Cons. Stato Sez. IV, Sent., 18-01-2011, n. 357 Questioni di legittimità costituzionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Il Comune di Scanzorosciate, con ricorso iscritto al n. 9980 del 2007, propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione prima, n. 1142 del 6 novembre 2007 con la quale è stato accolto il ricorso presentato da B.G.P., L.P., E.F.P. e O.Z. contro lo stesso Comune e nei confronti dell’impresa L. Srl per l’annullamento del decreto del 30 gennaio 2007 n. 149 di esproprio definitivo per lavori di sistemazione di via G. B. M. e degli atti ad esso connessi.

Davanti al giudice di prime cure, i ricorrenti, proprietari ovvero usufruttuari di abitazioni nella frazione di Rosciate, dove si accede mediante una strada privata costituita da porzione della locale via G.B. M., chiusa verso la provinciale n°68, in quel tratto denominata via Polcarezzo, impugnavano il decreto di esproprio, ablativo del loro diritto di proprietà sul relativo sedime e volto a rendere possibili lavori di sistemazione della carreggiata.

Avverso tale provvedimento, veniva proposto ricorso articolato in otto motivi di doglianza:

– con il primo motivo (corrispondente alla quinta censura), si deduce la violazione dell’art. 3 comma 2 della l. 3 gennaio 1978 n°1, per essere avvenuta l’immissione in possesso del terreno senza il rispetto del termine di legge;

– con il secondo motivo (corrispondente alla sesta censura), si deduce violazione degli artt. 51 l. 25 luglio 1865 n°2359 e 13 l. 22 ottobre 1971 n°865, per esser stato il decreto di esproprio notificato in forma amministrativa, anziché nelle dovute forme degli atti processuali civili;

– con il terzo motivo (corrispondente alla terza censura), si deduce la violazione dell’art. 7 l. 7 agosto 1990 n°241, per omesso avviso agli interessati dell’inizio del procedimento;

– con il quarto motivo (corrispondente alla quarta censura), si deduce la violazione dell’art. 3 comma 1 della l. 25 luglio 1865 n°2359, per ritenuta inattualità della previsione di copertura finanziaria contenuta nella deliberazione 14 marzo 2002 n°54 della Giunta comunale, che approvò il progetto definitivo dell’opera;

– con il quinto motivo (corrispondente alla prima parte della prima censura) si deduce la violazione dell’art. 1 comma 3 della l. 3 gennaio 1978 n°1. Si premette in proposito che l’opera sarebbe stata approvata quanto al progetto preliminare con la delibera 11 luglio 2000 n°138 della Giunta, e quanto al progetto definitivo con la deliberazione della stessa Giunta 14 marzo 2002 n°54, questa comportante dichiarazione di urgenza e indifferibilità dei lavori; pertanto, si sarebbe dovuta completare nel triennio successivo, ai sensi della norma citata;

– con il sesto motivo (corrispondente alla seconda parte della prima censura), si deduce la violazione dell’art. 13 della l. 25 luglio 1865 n°2359, per esser stato l’esproprio compiuto dopo l’inutile decorso del termine fissato dalla suddetta delibera di approvazione del progetto definitivo per l’ultimazione dei lavori, pari ad un anno e sei mesi dalla esecutività della delibera stessa;

– con il settimo motivo (corrispondente alla prima parte della seconda censura), si deduce l’illegittimità della reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio, che sarebbe avvenuta senza la necessaria motivazione nel Piano Regolatore approvato il 6 agosto 1998, nella variante 27 settembre 2001, nonché, asseritamente, nella delibera di approvazione del progetto;

– con l’ottavo ed ultimo motivo (corrispondente alla seconda parte della seconda censura), si deduce infine la presunta illogicità della previsione di piano, in quanto, a dire dei ricorrenti, l’opera realizzata produrrebbe una nuova immissione di veicoli, potenzialmente pericolosa, sulla via Polcarezzo.

Costituitosi il Comune di Scanzorosciate, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva fondate le doglianze proposte, annullando il provvedimento impugnato e condannando l’amministrazione convenuta alla retrocessione dei beni.

Contestando le statuizioni del primo giudice, il Comune appellante evidenzia l’erroneità della sentenza, impugnando tuttavia la decisione in relazione al solo capo con cui il T.A.R. imponeva la retrocessione del sedime stradale de quo. Nel giudizio di appello si costituivano B.G.P., L.P., E.F.P. e O.Z., avversando le censure di controparte.

All’udienza del 5 febbraio 2008, l’istanza cautelare del Comune veniva accolta con ordinanza n. 596/2008. All’udienza del 13 ottobre 2009, l’esame del merito veniva rinviato a data da destinarsi.

Nel prosieguo dei rapporti tra le parti, a seguito dell’annullamento del decreto di esproprio n. 149 del 30 gennaio 2007, in ragione del quale il Comune di Scanzorosciate si è immesso nel possesso dei terreni necessari alla trasformazione della via privata in strada comunale, con deliberazione n. 69 del 6 dicembre 2007 il Consiglio comunale ha deliberato di acquisire il sedime di tale opera di proprietà dei sig. P.B.G., P.E.F., P.L. e Z.O., facendo ricorso alla procedura prevista dall’art. 43 del D.P.R. 327/01.

In data 31 gennaio 2008 l’Amministrazione comunicava ai proprietari l’avvio del procedimento di acquisizione ex art. 43 del D.P.R. 327/01 ed invitava gli stessi ad un incontro presso la sede comunale, dove i proprietari rappresentavano le proprie perplessità circa il calcolo dell’indennizzo operato dal Comune.

A seguito di tale incontro il Comune invitava i proprietari a formulare per iscritto le proprie osservazioni entro il termine di dieci giorni e gli stessi provvedevano tempestivamente a depositare una nuova perizia di stima rispetto a quella già versata in atti nel corso del giudizio che aveva portato alla sentenza n. 1142/07.

Quattro mesi più tardi, con nota prot. n. 9715 del 26 giugno 2008 il Comune precisava che il tecnico incaricato aveva provveduto a controdedurre alla perizia di stima prodotta dai proprietari ed in conseguenza di ciò, nel trasmettere copia di dette controdeduzioni, riavviava il procedimento assegnando un ulteriore termine di 15 giorni per l’eventuale accettazione della stima, il decorso del quale, si legge nella comunicazione, "concluderà la fase transattiva".

Solo in data 10 dicembre 2008 il Comune notificava ai proprietari il decreto di acquisizione al patrimonio indisponibile adottato il giorno antecedente.

Avverso tale decreto, gli interessati proponevano ricorso al T.A.R., deducendo:

1. violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, violazione del principio di buon andamento, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., in ragione della durata del procedimento, ben oltre i novanta giorni dichiarati dall’Amministrazione in sede di avvio del medesimo;

2. violazione e falsa applicazione degli artt. 43 e 57 del D.P.R. 327/01 e difetto di potere. Dato il regime transitorio dettato dall’art. 57 del D.P.R. 327/01, l’art. 43 non avrebbe potuto essere applicato alla fattispecie, dovendosi far risalire la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera ad un momento anteriore all’entrata in vigore del Testo unico in questione;

3. illegittimità dell’art. 43 del D.P.R. 327/01 per violazione degli artt. 3, 24, 42, 76, 97, 113 e 117 della Costituzione, in quanto norma adottata in assenza di delega legislativa, in contrasto con i principi di cui all’art. 1 del Primo protocollo allegato alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e comportante la corresponsione di un risarcimento pari all’indennità di espropriazione;

4. violazione e falsa applicazione dell’art. 43 comma 2 del DPR 327/01, in quanto non sarebbero stati adeguatamente valutati e comparati gli interessi in conflitto, dal momento che la motivazione in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico sarebbe assolutamente generica ed apodittica, non è stato valutato il peso della nuova situazione imposta ai proprietari, né la percorribilità di soluzioni alternative e mancherebbe ogni valutazione in ordine alla spesa necessaria all’acquisizione;

5. violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del D.P.R. 327/01, in quanto l’amministrazione avrebbe tenuto conto, al fine della quantificazione del risarcimento del danno dovuto, esclusivamente del valore venale del bene e degli interessi moratori, ma non anche della diminuzione di valore del compendio per effetto dell’ablazione di gran parte del giardino e dell’impossibilità di realizzare box interrati. In violazione della suddetta disposizione, inoltre, nonché della sentenza n. 1796/2008 del T.A.R. Brescia, l’Amministrazione avrebbe omesso la liquidazione dell’indennità di occupazione dal momento dell’illegittima occupazione.

Costituitasi l’amministrazione comunale, il ricorso veniva deciso con la sentenza n. 57 del 2010, nella quale il giudice di prime cure, riteneva irricevibile il ricorso in relazione all’impugnativa del provvedimento sanante ex art. 43 del d.P.R. n. 347 del 2001, sospendendo il giudizio in relazione alle questioni ad esso collegate, in attesa della decisione di questa Sezione.

Avverso tale sentenza, propongono ora appello, con ricorso iscritto al n. 4204 del 2010, B.G.P., L.P., E.F.P. e O.Z., sottolineando come la sentenza non abbia fatto buon governo delle disposizioni vigenti in materia di espropriazione e di acquisizione sanante.

All’udienza del 16 novembre 2010, i due ricorsi sono stati congiuntamente discussi ed assunti in decisione.

DIRITTO

1. – In via preliminare, va disposta la riunione dei due appelli, in quanto le due diverse sentenze gravate si riferiscono a provvedimenti emessi in relazione alla stessa vicenda amministrativa.

2. – Ritiene al Sezione che la vicenda in esame debba essere valutata in relazione alla circostanza sopravvenuta della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 293 del giorno 8 ottobre 2010, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità).

La decisione del giudice delle leggi è intervenuta nel dichiarare l’illegittimità dell’art. 43 con riferimento all’art. 76, Cost., in quanto l’art. 7, comma 2, lettera d) della leggedelega 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998) aveva richiesto al Governo il mero "coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo". La norma in questione, pertanto, non poteva innovare del tutto ed al di fuori di ogni vincolo alla propria discrezionalità esplicitamente individuato dalla leggedelega e quindi si poneva in contrasto con l’ordinamento costituzionale.

L’espunzione della norma dal contesto ordinamentale impone a questa Sezione di evidenziarne la ricaduta nelle fattispecie in esame, trattandosi di rapporti non esauriti, in quanto proprio in relazione a provvedimenti che facevano applicazione di tali disposizioni sono state emesse le sentenze qui gravate. Gli appelli proposti andranno quindi valutati eliminando dal metro di giudizio la norma de qua, non potendosene fare ulteriore applicazione dal momento della declaratoria di illegittimità costituzionale.

3. – Venendo al merito della questione, l’appello del Comune non è fondato e va respinto.

Occorre rilevare come le ragioni di censura proposte attengono sostanzialmente all’unico motivo dell’impraticabilità della retrocessione del bene oggetto di espropriazione.

Evidenzia il Comune come nella sentenza gravata, la n. 1142 del 2007, il T.A.R. non abbia dato corretta applicazione proprio all’art. 43 del d.P.R. 327 del 2001, in raccordo con l’art. 35 del D.Lgs. n. 80 del 1998, non tenendo conto della manifestata intenzione di procedere all’applicazione del procedimento di acquisizione sanante e quindi impedendo la possibilità della retrocessione.

L’argomento non merita considerazione.

L’intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale del citato art. 43 del d.P.R. 327 del 2001 e quindi l’impossibilità per l’ente pubblico di giovarsi del procedimento acquisitivo ivi contemplato rendono inaccoglibile la censura, atteso che l’appello proposto non potrebbe consentire l’ulteriore prosieguo della procedura, nel senso voluto dal Comune, atteso che la norma di cui ci si intende valere è stata espunta dall’ordinamento.

Deve pertanto rigettarsi l’appello in questione, non essendo giuridicamente possibile per il Comune di Scanzorosciate procedere ulteriormente ad acquisire l’area di sedime de qua utilizzando uno strumento procedimentale non più presente nell’ordinamento.

4. – È invece fondato l’appello proposto da P.B.G., P.E.F., P.L. e Z.O. contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione prima, n. 57 del 15 gennaio 2010;

In questa decisione si controverteva appunto sul provvedimento emesso dal Comune, in base al citato art. 43 del d.P.R. 327 del 2001, di acquisizione dell’area di sedime de qua.

In relazione a tale impugnazione, il giudice di prime cure ha ritenuto il ricorso tardivo, rigettando in tal senso le censure proposte.

Tuttavia, anche in tal caso, l’appello viene ad incidere su una questione ancora pendente, perché azionata davanti agli organi giurisdizionali, e quindi anche in relazione a tale fattispecie l’intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale può esplicare i suoi effetti, non vertendosi in un rapporto esaurito.

Dovendosi quindi fare applicazione della disciplina normativa, come risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 293 del giorno 8 ottobre 2010, non può che notarsi come il Comune di Scanzorosciate abbia emesso il provvedimento gravato facendo uso di uno strumento normativo non più presente nell’ordinamento e quindi impiegando un potere non più esistente, nemmeno in astratto.

Ne deriva l’illegittimità dell’atto de qua e l’obbligo del suo annullamento.

5. – Conclusivamente, l’appello proposto dal Comune di Scanzorosciate avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione prima, n. 1142 del 6 novembre 2007 deve essere respinto, mentre invece l’appello proposto da B.G.P., L.P., E.F.P. e O.Z. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione prima, n. 57 del 15 gennaio 2010 è meritevole di accoglimento. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalla novità della questione, determinata dal mutamento del quadro ordinamentale, successivo allo svolgersi dei fatti di causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Dispone la riunione dei ricorsi n. 9980 del 2007 e n. 4204 del 2010;

2. Respinge l’appello n. 9980 del 2007;

3. Accoglie l’appello n. 4204 del 2010 e per l’effetto in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione prima, n. 57 del 15 gennaio 2010, accoglie il ricorso di primo grado;

4. Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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