Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-12-2010) 21-01-2011, n. 2205

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Tratto a giudizio sotto l’accusa di concorso (con G. S.) in ricettazione di 15 schede telefoniche prepagate TIM, contraffatte, con sentenza 13.12.05 del Tribunale di Orvieto P. F. veniva condannato alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro 800,00 di multa previa derubricazione del reato in quello p. e p. dal D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 12, (convertito, con modifiche, in L. 5 luglio 1991, n. 197).

Con sentenza 17.3.09 la Corte d’Appello di Perugia, in riforma della sentenza di primo grado, riconosciuta – invece – l’ipotesi di cui all’art. 648 cpv. c.p., rideterminava la pena a carico del predetto P. in mesi 9 di reclusione ed Euro 600,00 di multa, confermando nel resto le statuizioni di prime cure.

Il P. ricorreva personalmente contro la sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

a) in luogo del delitto di ricettazione andava ravvisata l’ipotesi di cui alla L. n. 197 del 1991, art. 12;

b) il ricorrente non era a conoscenza della provenienza illecita delle carte telefoniche, sicchè l’accusa si sarebbe dovuta derubricare in quella di incauto acquisto.

1 – Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato.

Premesso che sussiste continuità normativa tra la fattispecie di utilizzazione illecita di carte di credito o di pagamento contemplata dall’abrogato D.L. 3 maggio 1991, n. 143, (convertito, con modifiche, in L. 5 luglio 1991, n. 197) e quella oggi sanzionata dal D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, art. 55, comma 9, (cfr. in tal senso Cass. Sez. 2^ n. 24527 del 29.5.09, dep. 12.6.09, rv. 244272), si premetta che le S.U. di questa S.C., con sentenza n. 22902 del 28.3.2001, dep. 7.6.2001, rv. 218872, hanno già da tempo avuto modo di statuire che integra il reato di cui all’art. 648 c.p.p., la condotta di chi riceve, al fine di procurare a sè o ad altri un profitto, carte di credito o di pagamento (ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi) provenienti da delitto, dovendosi viceversa ricondurre alla previsione incriminatrice di cui all’art. 12, seconda parte, cit. D.L. n. 143 del 1991, (che sanzionava, con formula generica, la ricezione dei predetti documenti "di provenienza illecita"), le condotte acquisitive degli stessi ove la loro provenienza non sia ricollegabile a un delitto, bensì a un illecito civile, amministrativo o anche penale, ma di natura contravvenzionale (conf. Cass. Sez. 2^ n. 7224 del 3.5.99, dep. 8.6.99, rv. 213847;

più di recente v., altresì, Cass. Sez. 6^ n. 35930 del 16.7.09, dep. 16.9.09, rv. 244874).

Nel caso di specie la provenienza delittuosa è stata correttamente ravvisata nel delitto di contraffazione delle carte de quibus, il che conferma la correttezza della qualificazione giuridica del reato accolta dall’impugnata sentenza.

2 – Il motivo che precede sub b) trascura – senza opporvi il benchè minimo argomento contrario – il costante orientamento di questa S.C. in base al quale, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione in luogo di quello p. e p. ex art. 712 c.p., la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa, o non attendibile, indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (cfr. ad es. Cass. Sez. 2^ n. 16949 del 27.2.2003, dep. 10.4.2003;

Cass. Sez. 2^ n. 11764 del 20.1.2003, dep. 12.3.2003; Cass. Sez. 2^ n. 9861 del 18.4.2000, dep. 19.9.2000; Cass. Sez. 2^ n. 2436 del 27.2.97, dep. 13.3.97; Cass. n. 2302/92; Cass. n. 6291/91). Si tratta di orientamento dal quale non esiste ragione di discostarsi.

3 – All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente alle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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