Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 07-10-2010) 20-01-2011, n. 1774

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1.-Il Tribunale di Catania ha rigettato l’istanza di riesame del provvedimento di applicazione della misura della custodia cautelare nei confronti del B., indagato del reato di furto aggravato, per essersi impossessato di vari gioielli in oro e argento, di un telefono cellulare, di documenti e libretti bancali, di duemila Euro in contanti e di un servizio di posate da 24 pezzi placcato in oro, sottraendoli dall’abitazione di C.G. ove si era introdotto previa rottura del vetro della porta di ingresso.

2. – Il B. propone ricorso per cassazione, deducendo che il Tribunale non aveva evidenziato i gravi indizi e che, comunque, questi erano contraddittori, in quanto mentre il derubato aveva riferito che la ex moglie L.G., si era vantata di essersi ripresa la posateria che le apparteneva e una telefonata anonima aveva indicato come autore del furto esso B., facendo riferimento all’amicizia tra esso e la L. non era stato valutato il contrasto tra il B. e la L.G., nè erano state valutate le esigenze cautelari.

2.- Il ricorso è manifestamente infondato.

I motivi attengono esclusivamente alla valutazione di merito del provvedimento, che invece è logica, in quanto fa riferimento al fatto che sul vetro rotto della porta dell’immobile della parte lesa da dove erano stati sottratti gli oggetti, erano state trovate impronte papillari ritenute, dagli accertamenti effettuati dal Ris di (OMISSIS), appartenenti all’indagato perchè coincidenti in 17 punti con quella già repertata dell’indagato e tenuto conto che non vi era ragione che il B. avesse frequentato la casa della parte lesa.

Lo stesso Tribunale poi logicamente ha evidenzialo che le modalità del fatto e il precedente specifico rendevano concreto il rischio della reiterazione del reato per cui si procedeva e che l’entità della pena irroganda non prevedeva la sospensione della stessa.

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in Euro 1000,00, tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità".( Corte Cost. 186/2000).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti ex art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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