Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-02-2011, n. 3390 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

T.C. aveva promosso azione giudiziaria nei confronti di Poste Italiane s.p.a. per ottenere l’accertamento della nullità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi con tale società per i periodi 10.1.97-31.1.98, 16.2-30.4.98 e 12.10.98-28.2.99, ai sensi dell’accordo sindacale 27 settembre 1997, "per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione della società e per il periodo 22.6-30.9.98, ai sensi dell’art. 8 C.C.N.L. 26 novembre 1994 per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno – settembre.

Il giudice di primo grado aveva accolto la domanda con riferimento al termine apposto al primo contratto di lavoro tra le parti, dichiarando pertanto il rapporto a tempo indeterminato dal 10 novembre 1997, con le pronunce conseguenti.

Su appello della società, la Corte d’appello di Genova, con sentenza depositata il 10 febbraio – 1 marzo 2006, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha ritenuto infondate le domande relative ai primi due contratti a termine, ha accolto la domanda relativamente al terzo del 22.6.98 (ferie) e dichiarato assorbito l’esame dell’ultimo, riguardante il periodo 12.10.98 – 28.2.99.

In particolare, la Corte ha ritenuto che la società non avesse assolto all’onere, su di essa incombente, di provare che nel periodo indicato aveva dovuto procedere all’assunzione di personale a termine per sostituire personale in ferie per evadere un volume di corrispondenza rimasto sostanzialmente invariato.

Avverso tale sentenza la società propone, con due motivi (relativi, il primo, alla violazione della L. n. 230 del 1962, art. 3 L. n. 56 del 1987, art. 23 e art. 1362 c.c. e segg. nonchè ad un vizio di motivazione al riguardo e il secondo, subordinato, alla violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, art. 1362 c.c., comma 2, art. 1427 c.c. e segg., art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c. nonchè ad un vizio di motivazione) ricorso per cassazione, notificandolo il 28 febbraio – 1 marzo 2007.

T.C. resiste alle domande con controricorso, proponendo altresì contestuale rituale ricorso incidentale, con un unico motivo, relativo alla violazione dell’art. 2909 c.c. in relazione agli artt. 434 e 346 c.p.c., cui la società ha resistito con controricorso.

Infine il controcorrente ha depositato una memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

I due ricorsi, principale e incidentale, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., investendo una medesima sentenza.

Va preliminarmente esaminato il ricorso incidentale, col quale il T. sostiene che, posto che il Tribunale aveva ritenuto nulla la clausola appositiva del termine al primo contratto in quanto riferita ad "una specifica e transitoria situazione aziendale" e non ad una ipotesi di assunzione generale e astratta, come sarebbe richiesto dalla legge, la società, impugnando tale decisione in appello, avrebbe dovuto altresì riproporre espressamente e specificatamente le questioni svolte in primo grado relative alla asserita legittimità dei termini apposti ai vari contratti e alla dedotta risoluzione consensuale del rapporto.

In presenza viceversa di un richiamo del tutto generico formulato dalla società a tutte le proprie difese precedenti, la Corte territoriale non avrebbe potuto pronunciarsi sul primo contratto, per mancanza di interesse dell’appellante in ordine a tale pronuncia, in assenza della reiterazione delle difese relative agli altri, pur investiti dall’originario ricorso ex art. 414 c.p.c. del lavoratore.

La censura è nuova, in quanto non risulta proposta dalla difesa del lavoratore nel grado di appello.

In ogni caso, come indicato dallo stesso ricorrente incidentale, nel ricorso in appello, la società aveva affermato "Come detto, il primo giudice si è limitato ad esaminare il motivo di nullità dei termine individuato ex officio, restando assorbita da tale accertamento qualiasi questione concernente gli altri motivi di nullità prospettati in ricorso. Con riguardo a questi ultimi profili, dunque, non si possono che richiamare integralmente, quale parte costitutiva del presente atto, le considerazioni svolte nella memoria di costituzione nel pregresso grado di giudizio".

Tanto basta per evitare la decadenza di cui all’art. 346 c.p.c., essendo quello riprodotto non un "richiamo generico alle difese svolte e alle conclusioni prese davanti al primo giudice" (in proposito, cfr. recentemente Cass. 11 maggio 2009 n. 10796), ma l’espressa indicazione delle difese in ordine alle specifiche questioni di nullità del termine apposto ai restanti tre contratti di lavoro alle quali si intende operare richiamo, così rendendo chiara la volontà di riproporle, riaprendo anche su di esse il dibattito giudiziario.

Quanto al ricorso principale, è infondato il secondo motivo, da esaminare logicamente per primo, in quanto relativo al preteso difetto di interesse all’azione di nullità del termine per intervenuta implicita risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

In proposito, secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui il collegio aderisce, va rilevato che è suscettibile di essere sussunto nella fattispecie legale di cui all’art. 1372 c.c., comma 1, il comportamento delle parti che determini la cessazione della funzionalità di fatto del rapporto lavorativo a termine in base a modalità tali da evidenziare il loro disinteresse alla sua attuazione, trovando siffatta operazione ermeneutica supporto nella crescente valorizzazione, che attualmente si registra nel quadro della teoria e della disciplina dei contratti, del piano oggettivo del contratto, a discapito del ruolo e della rilevanza della volontà psicologica dei contraenti, con conseguente attribuzione del valore di dichiarazioni negoziali a comportamenti sociali valutati in modo tipico; e ciò con particolare riferimento alla materia lavoristica ove operano, nell’anzidetta prospettiva, principi di settore che non consentono di considerare esistente un rapporto di lavoro senza esecuzione (cfr., ad es., Cass. 6 luglio 2007 n. 15264, 7 maggio 2009 n. 10526).

In proposito, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di voler porre fine al rapporto grava sul datore di lavoro che deduce la risoluzione dello stesso per mutuo consenso (cfr. ad es. Cass. 2 dicembre 2002 n. 17070 e 2 dicembre 2000 n. 15403).

E’ poi consolidato l’orientamento secondo cui il relativo giudizio, sulla configurabilità o meno, in concreto, di un tale accordo per facta concludentia, viene devoluto al giudice di merito, la cui valutazione, se congruamente motivata, si sottrae a censure in sede di controllo di legittimità della decisione (cfr., diffusamente, tra le altre, le sentenze citate).

Ciò posto in via di principio, si rileva che la Corte territoriale, dichiarando che la mera inerzia del lavoratore non poteva essere interpretata come fatto estintivo del rapporto (in quanto tale effetto consegue dal concorso di altre circostanze significative), ha fatto corretta applicazione di tali principi al caso in esame, facendo riferimento proprio a valutazioni di tipicità sociale con riguardo alla semplice inerzia del T. nella situazione descritta (tenuto evidentemente conto delle circostanze notorie rappresentate dal tempo necessario a valutare l’eventuale illegittimità del termine e quindi rivolgersi al sindacato e/o all’avvocato, dalla necessità per quest’ultimo di impostare la causa e provvedere al tentativo di conciliazione di cui all’art. 410 c.p.c. nonchè della altrettanto notoria circostanza relativa all’affidamento che il lavoratore "precario" normalmente fa sulla prospettiva di futuri contratti a termine – soprattutto nei riguardi di una società, come le Poste, che di tale tipologia contrattuale faceva al tempo ampio uso – e al timore di pregiudicare tale esito con l’iniziativa giudiziaria).

Una tale valutazione, proprio perchè ragionevolmente ancorata a parametri di tipicità sociale, non appare censurabile in questa sede di legittimità. Il primo motivo del ricorso principale è viceversa fondato.

Con riguardo alla L. n. 56 del 1987, art. 23 le Sezioni unite di questa Corte (sent. 2 marzo 2006 n. 4588, cui si è adeguata la giurisprudenza successiva) hanno infatti affermato che tale norma di legge, demandando alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare ipotesi aggiuntive di possibile apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato rispetto a quelle previste specificatamente dalla legge, configura una vera e propria "delega in bianco" a favore dei sindacati, che non sono pertanto vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge.

E’ stato altresì ripetutamente affermato da questa Corte che siffatta individuazione di ipotesi aggiuntive può essere operata anche direttamente, attraverso l’accertamento da parte dei contraenti collettivi di determinate situazioni di fatto e la valutazione delle stesse come idonea causale del contratto a termine (cfr, ad es., Cass. 20 aprile 2006 n. 9245 e 4 agosto 2008 n. 21063).

In applicazione di tali principi, altre decisioni, intervenute in fattispecie analoghe alla presente – in cui oggetto del giudizio era la legittimità o non del termine apposto al contratto individuale con richiamo alla norma collettiva relativa alla "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno – settembre" – hanno cassato decisioni di merito per avere omesso l’indagine sull’intenzione espressa dagli stipulanti, col ritenere che dovesse comunque essere comprovata la funzione sostitutiva del contratto e l’assenza del personale da sostituire e con l’escludere che l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo (applicabile nel caso di specie ad un’unica società) presupponesse l’avvenuto accertamento della sussistenza in concreto della necessità di sostituzioni indicata nel periodo in questione e con riferimento a tutte le unità produttive aziendali (cfr., ad es., Cass. 10 gennaio 2006 n. 167, 2 marzo 2007 n. 4933).

Infine, con altre decisioni, questa Corte ha confermato sentenze di merito che, proprio in ragione dell’autonomia dell’ipotesi considerata dalla norma collettiva in esame e del contenuto, ritenuto di accertamento in concreto, da essa operato, avevano valutato che unico presupposto per l’operatività della clausola fosse rappresentato dall’assunzione nel periodo giugno-settembre, in cui del resto di norma i dipendenti fruiscono di ferie (cfr. Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678 o 20 marzo 2009 n. 6913).

Anche nel caso in esame, la Corte territoriale, decidendo la causa sulla base della regola di giudizio secondo cui gravava sulla datrice di lavoro l’onere (non assolto) di provare che nel periodo indicato nel contratto individuale (tutto interno al periodo indicato dalla norma contrattuale) aveva dovuto procedere all’assunzione di personale a termine per sostituire personale in ferie per evadere un volume di corrispondenza rimasto sostanzialmente invariato, ha completamente omesso l’indagine sull’intenzione delle parti collettive nel quadro della delega ricevuta dalla L. n. 56 del 1987, art. 23.

Per tale ragione la sentenza va cassata, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’appello di Torino, per una nuova valutazione della legittimità del termine al contratto intercorso tra le parti tra il 22 giugno e il 30 settembre 1998 sulla base dei principi enunciati ed eventualmente (nel caso di ritenuta legittimità dello stesso) di quello relativo al periodo dal 12 ottobre 1998 al 28 febbraio 1999 ( "per esigenze eccezionali… "), il cui esame è stato ritenuto assorbito dalla sentenza cassata. A tale Corte è infine demandato l’esame del tema dell’applicazione della L. n. 183 del 1910, art. 32 evocato nella memoria difensiva del controricorrente.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, rigettando il secondo e il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Torino.

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