Parere legale motivato di diritto civile – IPOTESI DI FALSO IN SCRITTURA PRIVATA A SOSTEGNO DI RICHIESTA DI DECRETO INGIUNTIVO DI PAGAMENTO.

a cura del dott. Domenico CIRASOLE

La questione in esame ci vede impegnati in un falso in scrittura privata.
TIZIO sostiene di aver ricevuto due scritture private da CAIO, con le quali riconosceva il suo debito.
Dette scritture, sono il fondamento di una richiesta di decreto ingiuntivo.
Il giudice viste le dichiarazioni di riconoscimento di debito, emetteva il decreto ingiuntivo, rilevando che il credito era certo ed esigibile.
CAIO, al contrario sostiene di non aver mai contratto debito con TIZIO, di non aver firmato alcuna dichiarazione in merito, e infine, riconosce come non proprie (falsificate) le sottoscrizioni apposte alle dichiarazioni.
Quindi CAIO, propone opposizione al decreto ingiuntivo, e denuncia TIZIO alla autorità giudiziaria, per falsità materiale delle scritture private.
Il P.M. contestava a TIZIO i reati di :
falso in scrittura privata;
falso in atto pubblico;
induzione in errore.

Le scritture private fanno piena prova, fino a querela di falso, della provenienza della dichiarazione di chi l’ha sottoscritta, a meno chè, non sono disconsciute come proprie ( art. 2702 c.c.).
Dette scritture possono essere usate anche per promettere un pagamento, o riconoscere un debito ( art. 1988 c.c.).
La dichiarazione che riconosce un debito fa piena prova, se non si dimostra il contrario ( art. 2720 c.c.).
Chi non riconosce le scritture, può proporre querela di falso ( art. 221 c.p.c.), affinchè venga provata la verità del documento, e dando prova in giudizio (art. 2967 c.c.), chiede istanza di verificazione ( art. 216 c.p.c.).
Il giudice se il credito, è certo, ed esigibile, su domanda del creditore, e sulla base delle scritture private proposte, pronuncia ingiunzione di pagamento ( art. 633 c.p.c.).
Le promesse di pagamento, dichiarate con scrittura privata sono prove che il giudice ritiene idonee, al fine di pronunciare ingiunzione di pagamento, che si conclude con l’accoglimento della domanda (art. 641 c.p.c.).
A tale decreto d’ingiunzione è possibile opporsi ( art.645 c.p.c.), o se divenuto esecutivo, impugnare ( art. 656 c.p.c.) davanti al giudice civile, per ottenere la sospenzione ( art. 649 c.p.c.), o la revocazione, dell’esecuzione dello stesso.
Inoltre è possibile chiederne revocazione della eventuale sentenza, se la stessa è l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra, sulla base di prove riconosciute false ( art. 395 c.p.c.).
Se invece la scrittura, è falsa, e facendone uso, procura a sè o ad altri un vantaggio, a querela di parte ( art. 336 c.p.), si può essere puniti, prevedendo una reclusione da sei mesi a tre anni ( art. 485 c.p.).
E’ altresi punito chi usa la scrittura falsificata, procurando a se o ad altri un vantaggio ( art. 489 c.p.).
Se sulla base di dette scritture private (falsificate), con inganno ( art. 48 c.p.), si induce in errore un pubblico ufficiale, che ricevendo un atto, nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, di ciò, è punito chi ha determinato l’inganno, con la reclusione da uno a sei anni.
La falsità è dichiarata nel dispositivo ( art. 537 c.p.p.), e con la stessa sentenza è ordinata la cancellazione dell’atto ( scrittura privata).
Il reato di falsità in scrittura privata tutela la circolazione dei documenti, e la fiducia che i consociati ripongono in essi ( cass.pen. 3331/00), ma altresì tutela il pregiudizio che si ricollega alle conseguenze, che dall’alterazione della verità, un soggetto sopporta (cass. pen. 1797/84).
Per scrittura privata va inteso quel documento, redatto senza un pubblico ufficiale, nel quale vi è una qualsiasi dichiarazione di volonta e scienza avente rilevanza giuridica ( cass.pen.12877/86).
Ai fini della condotta, rilevante per la configurazione del reato ex. 485, è importante constatare l’uso del documento falso, quale che sia il significato che allo stesso intende attribuire (cass.pen. 26173/03).
L’elemento psicologico dell’attore è nel trarre vantaggio di qualsiasi natura.
La modificazione, l’alterazione, e la falsificazione di firma apocrifa di persona esistente, realizzano il delitto di falsità materiale in scrittura.
Il reato si consuma nel momento in cui si fa uso della stessa scrittura, uscendo dalla sfera di disponibilità dell’agente, essendo irrilevante il verificarsi di un pregiudizio patrimoniale.
Il tentativo è configurabile quando si hanno condotte dirette a concretarne l’uso.
Il delitto di cui all’art. 485 c.p. è punito a querela di parte.
Detta parte può essere anche il soggetto che risenta di un danno in conseguenza dell’uso della scrittua.
Infatti poichè il delitto si configuri, è richiesto oltra la formazione della scrittura, anche l’uso.
I delitti contro la fede pubblica, al contrario del falso in scrittura privata, offendono direttamente e specificamente l’interesse pubblico, costituito dalla tutela della genuità materiale e della veridicità ideologica di certi documenti, e solo di riflesso ledono l’interesse del singolo.
La falsità può essere materiale (art.476-477-478 c.p.), oppure ideologica (art.479-480-481 c.p.), e riguardare atti pubblici, certificati, autoizzazioni, copie autentiche, ma anche scrittura privata collegata funzionalmente ad un atto amministrativo, per effetto dell’inserimento di esso nella relativa pratica, occorrente per il provvedimento finale.
Analizzando il caso in concreto la condotta consistente nel presentare un documento falso come titolo idoneo per la richiesta di emissione di un decreto ingiuntivo configura i presupposti dell’induzione in errore del pubblico ufficiale cui viene richiesto l’atto, con la conseguente responsabilità del soggetto che pone in essere l’inganno mediante il meccanismo di cui all’art. 48 c.p.(Tribunale Genova 13-01-2006).
A TIZIO è facile intuire che possa applicarsi la fattispecie prevista dall’art. 48 c.p., per aver indotto il giudice in errore presentando al giudice, al fine di ottenere ingiunzione di pagamento, due scritture private contenenti riconoscimenti di debito, apparentemente rilasciategli da CAIO, ma risultate integralmente false.
Inoltre l’art. 479 c.p. sanziona penalmente la condotta del pubblico ufficiale che "attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità", ed appare evidente l’errore del giudice.
In un procedimento civile la verifica della scrittura (art. 221 c.p.c.), è affidata al contraddittorio (art. 2967 c.c.) delle parti e deve essere accertata con sentenza.
La pronuncia di un decreto ingiuntivo sicuramente non attesta fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità (Cass. pen. 40691/08).
Il giudice che li aveva pronunciati aveva soltanto recepito in via del tutto provvisoria quanto aveva esposto TIZIO nei ricorsi proposti ex art. 633 c.p.c., senza aggiungere alcunchè in ordine alla autenticità e veridicità del suo contenuto.
CAIO ha giustamente proposto opposizione avverso il decreto di ingiunzione (art. 645 c.p.c.).
Il giudice non ha attestato nulla falsamente, nell’esercizio delle sue funzioni, ma ha solo provvisoriamente recepito le scritture che TIZIO aveva proposto a fondamento della sua domanda, senza aggiungere nulla sulla autenticita o meno delle scritture.
CAIO ha gli strumenti opportuni in sede civile per far accertare la falsità delle scritture, e opporsi al decreto.
Inoltre a parere dello scrivente non essendo provato che le scritture fossero false, non è ipotizzabile il reato ex 48 cp.
Concludendo a parere dello scrivente, non è applicabile a CAIO, nè l’art. 48 c.p. (per non aver indotto il giudice in errore, non essedoci una sentenza passata in giudicato che accerti la falsità delle scritture), nè tanto meno l’art. 479 c.p.(perchè il giudice non ha attestato nulla falsamente).

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