Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-02-2011, n. 3336 Imposta reddito persone giuridiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 13.4.2005. la Commissione Tributaria Regionale di Napoli, in riforma della decisione della Commissione Tributaria provinciale, annullava l’avviso di accertamento relativo all’IRPEG ed all’ILOR, per l’anno 1992. oltre sanzioni ed interessi, ritenendo, anche alla stregua dell’acquisita documentazione, provata la tesi della contribuente Costruzioni De.AN. S.r.l., in liquidazione, secondo cui l’accertamento dall’Ufficio era basato su un mero errore materiale nella registrazione di una fattura.

Avverso tale sentenza, non notificata, hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate. L’intimata non ha depositato controricorso.

Motivi della decisione

Va, preliminarmente, rilevata l’inammissibilità del ricorso da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non è stato parte del pregresso grado di giudizio: a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle Entrate, avvenuta con D.Lgs. 30 luglio 1999. n. 300 e divenuta operativa dal 1 gennaio 2001 (D.M. 28 dicembre 2000, ex art. 1), si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione "ad causam" e "ad processum" nei procedimenti introdotti successivamente al 1 gennaio 2001 spetta all’Agenzia, e la proposizione dell’appello da parte, o, come nella specie, nei confronti della sola Agenzia, senza esplicita menzione dell’ufficio periferico che era parte originaria, si traduce nell’estromissione di quest’ultimo (cfr. S.U. n. 3116 e n. 3118 del 2006, n. 22641 del 2007).

Col primo motivo, l’Agenzia, deducendo la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e art. 324 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 censura l’impugnata sentenza per non aver dichiarato, in accoglimento dell’eccezione dell’Ufficio, l’inammissibilità dell’appello avversario, data l’assenza di motivi specifici in relazione alla valutazione del materiale probatorio compiuto dai giudici di primo grado.

Il motivo è infondato. L’esame diretto dell’atto di appello, consentito a questo giudice di legittimità, vertendosi in tema di "error in procedendo" (Cass. n. 1456/2004; n. 2746/2007), conferma quanto già desumibile dalla stessa prospettazione del vizio ad opera della ricorrente, e, cioè, che le censure mosse alla sentenza di primo grado hanno riguardato l’intero iter argomentativo svolto dai primi giudici, avendo la Società contribuente sostenuto, con l’atto d’appello, che il libro giornale era idoneo a documentare l’errore materiale nell’annotazione, quale vendita, della fattura di acquisto di L. 40.000.000, "id est" il presupposto della rettifica, e così contestato la valutazione delle prove, compiuta dalla CTP, ed investito, per il riesame della questione, il giudice d’appello.

Col secondo motivo, l’Agenzia deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 132 c.p.c. o, gradatamele, difetto motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e 5, evidenziando che, nel limitarsi ad affermare che "dall’esame della documentazione già prodotta e di quella rinveniente dall’ordinanza, verificata la capacità probatoria della stessa, ritiene che le tesi di parte appellante siano supportate dagli elementi in atti", la decisione impugnata appare tanto apodittica da sembrare apparente, e, comunque, non da conto delle ragioni sottese alla ritenuta natura di prova certa dello storno della fattura in contestazione, la cui corretta valutazione avrebbe dovuto condurre, al contrario, a confermare l’erroneità dell’annotazione,tra i costi, del corrispettivo da essa attestata.

Il motivo è infondato. A mente del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, nn. 2 e 4 – la cui formulazione è quasi del tutto identica a quella dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 – la sentenza della Commissione tributaria deve contenere, tra l’altro, la "succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto", e l’art. 118 disp. att. c.p.c. – applicabile anche al rito tributario in forza del rinvio materiale alle norme del codice di rito "compatibili" operato dall’art. 1, comma 2, del predetto decreto delegato- dispone, inoltre (comma 1), che "la motivazione della sentenza di cui all’art. 132 numero 4 del codice consiste nell’esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione". Costituisce costante orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, quello secondo cui l’estrema concisione della motivazione in diritto determina la nullità della sentenza, solo quando rende impossibile l’individuazione del "thema decidendum" e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo (cfr. Cass. n. 13990/2003), mentre, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice del merito sufficiente e adeguata, basta che siano indicate le ragioni del convincimento cui egli è pervenuto, dovendosi, in questo caso, ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esso (cfr. Cass. n. 2272/2007), con la precisazione che per cogliere l’esatto contenuto di una decisione è necessario intenderne la portata nell’ambito dell’intera motivazione, perchè solo tale procedimento consente di stabilire la esistenza o meno di denunciati vizi di motivazione.

Alla luce dei su riportati principi, la impugnata sentenza è immune dalle censure che le sono rivolte e che muovono dall’errore di considerare l’argomento, sopra testualmente riportato, avulso dall’intero contesto in cui è stato reso. Il compiuto esame della sentenza consente, invero, di affermare che la considerazione censurata costituisce la conclusione del ragionamento svolto dalla Commissione regionale, che, dopo aver esposto l’assunto della contribuente (secondo cui la rettifica non doveva aver luogo perchè fondata su un errore di trascrizione, emendato mediante rettifica del 31.12.1992, con scrittura di storno sul libro giornale, pag. 86), ha qualificato "non del tutto ortodossa tuttavia corretta nella sostanza" la procedura attuata dalla stessa (storno del costo indebito, inserimento del ricavo non contabilizzato nel coacervo delle rimanenze finali di "lavori in corso di esec. R.F." in Bilancio, emissione nel 1993 della fattura n. 1/93 dell’importo corrispondente ai ricavi originariamente non contabilizzati) ed ha, appunto, ritenuto provata la tesi della ricorrente, all’esito della valutazione degli atti prodotti e di quelli acquisiti a seguito di emissione di ordinanza "ad hoc" (copia autentica dell’inventario e delle rimanenze materiali e lavori in corso d’opera alla data del 31.12.92, la fattura n. 1/93 e il registro Iva vendite per il 1993), con ciò, implicitamente, disattendendo le contrarie argomentazioni dell’Ufficio. La questione del valore da riconnettere alla documentazione esaminata dalla Commissione regionale rispetto alle risultanze del bilancio – preminenti, secondo la ricorrente – non può trovare ingresso in questa sede, perchè intesa a sollecitare il riesame dei fatti che hanno formato oggetto di accertamento e di apprezzamento da parte dei giudici del merito, che sfugge al giudizio di legittimità, quando, come nella specie, la relativa valutazione sia sufficientemente motivata.

La Corte ravvisa giusti motivi, in considerazione dell’errore della contribuente nella registrazione della fattura e del metodo col quale lo ha emendato, che hanno dato causa all’accertamento dell’Ufficio ed alle opposte decisioni dei giudici del merito, per compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze, rigetta il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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