Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-12-2010) 21-01-2011, n. 2194 Giudizio d’appello sentenza d’appello; Luogo, giorno e ora di comparizione; Reato continuato; Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza 5.10.06 la Sez. 6^ di questa S.C. annullava con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno la sentenza 21.7.04 della Corte d’Appello di Potenza che, in parziale riforma della sentenza 4.6.01 del Tribunale di Matera, aveva rideterminato la pena nei confronti di S.D., C.F.F., N.B., D. N.M., D.C.V., B.V., V.N., M.G. e Sa.Do. per i delitti loro rispettivamente ascritti.

L’annullamento con rinvio era stato disposto per la rideterminazione della pena nei confronti dello S., del C., del N. e del D.N. per i delitti di cui ai capi B) – lesioni personali – e A) dell’editto accusatorio – quest’ultimo derubricato da tentata estorsione aggravata in tentata violenza privata di cui all’art. 610 c.p., comma 2, aggravata D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, e in relazione all’art. 339 c.p., comma 1 -, nonchè per la rideterminazione della pena a carico del D.C., del B., del V., del M. e del Sa. riguardo ai reati in materia di stupefacenti, vista la modifica legislativa di cui al D.L. n. 272 del 2005, convertito, con modifiche, in L. n. 49 del 2006, che aveva introdotto un trattamento sanzionatorio più favorevole per il delitto p. e p. D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73.

Con sentenza 11.7.08 la Corte d’Appello di Salerno rideterminava come segue la pena a carico dei predetti:

S.D. anni 5 e mesi 2 di reclusione;

C.F.F. anni 4 di reclusione;

N.B.a. 4 di reclusione;

D.N.M. anni 5 e mesi 2 di reclusione;

D.C.V. anni 7 di reclusione ed Euro 26.000,00 di multa;

B.V. anni 5 di reclusione ed Euro 19.000,00 di multa;

V.N. anni 4 e mesi 4 di reclusione ed Euro 19.000,00 di multa;

M.G. anni 4 e mesi 6 di reclusione ed Euro 20.500,00 di multa;

Sa.Do. anni 4 e mesi 6 di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa.

Tramite i propri difensori ricorrevano lo S., il C., il N., il D.N., il D.C., il B., il V., il M. e il Sa. contro detta sentenza, di cui chiedevano l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Il B. lamentava omessa od apparente motivazione in ordine al calcolo della pena.

Il Sa. deduceva omessa motivazione sulla pena nonchè violazione dell’intangibilità del giudicato e del divieto di reformatio in peius, atteso che l’aumento in continuazione per il delitto di cui al capo V) della rubrica apportato sulla pena base irrogata per il reato di cui al capo U) – D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 – era stato stimato, per la pena detentiva, in complessivi mesi 6 nonostante che il delitto sub V) ed il relativo aumento in continuazione, quantificato dalla sentenza 21.7.04 della Corte d’Appello di Potenza in soli mesi 2 di reclusione, non fossero stati oggetto di annullamento e, quindi, risultassero ormai coperti da giudicato.

Lo S. si doleva dell’omessa e/o illogica motivazione sul trattamento sanzionatorio ed eccepiva l’intervenuta prescrizione dei reati sub A) e B), in quanto risalenti al 2.3.97.

Il D.C. prospettava erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione perchè, una volta ridotta la pena base per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, grazie alla modifica legislativa di cui al D.L. n. 272 del 2005 convertito, con modifiche, in L. n. 49 del 2006, del pari doveva ridursi il relativo aumento per la continuazione interna in tale delitto, affinchè non se ne vanificasse il giudizio di minor disvalore insito nella diminuzione di pena prevista dal legislatore: ed infatti la Corte salernitana aveva dimostrato di condividere tale assunto in ordine alla multa (il cui aumento in continuazione era stato ridotto rispetto a quanto a suo tempo statuito dalla Corte d’Appello di Potenza nel confermare la pronuncia di prime cure del Tribunale di Matera), ma non anche riguardo all’incremento di reclusione, che invece era rimasto immutato.

Ancora il D.C. lamentava che erroneamente l’impugnata sentenza aveva rinviato alla sede esecutiva la delibazione sull’invocato riconoscimento della continuazione tra i fatti sub indice e quelli giudicati con sentenza 18.2.99 della Corte d’Appello di Potenza, ritenendo di non potersene occupare stante il limitato annullamento disposto da questa S.C.: in realtà, obiettava il ricorrente, la pronuncia concernente la continuazione non era stata oggetto di ricorso per cassazione, sicchè il suo esame non era precluso.

Il C., il N., il D.N. e il M. eccepivano la nullità del decreto di citazione a giudizio innanzi ai giudici del rinvio per violazione dell’art. 601 c.p.p., e art. 429 c.p.p., comma 2, per mancata individuazione dell’atto oggetto dell’impugnazione e degli imputati appellanti, risultando errata la data della sentenza da riesaminare in sede di rinvio, che era quella del 21.7.04 e non quella del 16.1.95 (quest’ultima relativa a diverso processo e a diversi giudicabili, a parte il C., che figurava come imputato in entrambi i processi). Versandosi in tema di nullità non era neppure consentita – proseguivano i ricorrenti – la correzione di errore materiale che i giudici di rinvio avevano disposto con apposita ordinanza dibattimentale, anche essa da annullare.

1 – Osserva questa S.C. che il ricorso del B. è inammissibile perchè manifestamente infondato, essendo basato sull’inesatto presupposto d’una omessa motivazione in punto di esplicitazione dei criteri valutativi inerenti al trattamento sanzionatorio che – invece – l’impugnata sentenza ha esplicitamente richiamato e condiviso mediante rinvio alla sentenza 21.7.04 della Corte d’Appello di Potenza (che in proposito non era stata annullata).

Invero, la motivazione per relationem è perfettamente consentita allorquando – come avvenuto nel caso di specie – si riferisca ad un provvedimento già conosciuto o conoscibile dalla parte (cfr., ex aliis, Cass. Sez. 5^ n. 11191 del 12.2.2002, dep. 19.3.2002: nella specie, la sentenza della Corte lucana era ben conosciuta dagli odierni ricorrenti che, infatti, ne avevano fatto oggetto di ricorso per cassazione), inserendosi in un contesto che disattende i motivi di gravame con un richiamo ad accertamenti e ad argomenti contenuti nella precedente statuizione.

2 – Del pari inammissibile per manifesta infondatezza è il ricorso del Sa., che muove dall’erroneo assunto d’un preteso giudicato sull’entità dell’incremento di pena in continuazione così come stimato dalla sentenza 21.7.04 della Corte d’Appello di Potenza.

In realtà, l’aumento in continuazione non ha autonomia rispetto alla pena base cui è collegato, di guisa che, travolta questa ultima per effetto dell’annullamento disposto dalla citata sentenza 5.10.06 della Sez. 6^ di questa S.C., del pari risulta cassata la statuizione emessa ex art. 81 cpv. c.p..

Nè può parlarsi di violazione dell’art. 597 c.p.p., comma 3, per pretesa reformatio in peius di una pena ormai annullata, potendosi operare il confronto di trattamento sanzionatorio unicamente con la pronuncia di prime cure.

Quanto al lamentato vizio di motivazione, valga quanto già detto in ordine al ricorso del B..

3 – Inammissibile per manifesta infondatezza è anche il ricorso dello S..

Per il dedotto vizio di motivazione si vedano, ancora, le considerazioni sopra espresse sul ricorso del B..

Per quel che attiene, poi, all’eccepita prescrizione dei reati sub A) e B), basti il preliminare ed assorbente rilievo che, in forza di consolidato insegnamento giurisprudenziale di questa S.C., qualora siano rimesse al giudice del rinvio solo questioni relative alla determinazione della pena (come avvenuto nel caso in esame), il giudicato formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità non ha connessione essenziale con la parte oggetto della cassazione, ragion per cui resta comunque preclusa la declaratoria di estinzione del reato (cfr. Cass. Sez. 2^ n. 8039 del 9.2.2010, dep. 1.3.2010; Cass. Sez. 2^ n. 12967 del 14.3.07, dep. 29.3.07; Cass. S.U. n. 4904 del 26.3.97, dep. 23.5.97).

4 – Sempre per manifesta infondatezza risulta inammissibile anche il ricorso del D.C..

Posto che, una volta cassato l’intero capo relativo al trattamento sanzionatorio, il giudice del rinvio ha gli stessi poteri di quello d’appello, nei limiti fissati dalla statuizione di annullamento, ben può il giudice del rinvio procedere ad una nuova determinazione di pena diversa e superiore a quella quantificata dalla sentenza annullata, purchè non superiore alla pena irrogata in prime cure (e non è questo ciò che lamenta il predetto ricorrente), così come ben può ridurre la pena base e non anche l’aumento in continuazione interna in virtù di nuova delibazione della gravità e del numero dei reati legati dal vincolo dell’art. 81 cpv. c.p..

Nè può confondersi il piano legislativo – ovvero la riduzione del minimo edittale della reclusione per il delitto p. e p. D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, operata dal D.L. n. 272 del 2005, convertito, con modifiche, in L. n. 49 del 2006 – con quello giurisdizionale; sul primo ci si limita a stabilire il margine di oscillazione consentito al giudice nell’esercizio del potere discrezionale di cui all’art. 132 c.p., mentre sul secondo si valuta in concreto quale debba essere il trattamento sanzionatorio alla luce dei criteri dell’art. 133 c.p., e nel rispetto del range previsto dalla legge.

Contrariamente a quanto suppone l’odierno ricorrente, la riduzione del minimo edittale di pena detentiva per il summenzionato delitto non ne importa in linea di principio un giudizio di minor disvalore (prova ne sia che il massimo edittale della reclusione è rimasto inalterato), ma semplicemente amplia il margine di discrezionalità del giudice.

Ritenere il contrario, ovvero supporre che ogni qual volta il legislatore riduca – in astratto – la pena minima il giudice debba, per ciò solo, necessariamente ritoccare al ribasso tutte le pene precedentemente quantificate è illazione sfornita di qualsivoglia aggancio logico ancor prima che giuridico; inoltre, darebbe luogo ad una sorta di amnistia mascherata in violazione dell’art. 19 Cost..

Non a caso la citata sentenza 5.10.06 della Sez. 6^ di questa S.C., nell’annullare la pronuncia emessa il 21.7.04 dalla Corte d’Appello di Potenza, non ha affatto imposto di rivisitare in diminuzione le pene (base o in continuazione) irrogate per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, ma si è limitata a consentire un nuovo giudizio discrezionale in proposito, vista la mutata cornice normativa di riferimento.

Circa il lamentato vizio di motivazione, valga quanto già esplicitato in merito al ricorso del B..

L’ulteriore censura mossa dal D.C. in tema di applicazione della continuazione è preclusa perchè, in realtà, già disattesa dalla summenzionata sentenza di annullamento emessa dalla Sez. 6^ di questa S.C., che ha così motivato in risposta alla specifica doglianza a tal fine fatta valere dal D.C. con il precedente ricorso per cassazione: "Quanto, poi, alla lamentata mancata applicazione della continuazione tra i fatti oggetto del procedimento e quelli già giudicati con sentenza irrevocabile del 18.2,1999 dalla Corte di Appello di Potenza, il mancato esame nel merito della sussistenza del reato continuato, non comporta un giudicato negativo sul punto e non preclude, perciò, l’esame della questione, in sede esecutiva, ai sensi dell’art. 671 c.p.p., comma 1 (Cfr.: Cass. Sez. 6^, 14.1.1999, Gaglioti)".

Dunque, contrariamente a quel che si legge nel ricorso avanzato nell’interesse del D.C., il motivo era stato già proposto – e deciso – innanzi alla Sez. 6^ di questa S.C., sicchè risulta ormai precluso.

5 – Infine, è manifestamente infondato – e, perciò, inammissibile – il ricorso del C., del N., del D.N. e del M. perchè non propone valide ragioni per superare la contraria giurisprudenza di questa S.C. (di cui i ricorrenti pur si dichiarano consapevoli) secondo cui la mancata od erronea indicazione della data della sentenza impugnata nel decreto di citazione per il giudizio d’appello non determina nullità: l’art. 601 c.p.p., la prevede solo per incerta identificazione dell’imputato (il che non è nel caso in discorso, giacchè il decreto recava in epigrafe il nominativo degli odierni ricorrenti) e/o per mancata od insufficiente indicazione di uno dei requisiti dell’art. 429 c.p.p., comma 1, lett. f), (relativo a luogo, giorno e ora della comparizione, con avvertimento all’imputato che, non comparendo, sarà giudicato in contumacia). Nè il vizio in questione integra una nullità di ordine generale, non condizionando l’intervento e l’assistenza dell’imputato, che – essendo stato informato della celebrazione del giudizio sull’impugnazione da lui proposta – è in grado di acquisire tutte le notizie necessarie alla propria difesa (cfr. Cass. Sez. 3^ n. 761 del 2.12.99, dep. 20.1.2000; Cass. Sez. 5^ n. 9553 del 6.8.98, dep. 28.8.98).

Si tratta, dunque, di una mera irregolarità emendabile in via di correzione di errore materiale, come giustamente hanno fatto i giudici del rinvio.

Nè tale conclusione può essere inficiata sol perchè, secondo quel che si legge in ricorso, l’erronea data (della sentenza impugnata) trascritta sul decreto ex art. 601 c.p.p., coincideva con quella di altra sentenza della Corte d’Appello di Potenza emessa in diverso processo, per altri reati ed altri prevenuti: proprio la differenza di reati e di relativi giudicabili escludeva qualsiasi possibilità di confusione.

6 – In conclusione, tutti i ricorsi sono inammissibili. Consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti alle spese processuali e di ciascuno di essi al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nelle impugnazioni, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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