Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 07-10-2010) 20-01-2011, n. 1732 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza in data 22 settembre 2009 la Corte d’Appello di Genova, confermando la decisione assunta dal Tribunale de La Spezia, ha riconosciuto M.G. responsabile, in concorso con P.G. e Pu.Si., del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in relazione al fallimento della società Ortonovo Alimentari s.r.l., della quale egli era stato amministratore di fatto.

Secondo l’ipotesi accusatoria, recepita dal giudice di merito, gli imputati avevano distratto dall’attivo della società, negli anni 1994, 1995, 1996 e 1997, la complessiva somma di L. 658.094.156;

inoltre avevano tenuto le scritture contabili obbligatorie in modo tale da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.

Ha proposto ricorso per cassazione il M., per il tramite dei difensori, affidandolo a tre motivi.

Col primo motivo, articolato in più censure, il ricorrente contesta che sia configurabile l’ipotesi di distrazione patrimoniale in una fattispecie nella quale i prelievi sono stati effettuati allo scopo di far fronte ai costi di gestione dell’impresa.

Sotto altro profilo contesta che vi sia stata la consapevolezza e volontà di provocare una lesione degli interessi dei creditori della società.

Ancora, riferendosi alla bancarotta documentale, contesta l’esistenza del dolo, che assume dover essere specifico.

Col secondo motivo il ricorrente sostiene essersi resa possibile la ricostruzione del patrimonio sociale, costituente il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.

Col terzo motivo contrasta, additandola come errore di diritto, la qualificazione del fatto quale bancarotta fraudolenta documentale, anzichè bancarotta semplice L. Fall., ex art. 217.

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

Ha rilevato la Corte di merito che la distrazione di attività dal patrimonio della società si è realizzata per effetto del trasferimento dei fondi societari sui conti correnti individuali degli imputati: operazione, questa, coscientemente e volontariamente eseguita, così da integrare l’illecito contestato anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo; trattandosi, infatti, di reato per il quale è richiesto soltanto il dolo generico, a perfezionarlo è sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.

La motivazione così addotta è immune da vizi logici e giuridici, onde non colgono nel segno le critiche rivolte dal ricorrente; non giova, in particolare, sostenere che sia mancata la volontà di provocare una lesione agli interessi dei creditori, in quanto lo storno dei fondi avrebbe avuto la finalità di adempiere alle obbligazioni aggirando il divieto all’emissione di assegni imposto dalla banca.

Non si richiede, infatti, ad integrare il reato, la volontà di danneggiare i creditori, bastando la consapevolezza dell’effetto ablativo dell’atto sul patrimonio dell’impresa e sulla conseguente garanzia patrimoniale dei creditori medesimi (Cass. 14 gennaio 2010 n. 11899); nè si richiede – come ha pure, condivisibilmente, rimarcato la Corte territoriale – che dall’illecito così compiuto derivi un danno effettivo, trattandosi di un reato di pericolo, del quale il danno non è elemento costitutivo (v. Cass. 6 ottobre 1999 n. 12897, citata anche dalla Corte d’Appello).

Al contempo occorre considerare che il dolo specifico neppure appartiene al modello descrittivo della bancarotta fraudolenta documentale, di cui alla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2);

in seno alla norma incriminatrice, infatti, il fine specifico di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto, ovvero di recare pregiudizi ai creditori, viene in considerazione solo per la prima ipotesi, che si occupa di chi sottrae, distrugge o falsifica le scritture contabili: mentre per la seconda ipotesi ivi contemplata, ricorrente nel caso di specie, è sufficiente la consapevolezza che l’irregolare tenuta delle scritture renderà impossibile – o estremamente difficile – la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (Cass. 25 marzo 2010 n. 21872).

Nell’ipotesi da ultimo considerata la consumazione del reato non è impedita dall’eventualità che, assumendo aliunde elementi cognitivi non desumibili dalle scritture (eventualmente anche con la collaborazione del fallito), il curatore riesca a pervenire ad un utile risultato ricostruttivo: in tal senso si è ripetutamente espressa la giurisprudenza di questa Corte Suprema, enunciando i principi secondo cui:

1) la ricostruzione aliunde della documentazione non esclude la bancarotta fraudolenta documentale (Cass. 15 novembre 1999 n. 5503/00);

2) sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (Cass. 19 aprile 2010 n. 21588). Ciò rende ragione dell’infondatezza del secondo motivo di ricorso.

In ordine al terzo motivo vi è solo da rimarcare che quanto dianzi osservato in ordine all’elemento psicologico del reato rende inquadrabile la fattispecie entro lo schema della bancarotta fraudolenta documentale e non già della bancarotta semplice di cui alla L. Fall., art. 217, comma 2, della quale l’imprenditore risponde indifferentemente a titolo di dolo o di colpa quando ometta, rispettivamente, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture (Cass. 18 ottobre 2005 n. 6769).

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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