debitrice era confermato dalla lettura delle considerazioni della filiale nella scheda interna della canea creditrice, in data 7 agosto 1992;

– dalla relazione di pagamento di L. 50.000.000, risultava, infatti, che il pagamento, eseguito il 15 maggio 1992, era stato promesso da un socio della debitrice, D., con i mezzi offerti dall’incasso della somma erogata da una società di leasing per un acquisto in lease back di beni strumentali;

– la promessa utilizzazione del ricavo della vendita in lease back di un bene strumentale per il pagamento del debito dimostrava che la debitrice non era in grado di far fronte ai pagamenti con i mezzi ordinari;

– la banca aveva ammesso che la debitrice non aveva poi osservato gli impegni del piano di rientro formulato nell’agosto del 1992, e solo nell’ottobre dello stesso anno era seguito un pagamento.

Per la cassazione di questa sentenza, notificata il 4 aprile 2005 alla Banca Popolare di Cividale soc. coop., questa nonchè la Banca di Cividale s.p.a., cessionaria dell’azienda bancaria, ricorrono con atto notificato il 24 maggio 2005, per due motivi trattati congiuntamente.

Il fallimento resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

Il ricorso reca in epigrafe l’indicazione di due mezzi d’impugnazione, il primo per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2697 e 2729 c.c. in relazione all’art. 67, comma 2, Legge Fallimentare, e il secondo per vizi di motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Sotto tale rubrica mista sono svolti vari argomenti critici in ordine alla statuizione impugnata, nella parte concernente l’affermazione della scientia decoctionis da parte della banca. Più precisamente, si censura:

– la confusione, che il giudice di merito avrebbe fatto, tra illiquidità, costituente "anticamera della decozione", e stato d’insolvenza: si tratta tuttavia di censura contraddetta dalla ripetuta affermazione, nel corpo della sentenza, che le modalità del pagamento nel maggio del 1992 di parte del debito verso la banca scaduto da nove mesi dimostravano l’incapacità della società di far fronte ai pagamenti con mezzi ordinari;

– la tardività della deduzione da parte della curatela dell’efficacia indiziaria dell’operazione finanziaria di lease back:

censura che, teoricamente suscettibile di esame sotto il profilo della nullità del procedimento, non si coordina con alcun mezzo d’impugnazione riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (la violazione gli artt. 115 e 116 c.p.c. concerne non la regolarità del procedimento ma la valutazione della prova, che è riservata, come l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, al giudice di merito, mentre il sindacato di legittimità può esercitarsi solo sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5);

– l’anomalia dei mezzi utilizzati per il pagamento nel maggio 1992:

la censura, fondata sullo schema negoziale del lease back, che non contiene vincoli di scopo del finanziamento, è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendo, poggiante sulla necessità della debitrice di procurarsi la provvista per pagamento attraverso la cessione in lease back delle attrezzature produttive.

A tali censure fanno seguito altre considerazioni critiche attinenti specificamente al merito.

Il ricorso è pertanto infondato. Al rigetto di esso segue la condanna della parte soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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