Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 07-10-2010) 20-01-2011, n. 1741 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 18 dicembre 2009 la Corte d’Appello di Roma, confermando la decisione assunta dal Tribunale di Frosinone, ha riconosciuto P.C. e P.V. responsabili, in concorso tra loro e col coimputato non ricorrente D.S. E., del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in relazione al fallimento della società "Confezioni Danae s.r.l.", della quale il primo era stato amministratore di diritto e il secondo di fatto; ha quindi tenuto ferma la loro condanna alle pene di legge e al risarcimento dei danni in favore del fallimento, costituitosi parte civile.

In fatto era accaduto che il P. avesse alienato due autovetture appartenenti alla società: l’una trasferendola ad altra società, denominata Aura, facente capo al suo stesso nucleo familiare; l’altra cedendola al Pa., a compensazione di un preteso credito di costui. Lo stesso Pa., inoltre, aveva effettuato prelievi dal conto corrente della società, sia il giorno stesso del fallimento, sia nei giorni successivi, prosciugando di fatto il saldo liquido.

Hanno proposto separati ricorsi per Cassazione i due imputati, per il tramite dei rispettivi difensori, ciascuno per le ragioni di seguito esposte.

Con l’unico suo motivo il Pa. denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sua qualità di amministratore di fatto; sostiene non esservi prova di un esercizio continuativo e significativo dei poteri di gestione; osserva inoltre che, a seguito della dichiarazione di fallimento, egli aveva perso ogni eventuale potere gestorio, per cui i prelevamenti successivi non potrebbero essere ricondotti all’esercizio di fatto delle funzioni di amministratore.

Le censure dedotte dal P. sono riconducibili a due motivi. Il primo si incentra sulla mancata valutazione della deposizione del teste T. e della circostanza di fatto secondo cui il deducente aveva rivestito la qualità di amministratore solo fino al 2 aprile 1999, per cui non poteva essere ritenuto corresponsabile dei prelievi effettuati dal Pa. dopo il fallimento (sentenza del 28 luglio 1999).

Col secondo motivo il ricorrente contesta che la cessione delle due autovetture possa, di per sè, integrare una condotta distrattiva;

contesta che, per effetto di tali negozi, sia mancato un accrescimento economico della società, precisando che la vendita alla società Aura è stata seguita dal pagamento del prezzo in contanti, mentre quella al Pa. ha avuto il suo corrispettivo nella legittima compensazione di un credito.

Motivi della decisione

Entrambi i ricorsi sono privi di fondamento e vanno, perciò, disattesi.

Per ciò che si riferisce al Pa., la posizione di costui all’interno della società è stata opportunamente vagliata dai giudici di merito, i quali hanno rilevato come la accertata titolarità di una delega ad operare sul conto corrente della Danae s.r.l., ponendolo nelle condizioni di disporre liberamente dei fondi societari, abbia costituito un indice significativo dell’esistenza, in capo a detto imputato, di rilevanti poteri di gestione. L’essersi il Pa. avvalso di tali poteri, provvedendo a prelevamenti di denaro protrattisi anche dopo la dichiarazione di fallimento, fino a prosciugare completamente il conto della società, è stato valutato unitamente alla girata di cambiali, in favore della Guglielmo s.a.s., e ha condotto al convincimento che egli abbia effettivamente operato in veste di amministratore di fatto.

La linea argomentativa così adottata si sottrae a censura, in quanto allineata ai canoni della logica e del diritto.

Non elide la responsabilità dell’imputato il fatto che, intervenuta la dichiarazione di fallimento, ogni potere gestorio si sia trasferito in capo agli organi della procedura concorsuale: ed invero, destinatario della norma incriminatrice di cui al combinato disposto della L. Fall., art. 216, comma 2 e art. 223, comma 1, non è il titolare dell’amministrazione della società dopo il fallimento (nel qual caso il precetto penale si svuoterebbe totalmente di significato), ma colui che abbia esercitato in precedenza i relativi poteri, in via di diritto o di fatto, ed abbia perpetrato l’illecito nel corso della procedura fallimentare.

Quanto al P., va ricordato il principio secondo cui la sottrazione di un bene appartenente al patrimonio della società, attraverso la sua alienazione, comporta un depauperamento della massa attiva che, incidendo sulla garanzia patrimoniale dei creditori, può trovare giustificazione soltanto nell’acquisizione di un adeguato corrispettivo, ove questo risulti essere stato destinato alle esigenze dell’impresa. Nel caso di specie nulla è dato sapere circa l’impiego del prezzo riscosso per la vendita della vettura Opel Corsa alla società Aura, del quale il ricorrente adduce l’avvenuta contabilizzazione senza tuttavia specificare la destinazione datagli in concreto; quanto al corrispettivo per la vendita della Saab 9000 al Pa., si sostiene esservi stata una compensazione con un preteso credito di costui; ma rettamente ha considerato la Corte d’Appello che la posizione dell’acquirente in seno alla società Danae, nella quale operava da amministratore di fatto, avrebbe reso illegittima – sotto il profilo della preferenza indebitamente accordata a quel creditore – tale forma di estinzione del debito, quand’anche la sussistenza della partita debitoria potesse dirsi accertata. Ciò che rimane certo è soltanto un decremento del patrimonio mobiliare della società – in significativa concomitanza con la formalizzazione della pretesa creditoria della Guglielmo s.a.s. – nel quale si concreta l’atto distrattivo contemplato dall’imputazione.

Non rileva, da ultimo, il fatto che dal 2 aprile 1999 sia venuta meno per il P. la qualità di amministratore della società poi fallita, atteso che gli atti distrattivi di cui si è detto or ora sono stati compiuti nel dicembre 1998, quando egli era nel pieno esercizio dei relativi poteri.

Quanto fin qui osservato rende ragione del carattere non decisivo delle circostanze di fatto che il ricorrente adduce a propria discolpa, additandone la fonte probatoria nella deposizione del teste T..

Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Spetta alla parte civile la rifusione delle spese di difesa sostenute nel presente giudizio di legittimità; la relativa liquidazione è effettuata nella somma complessiva di Euro 2.000,00, da maggiorarsi in ragione degli accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed, in solido, alla rifusione alla parte civile delle spese e compensi di questo giudizio che liquida in complessivi Euro 2.000,00, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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